La selettività alimentare riguarda 1 bambino autistico su 2: uno studio dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù
Emanuele (nome di fantasia) non mangia niente che presenti il colore verde: sì alla pasta al sugo di pomodoro, quindi, ma guai a metterlo di fronte alla pasta al pesto. Potrebbe avere una crisi di rabbia capace di sconvolgere tutta la famiglia. Giacomo, invece, mangia tutto: basta che qualsiasi cibo venga frullato. Le selettività alimentari sono un' ulteriore fonte di difficoltà per i genitori dei bambini affetti da autismo, messi continuamente alla prova da un disturbo che, a vari livelli di intensità, chiude i propri piccoli nell'isolamento e compromette il contatto emotivo. All'argomento i ricercatori di neuropsichiatria infantile dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù hanno dedicato uno studio specifico, il primo che indaga le differenze tra bambini autistici con selettività alimentare e senza selettività. E’ stato condotto su un gruppo di 158 bambini e ragazzi tra i 3 e i 18 anni con sindrome dello spettro autistico, la metà dei quali con abitudini alimentari molto particolari. I risultati della ricerca, nella quale sono stati coinvolti anche i genitori, sono stati recentemente pubblicati sulla rivista scientifica "Appetite".
"La selettività alimentare – spiega ad Aleteia Luigi Mazzone, neuropischiatra infantile dell'Ospedale Bambino Gesù – è frequente nella popolazione pediatrica, ma nei bambini affetti da autismo può arrivare al 50/60 per cento dei casi. I bambini selezionano il cibo in base alla consistenza o al colore, al sapore e anche in base alla presentazione nel piatto secondo uno schema preciso. Alcuni si alimentano solo con cibi solidi o solo liquidi. Tutto questo, chiaramente, diventa un grande fattore di stress per i genitori che spesso si rivolgono a noi disperati perchè non riescono a far accettare un nuovo cibo o un cibo che abbia una consistenza diversa o un colore che non sia rosso o verde.
Il vostro studio evidenzia che queste abitudini alimentari così peculiari non incidono sulla gravità del disturbo, è così?
Mazzone: Lo studio ha esaminato bambini autistici con e senza selettività alimentare. Non è emersa una differenza di gravità nei sintomi autistici che presentano i diversi gruppi. E' invece diversa la percezione dei genitori che di fronte a un bambino selettivo avvertono come più grave l'autismo dei propri figli, più problematico e difficile da gestire anche perché si combina ad alcune caratteristiche tipiche della malattia come la ritualità, la ripetitività o l’ipersensibilità.
Quali sono le strade che si aprono in questo campo?
Mazzone: Il risultato raggiunto diventa cruciale per il prossimo passo della ricerca: se l'obiettivo è dare un sollievo alle famiglie, occorre individuare le criticità. Una criticità è senz'altro la selettività alimentare e offrire degli strumenti per gestirla aiuta i genitori a percepire come meno autistico il proprio figlio. A questo scopo nel futuro verranno organizzati dei gruppi di "parent training" per la gestione della selettività alimentare. Una cosa diversa dalla ricerca organizzata secondo determinati standard metodologici, sono i consigli che già a livello ambulatoriale o di day hospital vengono dati ai genitori per aiutarli a trovare soluzioni in grado di far accettare un nuovo cibo che, in ogni caso, deve essere sempre gradualmente inserito nell'alimentazione per non correre il rischio di stressare ulteriormente il bambino. Nello stesso piatto, ad esempio, si possono presentare due cibi, uno che piace al bambino selettivo e uno nuovo: così il cibo gradito può diventare un rinforzo positivo se il piccolo mangia un boccone del cibo non gradito.
Quanto sono diffusi oggi i disturbi dello spettro autistico?
Mazzone: Le ultime stime che arrivano dagli Stati Uniti affermano che viene colpito un bambino su 65-66. In Italia non esistono dati ufficiali a livello nazionale e quindi prendiamo per buoni quelli statunitensi. E' fondamentale in questo campo la diagnosi precoce: riconoscere precocemente dei sintomi autistici significa una presa in carico precoce e un trattamento precoce indirizzato, come affermano le Linee guida, a un cognitivo comportamentale.
Quali sono i segnali che devono mettere in allarme i genitori così da arrivare al più presto a una diagnosi corretta?
Mazzone: Nei primi 2-3 anni di vita ciò che può mettere in allarme un genitore è un ritardo del linguaggio; nei primi 24 mesi, si possono notare la tendenza all'isolamento e la mancanza di contatto curale, insieme a interessi ristretti e a comportamenti ripetitivi o stereotipati. Anche le crisi eccessive di agitazione o di rabbia sono un segnale a cui dare attenzione, ma soprattutto bisogna stare attenti ai primi tre fattori: ritardo del linguaggio, tendenza all'isolamento e mancanza di contatto curale. Una diagnosi precoce è davvero in grado di cambiare il decorso di un bambino e della sua famiglia.