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102 anni, 85 da consacrata: l’amore per Dio e la dedizione agli altri giustificano la felicità

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Aleteia - published on 16/03/15
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Intervista a Madre Jovita, religiosa spagnola a Puerto RicoMadre Jovita, in quest'anno della Vita Consacrata il Papa ci invita a fare memoria grata di tutta la nostra esistenza. Cosa ci dice dei suoi 85 anni di vita consacrata e dei 102 anni di età, della sua nascita alla vita, alla fede, alla vocazione?

Sono nata ad Añorbe il 14 novembre 1912. I miei genitori hanno reso fecondo il loro amore con sette figlie, quattro delle quali hanno seguito il Signore come Serve di Maria.

Ero una bambina molto allegra, giocherellona, mi piacevano le feste. Fin da molto presto si è risvegliato in me il desiderio di essere missionaria. Ricordo in particolare che un giorno in cui stavo recitando il Rosario ho sentito il primo impulso a diventare religiosa.

Ne ho parlato con mia madre, che mi ha chiesto perché non andavo a far visita alle Serve di Maria, dove si trovava già una delle mie sorelle. Mio padre, però, resisteva all'idea che un'altra figlia se ne andasse di casa.

A poco a poco qualcosa dentro di me ha iniziato a cambiare. Continuavano a piacermi le feste, ma il divertimento aveva un'altra prospettiva di ricerca più profonda.

A 18 anni ho decido di entrare in convento. Mi hanno accompagnato i miei genitori e il sindaco del paese, che andava a Madrid per alcune questioni. Qualche mese dopo, nella Casa Madre, abbiamo iniziato il noviziato, il 30 giugno 1930. La nostra Sorella Ausiliare, suor Florencia Janer, ci instillava sempre l'amore per Dio e la bontà d'animo, perché ci formassimo come buone figlie di Santa María Soledad, la nostra fondatrice.

Negli anni Trenta in Spagna è caduta la monarchia borbonica. È iniziata un'epoca di persecuzione religiosa e siamo state trasferite dal noviziato di Madrid un gruppo a Pamplona e un altro, del quale facevo parte anch'io, a Parigi.

Ci muovevamo senza l'abito, per passare inosservate, come la Superiora che ci venne a prendere, Madre Laura. A Parigi abbiamo continuato la formazione fino alla professione, l'8 luglio 1931. Poi siamo tornate alla Casa Madre per studiare infermeria. Al termine di questi studi, quando dovevo sostenere l'esame, è scoppiato uno sciopero studentesco all'università, per cui siamo state trasferite a Saragozza per svolgere gli esami.

Qualche settimana dopo la Superiora mi comunicò che ero stata destinata a Porto Rico insieme a Suor Martirio, Suor Margarita e Suor Nieves, il 3 agosto 1933. La mia prima destinazione è stata la casa di Ponce, dove ho iniziato la vita di assistenza ai malati come Serva di Maria. Ricordo che la prima paziente della quale mi sono presa cura si chiamava Doña María e dovevo somministrarle sieri intravenosi.

Visto che l'attrezzatura era diversa da quella che usavamo in Spagna avevo un po' di paura, ma mi sono affidata con forza alla nostra Santa Madre e grazie alla sua intercessione ho potuto agire correttamente e somministrarle i medicinali prescritti. Nel 1938 sono andata all'Avana e per otto mesi ho ricevuto la formazione per la Professione Perpetua, fatta il 1° luglio 1938. Poi sono tornata a Porto Rico, sono rimasta a Ponce e qualche anno dopo sono andata alla casa di Mayagüez fino a che, il 17 febbraio 1959, sono stata nominata Maestra delle Novizie.

In seguito ho servito come Superiora nelle case di San Juan (1966-1972), Ponce (1972-1982) e Santiago (1982-1985). Sono arrivata in questa comunità di Aibonito il 29 aprile 1995. Anche qui sono stata molto felice. Insisto sul fatto che in ogni tappa della mia vita è stato Dio a guidarmi. Mi ha dato una gioia profonda anche tra le difficoltà, non ha mai deluso le mie speranze.

Vivere il presente con passione è la seconda sfida di quest'anno. Come può descrivere il suo “oggi”, cosa sostiene la sua allegria?

Solo l'amore per Dio e la dedizione agli altri giustificano la felicità. Volevo essere missionaria e sento che questo desiderio si è realizzato quando vegliavo il sonno dei malati e mi sforzavo di assisterli come Cristo stesso, visitando spiritualmente il “Tabernacolo più abbandonato”; quando vegliavo sul bene delle consorelle, dei poveri, della gente. Questo desiderio si compie ora, in questa “gioventù di 102 anni”, quando prego per l'aumento delle vocazioni, per le necessità della Chiesa, del mondo, dell'Istituto, delle consorelle, dei missionari e delle tante persone che porto nel cuore.

Sarò per sempre missionaria, e alla fine incontrerò faccia a faccia Colui che un giorno ha pronunciato il mio nome e mi ha inviato a diffondere la sua Buona Novella in tutto il mondo. Allora intercederò per coloro che ho conosciuto e amato, insieme alla Vergine della Salute, mio modello e Madre. Tutto questo fa sì che il mio presente sia sereno ma non noioso, pieno del dinamismo dello Spirito e della passione di sapere che Cristo è sempre con me.

E il futuro… come trovarvi la speranza?

Il nostro carisma-missione di Serve di Maria Ministre degli Infermi è conforme a quello che la Chiesa ci chiede oggi con la voce di papa Francesco. La nostra vocazione ci pone sempre “in uscita” verso le periferie esistenziali del dolore umano, e questa uscita ci permette di trovare sempre la speranza.

Speranza di poter essere felici, gioiosi nel servizio, essendo apostoli tra i malati, tra le loro famiglie.

Se vogliamo perseverare nella vita religiosa dobbiamo essere fedeli alla preghiera, non come dovere da compiere, ma perché è lì che possiamo sperimentare l'amore di Dio, che ci ha amati per primo, quell'amore che ci dà ottimismo, entusiasmo, speranza. E tutto ciò fa crescere la speranza, che è “stare in tensione verso la rivelazione, verso la gioia che riempirà la nostra bocca di sorrisi”, è essere ancorati alla roccia della fede, abbandonati nelle mani di Colui che non delude mai.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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