A marzo studiosi e religiosi si incontrano a Bologna per discutere della questione del genere nelle sue diverse implicazioni
La questione del “genere” si è imposta ormai all’attenzione dei media e degli individui. Negli ultimi decenni si è verificata un’accelerazione del costume che ha mutato la nostra percezione, nel quotidiano, dell’identità dell’essere umano. Tutto questo è accaduto senza che ce ne accorgessimo. Soprattutto, senza che avessimo il tempo di imparare a nuotare in una realtà sociale sempre più fluida e vorticosa, che inghiotte principi e valori di riferimento a cui ci siamo rifatti per secoli. Oggi il mondo cattolico intende affrontare la questione del genere in modo diretto e approfondito, per offrire il proprio contributo a riattivare la bussola che ci aiuti ad orientarci nel nostro cammino di persone tra le persone. Sabato 29 marzo sociologi, antropologi, giuristi ed altri accademici si incontreranno a Bologna in un seminario dal titolo “Natura e cultura nella questione del ‘Genere”, organizzato dal Progetto Culturale della CEI in collaborazione con l’Istituto Veritas Splendor e con la Fondazione IPSSER.
Aleteia ha intervistato monsignor Fiorenzo Facchini, antropologo presso l’Università di Bologna, che si è occupato di coordinare la preparazione dell’evento, e il prof. Carlo Cardia, docente di Diritto ecclesiastico presso l’Università di Roma Tre, che interverrà nel corso del seminario con una relazione sul tema “Genitorialità e diritti del minore”.
Quali sono i motivi portanti che hanno condotto a concepire questo seminario?
Facchini: L’idea è quella di riflettere sulla questione del “genere”, che è molto presente nella cultura di oggi, inquadrandola ed affrontandola in un corretto rapporto tra natura e cultura. Mi sembra infatti che questo rapporto non sia tenuto adeguatamente presente. L’uomo non può essere ridotto puramente a “cultura”, come spesso si sostiene, perché tutto viene riportato alle scelte della persona. La questione antropologica non si può affrontare unicamente nella dimensione culturale, così come non si può affrontarla soltanto in quella biologica: il riduzionismo non rappresenta il modo corretto di affrontare la questione. In questo quadro di rapporto tra natura e cultura, allora, vogliamo capire come può essere affrontato il tema della differenza sessuale e di ciò che essa può comportare sul piano dell’identità della persona, che ha anche un suo ritmo di sviluppo. Un conto, infatti, è l’adulto che si pone il problema della sua identità, un conto è lo sviluppo dell’identità nell’età evolutiva: quand’è che una persona deve compiere la sua scelta? A 10 anni? A 15 anni? A 18 anni? A 30 anni? C’è molta confusione a questo riguardo, ed il seminario propone un tentativo di riflettere su queste cose.
La questione del genere ha guadagnato sempre più rilevanza per il mondo cattolico. Secondo lei per quali ragioni?
Facchini: Direi che questa aumentata rilevanza nel mondo cattolico è stata la reazione all’enfasi che è stata data a questo tema nel mondo laico. Negli ultimi decenni si è accentuato questo interesse: prima con la questione del femminismo, poi questa del genere. È in relazione a questo che il mondo cattolico si è posto il problema, perché in realtà è in gioco l’identità della persona, dell’uomo, che include appunto la differenza sessuale. Non è che si possa dire, tuttavia, che non c’è mai stata attenzione tra i cattolici a questi temi: quello dell’omosessualità è sempre stato ben presente nella dottrina e nella morale cattolica, non è venuto fuori adesso. Oggi, in una visione dell’uomo che vorrebbe costruire una sua identità a prescindere dalla base biologica, il tema del giudizio morale di certi comportamenti viene fuori, emerge. Per esempio, una cosa che mi sembra non corretta è di fare delle categorie circa le questioni del genere. Non ha senso fare categorie, perché esistono gli individui con i loro problemi, con le loro diversità, e non sono facilmente catalogabili o sovrapponibili.
Esistono posizioni univoche nel modo di vedere questione del “genere” nel mondo cattolico oppure ci sono delle divisioni?
Facchini: Io credo che ci possano essere delle sensibilità diverse. A livello di comportamento individuale anche questa sensibilità diversa può avere una sua influenza. Però io penso non ci siano delle posizioni divergenti, o di cedimento, per così dire, nel mondo culturale cattolico riguardo alla teoria del genere. Non penso. Mi sembra che anche il discorso della sessualità, pur riconducendolo all’individualità dei soggetti, dal punto di vista morale induca ad un giudizio abbastanza chiaro. Non ci sono dubbi sul tema dell’omosessualità dal punto di vista della dottrina cattolica, e per un cattolico che voglia essere tale. Però a livello individuale credo che anche l’atteggiamento da tenere non sia definibile in termini molto rigidi. A livello oggettivo, invece, il giudizio sul comportamento non può che essere univoco per dei cattolici.
Come legge le parole di comprensione da parte di Papa Francesco sul mondo dell’omosessualità?
Facchini: Mah, diciamo che lì il papa l’hanno un po’ tirato per la giacchetta, per così dire. Su quello che più che una comprensione può essere un attitudine che porta ad “evitare il giudizio”, come lui ha detto, sulle persone. Queste non possono essere giudicate, ma i comportamenti, da un punto di vista oggettivo, sono quello che sono. Qui credo che la dottrina non sia cambiata, e nemmeno il pensiero del Papa sia cambiato a questo riguardo. Finora non si è espresso in modo esplicito su questi comportamenti. Ha lasciato intendere che pur nella comprensione della situazione soggettiva la dottrina cristiana, e anche Padre Lombardi ha chiarito la posizione del Papa su questo, rimane quella che è.
La questione del genere segnala che occorre ricostruire un rapporto corretto tra natura e cultura: in che direzione?
Facchini: Il discorso è complesso. Quando dico “natura” non intendo qualcosa di cristallizzato e assolutamente identico per ogni soggetto. La natura ha si delle grandi linee, per così dire, dei canali in cui si esprime a riguardo di quelle che possono essere considerate le basi biologiche del comportamento umano. Questa canalizzazione però non implica che a livello personale non possa esprimersi con modalità diverse. Per questo credo che a livello personale siano da evitare le rigidità; non nel senso che la natura non abbia i suoi orientamenti e le sue direzioni, ma non è qualcosa di statico e prefissato, uguale per tutti. Forse lì la difficoltà maggiore è proprio di vedere, tenendo conto di quale possa essere anche la situazione individuale, come si possa inserire un lavoro culturale, sia nell’identificazione della propria sessualità, sia nell’eventuale aiuto che si può dare alla natura. Un aiuto vuol dire favorirla, non distorcerla o di cambiarne l’orientamento. Se uno è cresciuto in certo ambiente io credo che vada il più possibile riportato in quello che sarebbe l’orientamento naturale, anche se l’espressione sua ha qualche difficoltà.
Prof. Cardia, in che modo la questione del genere incide sui diritti del minore nel sistema giuridico italiano?
Cardia: Le problematiche legate alle teorie del ‘genere’ ricadono pesantemente sui diritti del minore, previsti e codificati oltre che nel sistema giuridico italiano, dalle Carte internazionali dei diritti umani. In linea generale, svincolare la procreazione, e l’istituto matrimoniale, dal rapporto di coppia naturale, pone un problema di identità, e di garanzie di crescita ed educazione, per il minore. Attraverso diverse modalità della procreazione assistita, il minore può nascere senza sapere chi sono i suoi genitori, e senza poter chiedere chi sono: quindi in una condizione di isolamento rispetto alla propria storia genetica, e di ignoranza di dati essenziali per la propria salute e la propria psiche. Nel caso poi (ma in via di diffusione) della maternità surrogata si può giungere a risultati paradossali, di un minore diviso tra madre biologica e madre sociale, conteso tra queste due figure (e connessi soggetti parentali) qualora una delle due non sia fedele al patto (un vero e proprio contratto) stabilito all’origine dell’esperienza. Nell’altro caso estremo dell’adozione di minori da parte di coppie gay viene meno, del tutto e definitivamente, il progetto naturale di crescita ed educazione dei più piccoli dentro l’orizzonte della complementarietà dei sessi, con una sperimentazione che nega alla radice il ruolo della doppia identità sessuale nelle figure centrali per la nascita e la cura delle nuove generazioni. Anche una semplice lettura della legislazione familiare italiana, e delle Carte dei diritti umani (ad es. la Convenzione dei diritti del fanciullo) fa comprendere come queste situazioni – e il retroterra culturale che le sostiene – siano in aperto conflitto con norme e principi che affidano al padre e alla madre il compito di educare i figli, con una sottolineatura speciale per il ruolo della madre, e chiedono allo Stato e alla società di sostenere la paternità e la maternità nel loro ruolo complementare per lo sviluppo dei minori.