In uscita altri due libri sul gruppo di giovani tedeschi che sacrificarono la propria vita per opporsi al regime di HitlerLe storie del passato, si sa, rivisitate dai film o dai libri in realtà raccontano sempre di noi e del presente. Un esempio come quello dei giovani della Rosa Bianca, già rappresentato dal cinema, dal teatro e analizzato in molti libri, ci parla ancora con voce chiara e potente. Soprattutto parla ai ragazzi di oggi, schiacciati da condizioni sociali ed economiche che sembrano vanificarne ogni iniziativa e ridurli all’immobilità. Ma quei cinque studenti tedeschi, che con i loro volantini cercarono di svegliare un intero popolo dal torpore a cui la propaganda nazista li aveva ridotti, dalla Storia si rivolgono ancora ai nostri giovani, li incoraggiano ad alzare la testa, a dire la loro, anche quando sembra che nessuno ascolti. Lo fanno attraverso opere saggistiche e artistiche come quelle che sono state presentate lunedì presso il Teatro Sociale di Brescia: si tratta di una raccolta di saggi, La Rosa Bianca. La sfida della responsabilità (editore Ipoc), e di La Rosa Bianca, un testo teatrale di Lillian Groag (editore Morcelliana). Aleteia ha incontrato Marta Perrini, curatrice del primo volume.
Ci parla del libro che ha curato?
Perrini: Il volume è stato fortemente voluto dalla Cooperativa Cattolica Democratica di Cultura (CCDC), che da anni è molto sensibile al tema della Rosa Bianca ed è stata tra le prime associazioni culturali a farlo conoscere in Italia, partendo da Brescia. Il libro raccoglie alcuni saggi di una precedente pubblicazione sempre della CCDC, e ne presenta tre inediti. Uno di questi è di Wolfgang Huber, figlio di Kurt Huber, il professore di Filosofia dell’Università di Monaco, a cui i ragazzi della Rosa Bianca chiesero, dopo il quarto volantino, di collaborare con loro. Il prof. Huber redasse quasi completamente insieme con Hans Scholl il quinto volantino e per questo venne arrestato. Tra i primi arrestati ci furono, invece, Hans e Sophie Scholl e Christoph Probst presi in flagrante.
Chi erano i membri della Rosa Bianca?
Perrini: Erano in cinque – Hans e Sophie Scholl, Christoph Probst, Alexander Schmorell e Willi Graf – più questo professore. Erano fondamentalmente un gruppo di amici; Hans e gli altri tre ragazzi frequentavano medicina. La cosa per me più interessante è che sono un gruppo ecumenico ante-litteram: Schmorell era ortodosso, Graf era cattolico e gli Scholl erano protestanti, anche se pare che avessero iniziato un processo di conversione al cattolicesimo e che solo in punto di morte abbiano scelto di non ricevere il battesimo cattolico.
Quanto è durata la loro attività?
Perrini: La loro attività è stata in realtà molto breve. La loro è una storia di amici – inizialmente sono quattro perché Sophie si aggiunge dopo – che si incontrano la sera. Ci sono racconti molto belli in cui stanno insieme e cantano, e poi cosa succede? Che iniziano a cantare canzoni vietate dal regime, che i libri che più amano sono vietati dal regime. Pensiamo che alcuni di loro avevano fatto parte della Gioventù Hitleriana, e anche questo è curioso. Hans e Sophie ne erano stati i capi, eppure i primi germi della loro opposizione al nazismo iniziano quando si accorgono che le opere d’arte che amano e le loro grandi passioni sono vietate dal regime. Sophie Scholl lascia la Gioventù Hitleriana in quanto non può leggere i libri di Haine, scrittore ebreo. Quindi fin da giovanissimi, all’università, durante serate conviviali in cui discutono di arte, letteratura e politica, si chiedono: “cosa possiamo fare?”. Non avevano il becco di un quattrino: anche il titolo del nostro libro pone molta enfasi sul fatto che a spingerli è il senso di responsabilità. In uno dei volantini scrivono “non basta sapere le cose, bisogna agire”, e “il singolo porta l’intera responsabilità”, sono frasi di Willi Graf. Avvertono questa responsabilità, per ciò che il Nazionalsocialismo sta facendo: e nei loro volantini parlano della battaglia di Stalingrado, portano i primi dati dei morti della campagna di Russia, parlano dell’eccidio degli ebrei, anche se non hanno dati precisi. Prefigurano anche dei valori morali: parlano di solidarietà, di un’Europa federale, che a quei tempi era più di un’utopia. Però la loro attività di produzione di volantini, iniziata in uno scantinato trovato tramite un amico tipografo, e la loro distribuzione vanno da giugno del ’42 al settembre del ’43.
Sono l’unico esempio di opposizione cristiana nella Germania di HItler?
Perrini: Anche se bisogna stare attenti a non bollarli solo in questo modo, avevano dato una chiara matrice religiosa alla loro opposizione: in un volantino c’è scritto espressamente “chiedo a te che sei cristiano, come potrai un giorno rendere conto dell’eccidio degli ebrei? E di non aver fatto nulla?”. Si tratta senza dubbio di una resistenza cristiana, anche se non è la sola; in realtà c’è molta ignoranza sulla resistenza tedesca. E’ stata molto più ampia di quanto noi non crediamo, basti pensare che nel ’45, quando gli alleati entrarono a Berlino, trovarono più di 3.000 ebrei nascosti in case di berlinesi. Ci sono tanti altri esempi: ricordiamo anche che qualcuno dei congiurati del luglio del ’44 era cristiano. Oppure pensiamo a Franz Jägerstätter, un contadino austriaco, membro dell’Azione Cattolica, che decise di disertare, non si arruolò, e per questo fu ucciso.
Quali sono i valori di quell’esperienza validi ancora oggi?
Perrini: La cosa più bella e vitale di quest’esperienza è il fatto che siano ragazzi simili ai nostri. Erano giovani che non avevano mezzi, e vivevano un senso di impotenza molto diffuso tra i giovani d’oggi, che si dicono: “non posso cambiare niente”. Anche loro in parte lo pensavano. La cosa bellissima è che loro ce l’hanno fatta aiutandosi solo con i propri mezzi, con notti insonni, con caffè su caffè, andando a recuperare le buste o la carta (andare alle Poste per farne richiesta voleva dire, in caso di quantità sospetta, venire automaticamente indagati). Con vari espedienti e piccole bugie, con la fatica quotidiana e la forte spinta dell’amicizia riuscirono a darsi da fare con il ciclostile, in un clima allegro e festoso. Ci hanno insegnato che giovani che amano la vita possono pensare di perderla per dei valori che sono più in alto di loro. Non si sono lasciati piegare dall’impotenza e hanno pensato, anche un po’ ingenuamente, di spiegare alla popolazione attraverso dei volantini come stavano le cose e che qualcosa poteva cambiare. C’era una forte spinta utopica. Si sentivano addosso la responsabilità per quello che accadeva, sapevano che non si è mai innocenti quando si ha coscienza delle cose, anche quando uno pensa di avere le mani legate nel proprio piccolo qualcosa può fare, ed è qualcosa che può avere una reale incidenza. Per la ricostruzione morale della Germania questi ragazzi sono stati fondamentali, dato che nel ’43 la Royal Air Force ha lanciato su Berlino migliaia di copie del loro ultimo volantino. A noi hanno insegnato anche a guardare con gli occhi dell’altro e ai tedeschi di allora, che non avevano alcun interesse a rischiare la vita per denunciare che gli ebrei stavano morendo, che non si potevano tirare indietro.