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Un rifugiato a casa mia? Sì, grazie

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Chiara Santomiero - Aleteia - pubblicato il 11/09/15
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Dopo l’appello di papa Francesco si moltiplicano le offerte di alloggi. Caritas italiana sperimenta un modello di accoglienza in famigliaOgni parrocchia accolga una famiglia di profughi. Lo faranno per prime le due parrocchie del Vaticano. Cominciamo dalla mia diocesi di Roma”: l’appello di papa Francesco all’Angelus del 6 settembre da piazza s. Pietro per dare rifugio ai profughi che, soprattutto in fuga dal conflitto siriano, si stanno riversando in Europa tentando di scavalcare confini e barriere di polizia, non è caduto nel vuoto. Sono decine le offerte di disponibilità di alloggi arrivate in pochi giorni ai vescovi diocesani, alle Caritas e anche ai media da parte di strutture religiose, parrocchie e anche privati. Una gara di generosità che andrà organizzata secondo modalità che saranno individuate nella riunione del Consiglio episcopale permanente dei vescovi italiani che si svolgerà dal 30 settembre al 2 ottobre prossimi.

 

In un comunicato stampa il presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinal Angelo Bagnasco e il segretario, mons. Nunzio Galantino, hanno ricordato come papa Francesco, per l’Anno della Misericordia, chieda di “aprire il nostro cuore a quanti vivono nelle più disparate periferie esistenziali, che spesso il mondo moderno crea in maniera drammatica” e poi chiude in un’“indifferenza che umilia”.

 

Un modello di accoglienza in famiglia dei profughi è stato già sperimentato nel 2013 da Caritas italiana con il progetto nazionale “Rifugiato a casa mia”.

 

Rispetto al modello “tradizionale” di accoglienza presso strutture di vario tipo, il progetto ha messo al centro la famiglia con la sua capacità di accompagnare le persone arrivate nel nostro Paese in cerca di protezione verso l’autonomia e l’inserimento nel tessuto sociale.

 

“Rifugiato a casa mia” si è rivolto quindi, spiegano gli operatori di Caritas italiana, ad duplice target di destinatari:  i richiedenti la protezione internazionale e i rifugiati ai quali è stata proposta una forma di accoglienza alternativa ai circuiti istituzionali e le famiglie che hanno avuto l’opportunità di sperimentarsi nell’accoglienza di persone provenienti da contesti e culture differenti.

 

I primi arrivavano in genere dal percorso di accoglienza Sprar (Servizio di protezione dei richiedenti asilo e rifugiati) e avevano già sperimentato una prima accoglienza in strutture che facevano capo alla rete delle Caritas diocesane. Tra le famiglie sono state selezionate quelle in grado di garantire le condizioni migliori per offrire non solo un tetto sulla testa e dei pasti, ma per accompagnare le persone accolte a diventare autonome e a inserirsi gradualmente nel contesto sociale dei luoghi di accoglienza.

 

Per aiutare le famiglie – adeguatamente formate – in questo compito delicato il progetto ha previsto un tutor che per tutta la durata dell’accoglienza di sei mesi ha monitorato lo svolgimento dell’esperienza, con attenzione alle dinamiche psicologiche e relazionali attivate.

 

La parte di formazione, monitoraggio e accompagnamento è stata affidata da Caritas Italiana al Consorzio Communitas Onlus, un consorzio di Caritas Diocesane che ha messo a disposizione del progetto operatori professionisti esperti del settore.  Durante l’attuazione del progetto sono stati dunque previsti momenti di verifica volti alla valutazione dell’andamento delle accoglienze attivate intervenendo sulle eventuali problematiche.

 

La sperimentazione ha registrato un vero successo, “oltre le aspettative” secondo Caritas italiana. Sono state 11 le Caritas diocesane coinvolte nel progetto: Teggiano-Policastro, Aversa, Cagliari, Volterra, Senigallia, Rimini, Faenza, genova, Savona, Milano, Biella, Pordenone e Trento). Dell’accoglienza hanno beneficiate 32 persone : 23 singoli (23) e 2 nuclei familiari con 5 minori, ospitati da 22 famiglie italiane. Tutte le esperienze hanno avuto esito positivo con soli due beneficiari usciti prematuramente dall’ospitalità per auto esclusione.

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