Dal carcere a una vita nuova con il percorso alternativo della Comunità Papa Giovanni XXIII e la riscoperta della fedeCi vuole coraggio per ammettere di aver sbagliato e di non essere nemmeno in grado di pareggiare del tutto i conti con gli altri, con le persone a cui hai fatto del male. Antonello Guadagni non si tira indietro e racconta con semplicità lo smarrimento che gli è costato il carcere e poi la nuova vita trovata afferrando la mano tesa della Comunità Papa Giovanni XXIII. Il 23 febbraio Guadagni, insieme ad altri ex detenuti e a Giorgio Pieri, responsabile del progetto Cec – Comunità educante con i carcerati, ha portato a papa Francesco una caciotta che hanno chiamato “formaggio del perdono”: il segno di “qualcosa di buono prodotto da persone che hanno fatto del male”.
“Non c’è santo senza passato e non c’è peccatore senza futuro“: li ha incoraggiati papa Francesco abbracciandoli. Quasi l’eco di ciò che diceva don Oreste Benzi, il fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII: “L’uomo è di più del suo errore”.
Una buona famiglia, buoni studi e buone amicizie come quelle dell’oratorio sembrerebbero una garanzia contro la possibilità di sbagliare la strada, ma non è così. “Il filo per passare dalla parte sbagliata è sottile – avverte Antonello -. Nel mio caso, i malesseri interiori sono stati più forti dei valori che i miei mi hanno sempre dato e anche la società”.
Guadagni va a studiare fuori da Sansepolcro, il suo paese natale, e si perde, a causa della solitudine, ma anche “dell’egoismo e di una idea deviata del denaro” che non gli era mai mancato. “Ho trovato la soluzione ai miei mali in modo sbagliato – ammette – ma la vita ti presenta sempre il conto. Mi sono fatto arrestare e ho conosciuto il carcere“.
Un’esperienza amara, tuttavia “con gli occhi di adesso, capisco che Dio è come un buon padre di famiglia: le prova tutte per riportarti sulla via giusta e a volte ti dà pure due scappellotti, come fa una mamma. Di fatto, il momento più basso della mia vita è stato anche quello in cui ho cominciato a rinascere“.
Antonello incrocia sul suo cammino la Comunità Papa Giovanni XXIII e l’offerta di un percorso alternativo al carcere. Non si tratta solo di una misura giuridica, ma della possibilità di guardare a viso aperto ciò che non aveva funzionato fino ad allora. “Ho trovato tante risposte che non avevo – dice Antonello – soprattutto attraverso la fede perchè è Gesù che ti riporta sui giusti valori della vita e da lì ho cominciato un percorso di rinascita”.
“Il passato non lo puoi cancellare – si rammarica l’ex detenuto -, a volte i conti non li puoi nemmeno pareggiare, però puoi cercare di riparare come ti è possibile. Adesso cerco di impegnarmi anche per gli altri”.
Oggi Antonello lavora nella cooperativa “Cieli e terra nuova” fondata da don Benzi nei pressi di Rimini per l’inserimento lavorativo di persone con disabilità lievi oppure con situazioni di disagio come ex detenuti o tossicodipendenti. La cooperativa svolge attività agricola secondo i principi dell’agricoltura biologica, alleva bovini ed è dotata di un piccolo caseificio per la produzione di formaggi, come la caciotta regalata al papa. In questo modo “abbina due fattori – si entusiasma Antonello – che secondo me sono importantissimi: il recupero della persona e la tutela dell’ambiente“. Il formaggio è il prodotto “di un percorso naturale al 100%, rispettando il Creato come Dio ce l’ha dato. Dall’altra parte, facendo il formaggio si aiutano le persone a rimettere la vita nei giusti binari perchè il lavoro è uno dei pilastri per riconquistare dignità, stima di se stessi”.
I percorsi alternativi al carcere sono un modo, come sostiene la Comunità Papa Giovanni XXIII, per passare da una giustizia vendicativa a una giustizia educativa, mettendo l’uomo al centro. Certo occorre non dimenticare la sofferenza delle vittime, soprattutto nei casi in cui viene spezzata una vita.
“Io credo – afferma Antonello – che ci siano due tipologie. Ci sono persone che sono veramente pericolose per gli altri e quindi è necessario tenerli separati dal resto del mondo. La maggior parte di quelli che sono in carcere, però, sono di fatto gli ultimi del mondo: extracomunitari con problemi di mancanza di documenti e di espulsione, povera gente che ha commesso furtarelli. Per loro il carcere fa solo una cosa: rende nero il futuro. Il carcere uccide la speranza. Perdi gli affetti, il lavoro e non vedi più niente davanti a te. Un percorso alternativo ridà speranza e valore alle persone, ridà vita“.