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Una teologia “in uscita” per dialogare con il mondo

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Chiara Santomiero - Aleteia - pubblicato il 03/07/15
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La rivista Studia Patavina celebra i 10 anni di vita della Facoltà teologica del TrivenetoNel 2005, nasceva per volontà dell’episcopato regionale la Facoltà teologica del Triveneto con lo scopo di potenziare la formazione teologica dei laici: circa 2 mila nell'anno accademico 2014-2015 su quasi 2500 studenti. Studia Patavina, la rivista della istituzione accademica, dedica un numero monografico (in uscita a settembre) a “Dieci anni di teologia a servizio della chiesa e della cultura”. Come è cambiata la teologia in questi anni? Qual è oggi il compito peculiare di questa disciplina, soprattutto per un’istituzione che mette al centro la formazione dei laici? Aleteia lo ha chiesto al preside della Facoltà, mons. Roberto Tommasi:
 
Si può dire che la mission della Facoltà teologica del Triveneto sia, come è stato detto al momento della fondazione, quella di "non far perdere alla teologia il contatto con la realtà"?

Tommasi: Uno degli obiettivi che abbiamo è proprio quello di una teologia attenta alla vita e ai vari aspetti della realtà dove crediamo si incarni l’amore di Dio.

La prospettiva della “teologia pratica” e della “teologia in uscita” che avete posto alla base dell’insegnamento rappresentano una novità?

Tommasi: In realtà non si tratta di novità assolute. La teologia dei primi secoli della Chiesa nasce proprio dallo sforzo dei monaci e dei pastori delle comunità di tradurre il messaggio di Gesù e del Vangelo nella cultura e per la vita delle popolazioni alle quali veniva annunciato. Sempre, nel susseguirsi delle epoche, la teologia da un lato si è radicata nel mistero di Dio, ma dall’altro è stata figlia del suo tempo. E’ accaduto che con l’affermarsi nel 1700-1800 del razionalismo, anche la teologia abbia assunto una forma razionalistica, riducendosi a volte ad un dibattito prevalentemente teorico e accademico. Nel ‘900, però, sia grazie alle teologie d’Oltralpe, in Germania e Francia e poi anche in Italia, e in particolare in seguito al Concilio Vaticano II, con l’intuizione di papa Giovanni XXIII di un aggiornamento del messaggio cristiano nel senso di una apertura al dialogo con l’uomo contemporaneo, è stato dato impulso a una ricerca teologica improntata a una nuova relazione con i vissuti. Ne sono esempi la teologia politica, la teologia della liberazione ma anche molte istanze dell’etica, della spiritualità. Si tratta di un movimento ampio all’interno della teologia: l’importante è che anche un’istituzione accademica faccia di questo riferimento alla realtà qualcosa che costantemente l’alimenta. Per noi si traduce nello sforzo di dialogare con il mondo dell’Università o con alcune istanze del dibattito pubblico, ma senza perdere di vista il nostro radicamento nel messaggio evangelico, nelle Scritture, nella tradizione cristiana.

Esiste una tensione tra la dottrina e la teologia pratica, come è sembrato, ad esempio, nel recente Sinodo sulla famiglia?

Tommasi: Solo in apparenza, perché la dottrina si preoccupa di stabilire dei riferimenti forti mentre la teologia, in quanto riflessione sulla vita, è più attenta ai cambiamenti. Si tratta di una dialettica salutare: la dottrina riporta elementi imprescindibili affinché l’esperienza umana sia vissuta in modo autentico. Lo sviluppo della vita – in questo caso l’evoluzione dell’istituto familiare, tenendo conto che il Sinodo deve aver presente la famiglia non solo nel contesto italiano ed europeo, ma in quello mondiale con situazioni e diversificazioni molto ampie – spinge la dottrina ad accogliere i cambiamenti. L’obiettivo è cercare di coniugare verità e libertà, o se vogliamo verità e misericordia, perché una verità senza misericordia rischia di essere semplicemente una consolazione fittizia, mentre una verità che non sia capace di farsi vicina con misericordia alle situazioni reali e alle sofferenze delle persone sostenendole nel cammino verso una vita buona, non sarebbe più capace di essere il punto di riferimento che deve essere. E’ in gioco qualcosa di più di una semplice opposizione: la dialettica tra una istanza veritativa e una prassi che è in cammino. Ciascuna delle due non può stare senza l’altra per essere se stessa.

Qual è oggi il compito della teologia?

Tommasi: La teologia deve diventare una partner del dialogo all’interno della società, portando il suo contributo, cioè la visione e il progetto che Dio ha sul mondo e l’umanità. Non dà risposte, ma concorre a trovarle. I problemi di oggi assumono una dimensione globalizzata che richiede una capacità di approccio integrale e non settoriale. Pensiamo al tema dell’ecologia, cui papa Francesco ha dedicato l’enciclica “Laudato si’” o a quello della giustizia: tutti temi rispetto ai quali la Chiesa è impegnata a dialogare con il mondo, riconoscendo il valore della libertà e della creatività dell’uomo che però non va inteso come individualismo esasperato, ma come responsabilità della vita personale, degli altri esseri umani e di tutti i viventi. L’apertura alla trascendenza non toglie nulla all’uomo, ma forse gli restituisce la sua piena libertà. Nella nostra epoca, la Chiesa che spesso è stata accusata, a volte giustamente, di non accettare la libertà dell’uomo è una delle poche istanze che la difende rispetto a tante posizioni culturali che tendono a dire che la libertà dell’uomo non esiste.

La vostra Facoltà teologica nasce soprattutto per la formazione dei laici: la loro presenza cambia la ricerca teologica?

Tommasi: Progressivamente lo farà. Una teologia elaborata con gli occhi e con il cuore di un prete o di una madre di famiglia o di un imprenditore è la stessa teologia, ma in parte è anche diversa, come è in parte diversa una teologia elaborata secondo la prospettiva di un uomo o di una donna. Il nostro obiettivo è da un lato formare docenti di religione e docenti di teologia laici, ma soprattutto formare dei cristiani che abbiano una consapevolezza riflessa, pensata, della loro fede che li possa aiutare a essere testimoni nella società. La formazione teologica diventa così strumento per pensare e interpretare la vita, dentro le professioni e l’esperienza familiare, sociale e politica, con un atteggiamento aperto e dialogante che faccia crescere la società e il bene comune.
 

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