Una riflessione sui pro e contro dell’emancipazione femminile Le donne sono davvero più libere?
Questa è l’interessante domanda che pone la dottoressa Daniela Notarfonso, direttrice del Centro Famiglia e Vita di Aprilia, Consultorio della Diocesi di Albano, nel suo intervento “Dalla differenza alla reciprocità”, all’interno del libro Gender (Città Nuova Edizioni).
La riflessione sulla presunta libertà della donna è di fondamentale importanza per comprendere più adeguatamente le caratteristiche e i mutamenti della nostra società e per meglio inquadrarne le problematiche sociali e familiari. Abbiamo raggiunto al telefono la dottoressa Notarfonso per avere un confronto con lei alla luce della sua esperienza di medico, bioeticista, donna e madre.
Nel suo contributo dottoressa lei afferma:
«Le conquiste femministe negli ultimi cento anni hanno cambiato completamente i destini delle donne: oggi hanno accesso allo studio, possono svolgere gli stessi lavori dei maschi, hanno una vita sessuale libera e svincolata dalla procreazione. Ma sono davvero più libere? Molte esperienze purtroppo ci dicono di no».
Allora vorrei chiederle: perché le donne non sono davvero così libere?
«Se guardiamo alle esperienze legate alla vita di tutti i giorni, notiamo che in famiglia la responsabilità della cura dei figli, delle persone anziane, degli ammalati e della gestione della casa ricade completamente sulle spalle delle donne, che oggi lavorano fuori e dentro le mura domestiche. Considerando anche il tasso elevato di separazioni e divorzi, l’immediata conseguenza è che l’impegno educativo e la gestione della prole sono compiti prevalentemente svolti dalle madri. La separazione è un disastro in alcuni casi inevitabile, ma non può mai essere vista come una vittoria. Papà, mamme e figli vengono colpiti da una ferita talmente profonda che ha conseguenze devastanti sul loro equilibrio, sul loro benessere e sulla loro felicità».
A che prezzo la donna “paga” la sua emancipazione?
«Quello che noto, per esempio nei corsi di preparazione al parto che organizziamo nel nostro consultorio, è l’aumento dell’età media in cui le donne arrivano a concepire un figlio: siamo spesso sopra i 33 anni. Ultimamente abbiamo avuto una signora che ha affrontato la sua prima gravidanza a 40 anni con tutto quello che questo comporta in termini di rischi per la sua salute e quella del nascituro, oltre che per quello che riguarda le maggiori difficoltà a giungere al concepimento. Tutta l’emancipazione che la donna ha ottenuto le è costata la rinuncia a una parte fondamentale della sua natura che è la maternità. In Italia il grave problema della denatalità è conseguenza del fatto che le donne, sia per motivi economici che per motivi culturali, mettono la maternità in secondo piano. Questa è una riflessione essenziale, perché spiega – a mio parere – l’evidenza di un impoverimento molto grave della donna in termini affettivi, emozionali e di realizzazione complessiva. Da questo punto di vista lo Stato ha una responsabilità enorme, tanto che il Ministero della Salute ha annunciato in proposito un piano fertilità e l’istituzione della giornata della fertilità per promuovere una riappropriazione dell’idea di maternità prima dei 35/38 anni».
Nell’ottica di questa emancipazione, i figli che prezzo “pagano”?
I ragazzi passano molte ore da soli in casa e questo comporta problemi, più o meno gravi, di ordine affettivo e sociale. Quando entrambi i genitori lavorano e magari sono impegnati tutto il giorno, diventa difficile trovare i momenti e i canali che permettono una comunicazione profonda.
Anche per ciò che riguarda la sfera dell’intimità, l’assenza delle figure adulte in casa produce uno smarrimento nel giovane che ha bisogno dell’esempio di due genitori in grado di mostrargli la bellezza e l’importanza del legame fisico fra i due sessi per raggiungere il maturo sviluppo delle potenzialità affettive. I genitori spesso si limitano a dire “tanto loro sanno tutto” o addirittura “sanno più di noi”. Magari i ragazzini sapranno pure come si fa ad avere rapporti sessuali, ma hanno bisogno di qualcosa di molto più importante, della testimonianza di un sentimento profondo e duraturo di due genitori che si amano anche nelle difficoltà, legati da un patto inscindibile. Le ragazze spesso non hanno consapevolezza del proprio valore e della propria identità femminile autentica. Ricordo che quando insegnavo in una scuola professionale alcuni anni fa, c’erano alunne che mi dicevano: “a professorè! Se qui dopo tre settimane che stai con un ragazzo non ce vai a letto quello te lascia!”».
Alla luce della riflessione svolta dalla dottoressa Notarfonso emerge che l’emancipazione femminile non ha dato frutti sempre vantaggiosi in termini di libertà e felicità. Perché la donna, assumendo ruoli e atteggiamenti che in passato erano prerogativa prevalentemente maschile, non ha realizzato la sua vera vocazione, ma si è allineata su quella dell’uomo impoverendo o addirittura abdicando alla propria, soprattutto negli aspetti peculiari della maternità, crescita dei figli e cura della vita, che per natura e per grazia le sono affidati.
Scriveva in proposito Costanza Miriano sul suo blog:
«Avevo promesso a me stessa che mi sarei completamente disinteressata delle celebrazioni per l’otto marzo (…) Sono vecchie, obsolete, ma soprattutto strabiche. Avete visto la schermata di Google, verosimilmente il sito più cliccato al mondo, per il giorno x? Donne in tutte le salse – astronauti (ma che fantasia, guarda, non lo avrei mai detto), chimici, cuochi, magistrati, atleti, insegnanti e via dicendo, in quattordici versioni diverse – ma neanche una, dico, neanche una su quattordici in versione mamma. (…) Hanno presente, gli organizzatori di tutte le manifestazioni, che siamo il paese che fa meno figli al mondo? Perché continuano a parlare solo, e sottolineo solo, di tutto ciò che può allontanare le donne dalla maternità, esaltandolo come una conquista, e non parlano mai di quello che può incoraggiare le donne a buttarsi nell’avventura di fare figli, se possibile presto, se possibile non uno solo? (…) Ora, non vorrei essere fraintesa. Non dico che non sia un bello che le donne abbiano la possibilità di fare tutte quelle belle cose, se veramente lo desiderano. Credo che tutte noi siamo molto grate alle donne che hanno combattuto per conquistarci la libertà di scegliere, perché la libertà è la condizione minima necessaria, è il presupposto di qualsiasi altro discorso sulla donna, e sull’uomo come anthropos in generale. Grazie. Però adesso basta».