Marchetti: “La consapevolezza della responsabilità insieme globale e personale è il contributo più importante dell’enciclica Laudato si'”“Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo?”. E’ l’interrogativo che papa Francesco pone a tutti attraverso l’enciclica “Laudato si’” nella quale la sollecitazione per la cura della “casa comune” è invito a ritrovare, in una “ecologia integrata”, il giusto rapporto tra uomo e creature inscritto nel disegno della Creazione. L’intervento umano è alla base dei numerosi squilibri e dei gravi problemi ambientali che affliggono il pianeta, a cui bisogna porre rimedio salvaguardando al contempo luoghi – come l’Amazzonia e il bacino fluviale del Congo – che richiedono una cura particolare a motivo dell’enorme importanza per l’ecosistema mondiale, mettendoli al riparo dalla speculazione e dall’ avidità di soggetti internazionali. Aleteia ne ha parlato con Marco Marchetti, docente di Scienze e tecnologie forestali ed ambientali all’Università degli studi del Molise.
Quanto sono importanti per il pianeta Amazzonia e bacino fluviale del Congo?
Marchetti: Papa Francesco prende in considerazione quelli che sono considerati gli ultimi due hot spots, “punti caldi” del pianeta. Sono gli ultimi “polmoni” che ci sono rimasti, oltre al sud-est asiatico, fondamentali per la ricchezza di biodiversità e per l’andamento climatico, gravemente compromessi – come denuncia il papa – dalla deforestazione. Anche le foreste boreali costituiscono un ecosistema a rischio, ma ricevono meno attenzione dai media. All’inizio dell’enciclica c’è un bellissimo accenno che riprende una citazione del Patriarca ecumenico Bartolomeo che indica le foreste, le zone umide tropicali, come gli ecosistemi simbolo di quella naturalità che vediamo progressivamente scomparire. Entrambi i leaders religiosi si appellano alla difesa di questi ecosistemi a livello planetario.
In Italia qual è lo stato di salute delle foreste?
Marchetti: In realtà l’Italia è in un fase di espansione forestale. Ci sono luoghi del mondo in cui questo avviene anche oggi, come, per motivi completamente diversi, succede in Cina. Nell’ultimo secolo la Cina ha disboscato tutto il suo territorio e adesso si sta rendendo conto dei danni immensi provocati per cui si procede a ripiantare boschi anche con l’obiettivo di specifiche funzioni produttive. Nel nostro Paese, invece, il bosco sta avanzando su montagne e colline perché stiamo abbandonando le colture e la zootecnia.
Non si tratta, quindi, di un fenomeno del tutto positivo?
Marchetti: E’ un fenomeno positivo per quanto riguarda le compensazioni di Co2 e l’andamento climatico, ma che va a detrimento di altre situazioni che sono tipiche del nostro Paese e che rischiamo in parte di perdere. C’è ancora spazio per il bosco, ma non in tutti gli ambienti, in tutti i paesaggi. La peculiarità del nostro territorio, dal Rinascimento in poi, viene dai paesaggi eterogenei – i cosiddetti “mosaici territoriali” italiani – la cui diversità è stata creata dall’uomo con cambiamenti lenti e impercettibili che erano sintomo di custodia e cura. Oggi questi contesti vengono invece repentinamente abbandonati esclusivamente per motivi economici.
Il venir meno delle foreste a livello mondiale influisce sul clima e anche sulla biodiversità…
Marchetti: Oltre a molti altri effetti. Le foreste hanno un importante ruolo di servizio ambientale ed ecosistemico anche per l’acqua, per l’approvvigionamento di materie prime rinnovabili come il legno o il sughero e, in parte, per la stessa produzione di cibo. Per non parlare degli altri servizi ecosistemici come la funzione turistica, ricreativa, sociale che le foreste svolgono sempre di più in tutti i luoghi del mondo, anche nei paesi in via di sviluppo.
Perché fino ad oggi non si è corso ai ripari?
Marchetti: Le motivazioni a livello globale sono svariate. Il protocollo di Kyoto che aspetta una rinnovata e più impegnativa sottoscrizione nella conferenza di Parigi di quest’anno, già indica le foreste come un elemento importante a livello planetario per la salvaguardia del clima. Tuttavia a quel tempo non si erano incentivati i meccanismi di salvaguardia delle foreste esistenti. I paesi terzi – e soprattutto i paesi in via di sviluppo, i grandi paesi forestali come il Brasile – non hanno avuto sostegni economici per cercare di proteggere le proprie foreste, così come non è avvenuto in nessun’altra parte del mondo. Invece questo meccanismo dovrebbe essere garantito: limitare le emissioni di carbonio inanzitutto vigilando da subito sulla distruzione del patrimonio forestale, soprattutto dove è più a rischio come negli ambienti tropicali. E’ un problema globale di cui ci deve essere consapevolezza a tutti i livelli. Le soluzioni ci sono: il Brasile ha una bellissima legge forestale che garantirebbe tutela e vincoli precisi alle aziende sulle quantità di disboscamento possibile. Peccato che per mancanza di forze e di risorse non riescano a farla rispettare. Questo potrebbe essere un importante campo di cooperazione e sussidiarietà reciproca a livello internazionale.
Quali le strade da intraprendere urgentemente?
Marchetti: L’assunzione di responsabilità non solo da parte dei governi, ma anche degli operatori economici: un prodotto come l’olio di palma, che viene anche “contrabbandato” come combustibile “verde”, è uno dei fattori principali della deforestazione. Il legno non è certamente la motivazione primaria del disboscamento, soprattutto quello illegale, ma altre produzioni nelle quali i piccoli e i poveri vengono sfruttati e strumentalizzati per far posto progressivamente a produzioni di tipo industriale da parte delle multinazionali. Su questo l’enciclica di papa Francesco è estremamente chiara. Le istituzioni internazionali, inoltre, – smettendo di agire in modo individualistico – con le loro proposte devono convincere i paesi a cooperare. Siamo di fronte a problemi che non si possono risolvere a livello di singoli governi: c’è bisogno di leggere la Terra come un sistema interdipendente e l’uomo che, dalla Rivoluzione industriale in poi, si è posto come il dominatore, deve assumere la consapevolezza di essere – prima di tutto – custode. In questo modo anche il grido della Terra che già da anni è anche il grido dei poveri, diversamente che nel passato, potrebbe essere riconosciuto come una priorità assoluta.
Il cambiamento, avverte il pontefice, deve investire anche gli stili di vita individuali…
Marchetti: Occorre capire che il problema sta anche nella modalità di alimentarsi. Puntare ad un’alimentazione basata sulla carne, nella prospettiva che dovrà interessare miliardi di abitanti del pianeta, non potrà che avvenire a scapito degli ecosistemi naturali. Quando coloro che, se va bene, consumano 30 chili di carne all’anno, vorranno arrivare ai 170 degli statunitensi, è facile capire che il processo diventerà insostenibile. Bisognerebbe scardinare i meccanismi di marketing e lavorare sulla responsabilità individuale con la consapevolezza che tutto è legato, anche il momento della scelta del consumatore consapevole. Forse questa consapevolezza di una responsabilità insieme globale e personale è il contributo più importante che offre l'enciclica di papa Francesco.
Ascoltare il grido della Terra
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