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Volontariato al tempo della guerra

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Chiara Santomiero - Aleteia - pubblicato il 09/02/16
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A Istanbul i volontari della Caritas sono impegnati ad alleviare la tragedia dei profughi siriani

I locali che ospitano la Caritas ad Istanbul sono non lontani dalla cattedrale dove poco più di un anno fa papa Francesco ha celebrato la Messa nel corso della sua visita in Turchia. Mentre le loro mamme sono in attesa di un colloquio, alcuni bambini siriani corrono attraverso le stanze inciampando nei volontari che sorridono senza prendersela. I bombardamenti e le distruzioni del conflitto siriano sono lontani, ma premono sulla grande megalopoli turca attraverso le centinaia di migliaia di profughi che vi si sono riversati e che hanno bisogno di alloggio, cibo, assistenza medica.

Alice Bertolotti è una dei trenta volontari che si alternano nel servizio guardaroba, aperto tutti i giorni, per la distribuzione di vestiti e coperte. Milanese, è arrivata a Istanbul due anni fa: dopo l’Erasmus in scienze politiche si è fermata e adesso aiuta in Caritas. Ci sono volontari che provengono da molti paesi del mondo e c’è un intreccio di lingue diverse; nel turno insieme ad Alice c’è Peju Abe, dalla Nigeria. “Si avverte un senso di colpa vedendo tanti bambini e famiglie intere che sono sprovvisti di tutto – spiega Alice – e nasce il desiderio di dare una mano“.

In seguito al conflitto siriano sono arrivati in Turchia due milioni e mezzo di persone, di cui circa trecentomila a Istanbul. Negli ultimi quattro anni, la Caritas Turchia, in collaborazione con le autorità, ha assistito almeno 15 mila profughi fornendo generi di prima necessità, carbone per riscaldare alloggi spesso fatiscenti nelle periferie, medicine e un servizio di counselling e di orientamento sociale, con l’obiettivo di diffondere informazioni relative allo status giuridico e ai diritti dei profughi. Ha inoltre fornito un supporto ai bambini migranti che non hanno la possibilità di frequentare scuole regolari. Ma quella dei profughi in Turchia continua ad essere una vera emergenza, specie nelle ultime ore. Ci sono circa 30 mila siriani che premono al confine, in fuga dai bombardamenti su Aleppo che spianano l’avanzata delle forze del presidente Bashar al-Assad. L’8 febbraio nella stazione dei bus di Adana, nel sud della Turchia, è stata trovata morta una bambina di un anno che la madre aveva portato a piedi per 100 chilometri da Aleppo. Freddo e malnutrizione hanno stroncato la vita appena sbocciata di Garam. Altri 11 bambini sono morti nel mar Egeo in due nuovi naufragi di barconi di migranti che dalle coste turche cercano di raggiungere la Grecia.

Alice al pomeriggio organizza dei giochi con i bambini, mentre le loro mamme frequentano un corso d’inglese oppure sono impegnate in laboratori di lavori professionali organizzati dalla Caritas. Le donne cercano di imparare una lingua internazionale e un lavoro in attesa di trasferirsi altrove con tutta la famiglia.

“Restano poco tempo e cercano di passare in Germania, Olanda, Svezia – conferma l’operatore Caritas, Bedros Torosian -: la Siria qui è ancora troppo vicina. Alcuni riescono a trovare lavoro, soprattutto nei ristoranti, ma spesso sono molto sfruttati: 1000 lire per 12 ore di lavoro, anche 500. Per la maggior parte sono musulmani: i cristiani siriani, in genere, si dirigono verso il Libano“.

“Cerchiamo di comunicare un senso di accoglienza ai grandi, offrire un sorriso ai bambini. Attraverso il servizio con la Caritas – conclude Alice mentre riappende alla rastrelliera un vestito scivolato dalla stampella – è possibile aiutare tutti, indipendentemente da dove vengono o da quello in cui credono e questo ci fa ricordare che siamo tutti esseri umani, allo stesso modo bisognosi l’uno dell’altro”.

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