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Armin T. Wegner: il fotografo del genocidio armeno che si oppose all’Olocausto

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Chiara Santomiero - Aleteia - pubblicato il 24/10/15
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A 100 anni dal massacro degli armeni e a 70 dall’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, la storia di un uomo che ebbe il coraggio di rimproverare HitlerLa storia distribuisce a volte strani destini. Può capitare a un uomo di assistere al massacro di innocenti, di diventare testimone non solo di un genocidio, ma addirittura di due, e di dover scegliere da che parte stare. E’ accaduto ad Armin Theophil Wegner, un militare, uno scrittore e un difensore dei diritti umani tedesco.

Nato nel 1886 in una rigida famiglia prussiana, Armin è sensibile alle lettere, all’arte, compone poesie e si propone di diventare scrittore, ma sceglie di arruolarsi nell’esercito come paramedico per “tenere il timone della mia vita nelle mie proprie mani”.

Tra il 1914 e il 1915, mentre è in corso la Prima Guerra Mondiale, il giovane sottotenente del Corpo sanitario tedesco si trova nel distaccamento presso la Sesta Armata dell’Impero ottomano, di cui la Germania è alleata, dislocato lungo la ferrovia per Baghdad, tra la Siria e la Mesopotamia. Qui assiste alle marce della morte del popolo armeno: giovani e anziani, donne e bambini, trascinati nel deserto dell’Anatolia per morire di stenti, condannati dall’ideologia nazionalista del governo dei Giovani Turchi.

 

Foto dell’archivio Wegner

I volti fissati dall’obiettivo di Wegner consegnano alla storia la sofferenza di un popolo non meno delle immagini dei morti

Wegner non riesce a chiudere gli occhi davanti a tanta sofferenza e diventa il testimone consapevole della prima pulizia etnica documentata dei tempi moderni. Disobbedisce agli ordini che impongono di nascondere le notizie dei massacri, raccoglie appunti e documenti dei campi di deportazione di Deir Ez-Zor, accetta di consegnare lettere dei deportati. Soprattutto, scatta centinaia di fotografie: la maggior parte gli vengono confiscate, ma quando i tedeschi, su richiesta dei turchi, lo richiamano in Germania, riesce avventurosamente a portarne molte in Occidente, nascondendo i negativi nella cintura e salvando così una delle prove più importanti che si hanno oggi del genocidio degli armeni.

https://youtu.be/iNm8GB5ieG4

Gabriele Nissim: “Wegner fotografò ciò che non aveva ancora parole per essere chiamato: il genocidio di un popolo”

Negli anni successivi alla Prima Guerra Mondiale, Wegner organizza delle conferenze a Berlino e pubblica testi nei quali racconta le atrocità commesse a danno degli armeni, arrivando anche ad indirizzare una lettera aperta al presidente degli Stati Uniti, Thomas Woodrow Wilson, nel 1919. Nessuno poteva immaginare allora che quello degli armeni sarebbe stata una specie di prova generale dei genocidi del XX secolo. Solo Hitler, che aveva già in mente l’Olocausto quando disse nel 1939: “Chi si ricorda oggi il massacro degli armeni?”.

L’ascesa del nazismo in Germania segna l’inizio della discriminazione degli ebrei. Wegner, di nuovo, non resta indifferente: nel 1933 scrive una lettera ad Adolf Hitler in cui spiega al Cancelliere del Reich come la persecuzione dei cittadini tedeschi di razza ebraica sia destinata a rivelarsi un boomerang per il Paese.

“Su chi cadrà un giorno lo stesso colpo che ora si vuole assestare agli ebrei, se non su noi stessi? Dopo che gli ebrei si sono perfettamente integrati, contribuendo ad accrescere la ricchezza della Germania, se si vuole eliminare la loro presenza ciò porterà necessariamente alla distruzione dei valori tedeschi e del nostro carattere morale”.

E in modo quasi profetico:

“Con la tenacia che ha permesso a questo popolo di diventare antico, gli ebrei riusciranno a superare questo periodo, ma la vergogna cui va incontro la Germania a causa di ciò non sarà dimenticata per lungo tempo”.

Dopo la pubblicazione della lettera, Wegner viene arrestato dalla Gestapo, imprigionato e torturato. Una ingenuità pensare di poter convincere Hitler a cambiare idea sugli ebrei? Il figlio di Wegner, Mischa, testimonia il profondo senso di giustizia che animava suo padre.

https://youtu.be/HHIRzzRx0Uo

Misha Wegner ricorda la determinazione del padre

Il 10 maggio del 1933, in varie città tedesche, i nazisti bruciano in un gigantesco rogo i libri degli scrittori non graditi, tra i quali Wegner. Lo scrittore viene internato in vari campi di concentramento nazisti. Dopo il rilascio, fugge a Roma dove vive fino alla morte nel 1978. Nella sua casa solo libri tedeschi, nel rimpianto mai venuto meno della sua patria e della sua cultura.

Misha Wegner: “Ciò che accomuna tutti coloro che subiscono un genocidio è l’essere espulsi dal proprio stesso popolo. E’ ciò che accadde anche a mio padre”

Si può parlare di Wegner come un eroe senza macchia e senza paura? E’ più giusto descriverlo come un uomo che amava profondamente la vita e credeva nel dovere di denunciare le ingiustizie perché “chi fa del male agli altri, fa del male a se stesso”.

https://youtu.be/Y6JkkU8WEP4

Gabriele Nissim: “Dobbiamo raccontare la ‘banalità del bene'”

Nel 1967 Yad Vashem, il Museo dell’Olocausto di Gerusalemme, ha attribuito a Wegner il titolo di “Giusto fra le Nazioni”. L’Armenia lo ha insignito dell’Ordine di san Gregorio l’Illuminatore e, dopo la morte, ha accolto parte delle sue ceneri onorandolo con un funerale postumo presso la Fiamma Eterna del Memoriale del Genocidio armeno.

L’iscrizione sulla pietra tombale di Wegner riecheggia le parole attribuite a papa Gregorio VII nel 1085:

Amavi iustitiam odi iniquitatem
. Propterea morior in exsilio

Ho amato la giustizia e odiato l’iniquità
. Perciò muoio in esilio

Un’eredità che resta attuale anche davanti alle tragedie del nostro tempo.

https://youtu.be/EW1bx9lVRnA

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