Dopo cinque anni arriva in Anatolia il successore di mons. Luigi Padovese. Bizzeti: “Se c’è pace in Medio Oriente, c’è pace in tutto il mondo”E’ in festa la Chiesa cattolica dell’Anatolia: dopo cinque anni un nuovo vescovo torna a guidare il territorio della Turchia che comprende i luoghi della predicazione instancabile di san Paolo e Barnaba, Tarso dove nacque l’apostolo delle genti, Antiochia dove i cristiani furono chiamati così per la prima volta. Luoghi che mons. Paolo Bizzeti, 67 anni, gesuita di origini fiorentine, conosce bene perché da biblista appassionato li ha percorsi ripetutamente accompagnando nel corso di 35 anni numerosi gruppi di pellegrini a conoscere i luoghi nei quali la comunità cristiana si è sviluppata mettendo le radici che l’avrebbero portata ad espandersi in tutto il mondo. Bizzeti succede a mons. Luigi Padovese, il cappuccino scomparso tragicamente il 3 giugno 2010, assassinato dal suo autista. Una vicenda che ha segnato in profondità la comunità “e i cui effetti si avvertono ancora in modo visibile” dice mons. Bizzeti ad Aleteia nel giardino del complesso di Iskenderun dove ha sede l’episcopio, il convento dei frati minori francescani e il Centro per il dialogo interreligioso dedicato a don Andrea Santoro.
Qual è oggi il volto della Chiesa di Anatolia?
Bizzeti: Piccole comunità di persone molto attaccate alla loro fede e alle loro chiese in un contesto che presenta non poche difficoltà perché non è semplice essere minoranza. Anche queste comunità, come in tante parti del mondo, hanno bisogno di quel rinnovamento che il Concilio ha portato e che siamo lontani dall’aver preso sul serio, un rinnovamento biblico, un ritorno a quelli che sono i tratti caratteristici del cristianesimo e tutti gli altri aspetti di cui ha parlato papa Francesco nell’”Evangelii Gaudium” e anche nella “Laudato sì”, che riguardano frontiere meno conosciute in ambito cristiano ma che si impongono a tutti, cioè la gestione della casa comune, gli stili di vita.
Quale sarà il suo primo impegno?
Bizzeti: Ricostituire una squadra di persone – presbiteri, religiosi, religiose, laici – che preghi, lavori insieme e che insieme affronti i problemi perché questo è anche lo stile degli Atti degli apostoli. Il cristianesimo si è diffuso nel mondo a partire da Antiochia, ma ad Antiochia c’era un piccolo gruppo internazionale di persone che pregavano, digiunavano ed erano docili allo Spirito Santo. Così dice il capitolo 13 degli Atti degli apostoli nei primi versetti. Penso che questo valga per ogni epoca.
Tutti i cristiani insieme in Turchia rappresentano lo 0,15 della popolazione: una spinta verso ciò che viene definito “l’ecumenismo pratico”?
Bizzeti: Qui si sperimenta un ecumenismo di base per vari motivi. Non sempre ogni confessione cristiana ha i suoi ministri o i luoghi di culto e laddove c’è un servizio liturgico in qualche chiesa cristiana la gente partecipa, perché va all’essenziale. Ad Antiochia cattolici e ortodossi celebrano già il Natale e la Pasqua insieme. Abitare accanto ai musulmani aiuta a rendersi conto che le distinzioni tra i cristiani sono secondarie rispetto al molto che abbiamo in comune e che ci differenzia dagli altri. E’ il vantaggio di abitare un luogo in cui si è minoranza: laddove siamo solo noi, vengono fuori tutte le divisioni anche per motivi secondari. La cristianità si è divisa quando era diventata maggioranza e aveva cancellato tutte le altre presenze. Così sono arrivati scismi e divisioni. Forse per questo anche Gesù aveva voluto la chiesa come piccolo gregge, lievito nella pasta, perché sapeva le tentazioni cui si è esposti quando si diventa forti e potenti. La prima è la divisione.
E il dialogo nel quotidiano tra religioni diverse cosa comporta per i cristiani di Turchia?
Bizzeti: La gente di base è pacifica, aperta istintivamente al trascendente e capace di dialogare. Abbiamo visto in tanti luoghi nella storia che per secoli si è riusciti a vivere insieme in modo sostanzialmente pacifico tra cristiani, musulmani, ebrei e anche altri credo religiosi. Ci sono invece dei periodi in cui cattivi maestri seminano divisione e creano problemi che vengono scontati da tutti. La Turchia fino ad oggi è stata il segno della possibilità di vivere insieme tranquillamente in modo rispettoso. Oggi c’è un inasprimento della situazione di base in tutto il Medio Oriente, cresce dovunque il fanatismo e lo scontro religioso viene usato per l’interesse per l’ascesa al potere di piccoli gruppi. Credo che da questo punto di vista le comunità cristiane in Turchia possono dare molto, perché intanto custodiscono ininterrottamente il patrimonio della fede da 2000 anni e, inoltre, certi avvenimenti è possibile comprenderli meglio dalla periferia – come il sud della Turchia che è un crocevia di popoli e religioni e dove esistono interpretazioni degli avvenimenti più diverse e complesse – che nelle grandi capitali europee. La politica dell’Occidente, purtroppo, non ha tenuto abbastanza in conto l’importanza della libertà religiosa: si è pensato alla spartizione del potere, dei territori, si è pensato ai mercati e al business mentre la libertà religiosa è uno dei pochi fattori veramente fondamentali che fanno la differenza nella convivenza tra gli uomini. Dove c’è un’autentica libertà religiosa, lì possono avvenire cose positive; quando invece si agisce o in nome di Dio o negando Dio, vivendo una sorta di agnosticismo o nichilismo, allora sorgono sempre dei problemi, perché c’è chi ammazza in nome di Dio – evidentemente sbagliando – c’è chi ignora completamente Dio e anche questo è sbagliato. In Turchia i cristiani hanno imparato a vivere con gli altri, sono un fattore di equilibrio e sarebbe un vero peccato che questa minoranza venisse sottovalutata.
Come può la comunità cristiana non essere irrilevante?
Bizzeti: Dipende molto dalle chiese europee e americane; i fedeli che vengono in pellegrinaggio devono farsi ambasciatori dei problemi dei cristiani del Medio Oriente e non semplicemente venire a visitare le pietre morte, ma essere interessati alle pietre vive che sono i cristiani di oggi. A volte c’è molto interesse per i Luoghi Santi e poco interesse per i “santi” come Paolo nelle sue lettere chiamava i cristiani. La scissione tra luoghi e persone, tra geografia, storia, politica, economia, che rende impossibile la vita oggi ai cristiani e altre minoranze religiose, domani potrebbe portare a guerre civili. Tutto questo isola dagli altri –noi vediamo che oggi in Turchia il turismo è crollato, anche quello religioso – e questo non è dannoso solo per i cristiani, ma per tutto un Paese in cui il turismo è una voce importante dell’economia. E acuisce le tensioni sociali. La pace e la convivenza sono qualcosa che “conviene” sempre a tutti. Ci vorrebbe una maggiore riflessione dei cristiani sulla sorte dei cristiani che hanno portato nel mondo la luce del Vangelo perché il Medio Oriente è una sorta di laboratorio: se nel Medio Oriente c’è pace si può sperare che ci sia pace nel mondo: se c’è guerra qui, ci sarà anche a livello mondiale perché tutti sono interessati al Medio Oriente. Lo vediamo per la Siria: tutti vogliono esercitare la propria influenza.
Gli itinerari della predicazione di Paolo in questi luoghi sono forse meno “battuti” di altri…
Bizzeti: C’è un deficit di conoscenza e di riflessione sulla crescita ed evoluzione della Chiesa. Ci si sofferma molto sul momento iniziale – la Palestina, i luoghi evangelici –, ma san Luca ha sentito il bisogno, dopo aver scritto il Vangelo, di scrivere gli Atti degli apostoli, e a questi si aggiungono le lettere di Paolo che parlano delle vite delle comunità. Non basta interessarsi solo alla vita di Gesù, ma capire che Gesù non ci ha lasciato nessun’altra eredità se non una comunità di persone. La storia, l’evoluzione di questa comunità di persone è avvenuta soprattutto qui. Da Antiochia il cristianesimo si è aperto ai pagani, ai gentili, cioè a noi. La Turchia è considerata un po’ una sorella minore rispetto alla Chiesa madre di Gerusalemme, ma è ad Antiochia che i cristiani vengono chiamati per la prima volta come tali: questa è la chiesa canonica, quella su cui dobbiamo maggiormente riflettere se vogliamo reinterpretare nell’oggi il nostro essere chiesa come ci sta invitando di nuovo papa Francesco che non vuole cambiare, ma ricomprendere alla luce della Chiesa del Nuovo Testamento, la Chiesa di oggi.
Se dovesse scrivere come san Paolo una lettera alla sua comunità e alle chiese sorelle cosa direbbe?
Bizzeti: Scriverei la stessa cosa agli uni e agli altri, perché per quanto ho viaggiato, visto e incontrato ho constatato che hanno tutte quasi gli stessi problemi. Riscoprire la bellezza del Vangelo, ritornare a prendere il Vangelo come buona notizia e non solo come codice etico o di alcune verità generali, vale per tutti e quindi condivido pienamente ciò che ha scritto papa Francesco nell’Evangelii Gaudium. Ai cristiani di occidente direi: apritevi, tornate a mandare persone perché non potete pensare di rinchiudervi. Anche se ormai l’Europa è una terra di missione per molti aspetti, però la quantità di preti, suore, laici formati e di possibilità di istituti teologici, corsi di formazione, è infinita rispetto a questi luoghi. Abbiate il coraggio di tornare ad occuparvi delle chiese sorelle del Medio Oriente perché adesso siamo un po’ parenti alla lontana, mentre invece c’è una possibilità di dare e ricevere tra le chiese così come è avvenuto lungo la storia, anche nelle epoche più difficili, con incontri, scambio e ricerca insieme. Le cose viste dal Medio Oriente sono sempre più interessanti.