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Storia breve della nascita e “fortuna” della Via Crucis

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Chiara Santomiero - Aleteia - pubblicato il 14/03/16
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Il 25 marzo papa Francesco presiederà la Via Crucis al Colosseo dando continuità a una tradizione ristabilita da Paolo VI il Venerdì Santo 27 marzo 1964, ma che affonda le radici molto più lontano nel tempo. A quando? Per impulso di chi? E come nasce la pia pratica della Via Crucis? A queste e a molte altre domande risponde il volume del teologo molisano don Mario Colavita, “La pratica della Via Crucis. Teologia, storia e tradizione” (Tau editrice) che ripercorre la storia di questa espressione della pietà popolare dalle origini nei pellegrinaggi in Terra Santa alla forma attuale, sottolineando il contributo della teologia e dell’arte nei secoli. Una pratica religiosa che non hai mai perso di vitalità, come spiega ad Aleteia l’autore del volume.

Come nasce la pratica della Via Crucis?

 Colavita: La pratica della Via Crucis è una delle forme di pietà più radicate e praticate nel popolo di Dio. Nasce per ricordare il cammino doloroso che Gesù fece dal Pretorio fino al luogo della crocifissione. In questo “pellegrinaggio” Cristo soffre e offre la sua vita per riscattare e salvare il mondo. I Vangeli sono, quindi, le fonti prime della Via Crucis e successivamente la tradizione popolare e i pellegrini di Terra santa hanno arricchito questo cammino con altre scene.

Quali sono gli elementi che contribuiscono a diffonderla?

 Colavita: Fanno da leva molti elementi e tutti riconducibili alla devozione dei pellegrini in Terra Santa. La vigorosa predicazione sulla liberazione dei Luoghi santi di S. Bernardo, ad esempio, incoraggia i pellegrini a visitare i luoghi della Passione di Cristo. Di ritorno nelle parrocchie questi vogliono costruirsi dei luoghi simili a quelli di Gerusalemme e così nel Medioevo sorgono chiese uguali a quelle presenti nella Città Santa che richiamano il cammino doloroso di Gesù. Il processo è favorito dai francescani che dal 1233 diventano i custodi della Terra Santa. Lo stesso Francesco d’Assisi diventa un “araldo” della Passione di Cristo. Nella vita di S. Francesco scritta da Tommaso da Celano, dopo il prodigio del crocifisso di S. Damiano, l’autore annota: Da quel momento si fissò nella sua anima santa la compassione del Crocifisso e, come si può piamente ritenere, le venerande stimmate della Passione, quantunque non ancora nella carne, gli si impressero profondamente nel cuore”. Con san Francesco e la scuola francescana, la devozione alla Passione trova posto definitivamente nella pietà dei fedeli. I libri e le devozioni si moltiplicano, tanto da poter affermare che il Medioevo ha avuto “la passione della Passione del Salvatore”.

Quando comincia ad assumere la forma attuale?

 Colavita: Sappiamo che nel 1300-1400 la devozione della Via Crucis si arricchisce di altri elementi come le cadute di Cristo, le cinque piaghe, la Pietà, il Volto santo: particolari che nascono in Europa, principalmente in Germania, Spagna, Italia. Questo diffondersi di devozioni è alimentato da un’intensa letteratura spirituale che sfocerà, sempre in Europa, nella costituzione della Via Crucis a 14 stazioni.

In quali paesi ha avuto maggior “successo”?

 Colavita: In Spagna il domenicano Alvaro da Cordoba, di ritorno dalla Terra Santa nella sua città natale, fa edificare nel 1405 delle cappelle al cui interno posiziona scene del cammino doloroso di Cristo.

Le scene delle cadute di Cristo erano popolarissime in Germania. Una delle prime Via Crucis a 14 stazioni, invece, fu realizzata in Italia. Il 14 settembre 1628 il francescano sardo Salvatore Vitale eresse, lungo la via che conduce alla chiesa di San Miniato a Firenze, 14 croci, che dovevano rappresentare le 14 stazioni della Via Crucis. Così, a partire dalla fine del XVII secolo, sorgono in tutti i conventi dei frati minori francescani, soprattutto in Italia e in Spagna, Viae Crucis a 14 stazioni. Tra le più celebri c’era quella eretta, nel 1702, nella chiesa dell’Aracoeli a Roma. Quando papa Benedetto XIV consacrò il Colosseo a chiesa della Passione di Cristo e dei martiri, nel 1749, certamente diede un forte impulso alla Via Crucis che iniziò ad essere celebrata qui dall’Anno santo del 1750 dietro suggerimento del francescano S. Leonardo da Porto Maurizio, uno dei più grandi diffusori di questa pratica.

Come si collega la Via Crucis alla pratica dei Sacri Monti?

 Colavita: Il monte ha sempre richiamato il Calvario. Era naturale che su di un monte si edificasse il ricordo del cammino doloroso di Gesù, soprattutto nei secoli XIV-XV di più intensa diffusione di questo pio esercizio. La storia ricorda che il francescano Bernardino Caimi, verso la fine del ‘400, fece costruire sul monte di Varallo, in Piemonte, delle cappelle con imponenti statue e croci in ricordo dell’itinerario dal Pretorio al Calvario. L’idea è sempre quella di ricostruire l’ambiente di Gerusalemme dove Gesù ha subito la Passione.

Qual è il contributo della teologia all’elaborazione della Via Crucis?

 Colavita: I Vangeli, le Lettere di Paolo, la tradizione e le tradizioni hanno dato un forte impulso alla costituzione ed elaborazione della forza della croce nella vita cristiana. C’è chi ha scritto che i Vangeli non sono altro che la storia della Passione preceduta da una lunga introduzione. La croce di Cristo per la riflessione teologica diventa il metro dell’amore di Dio per l’umanità. In questo ci sono pagine bellissime di teologi che ne esprimono il pieno significato. Ratzinger nel suo saggio “Introduzione al cristianesimo” afferma una verità bellissima aprendoci alla comprensione della croce nella vita e nella fede cristiana: “Proprio in veste di Crocifisso, questo Gesù si erge a Cristo, a re. La sua crocifissione è la sua regalità; la sua regalità è il suo essersi abbandonato agli uomini. Movendo dalla croce, la fede comprende sempre meglio Gesù”. La Chiesa antica ha visto nella croce il segno supremo della solidarietà tra Dio e l’uomo. Cirillo vescovo di Gerusalemme scrive: “Dio ha disteso sulla croce le sue mani per abbracciare i confini dell’universo”. La croce, anche, ci fa capire la Chiesa che ne trae origine, come ribadisce nei suoi scritti il teologo svizzero von Balthasar. C’è un legame stretto tra la croce di Cristo e la Lieta notizia: il legno della croce è il luogo in cui il perdono di Dio si è mostrato più forte della nostra malvagità. Non solo, il cammino della Via Crucis ci dice che Gesù percorrendo questa strada di dolore e d’infamia non si è voluto sottrarre allo scandalo che attraversa la vita dell’uomo e il corso della storia.

Quanto è sentita oggi dai fedeli la pratica della Via Crucis? L’attenzione di papa Francesco alle forme di devozione popolare contribuisce a un suo “rilancio”?

Colavita: La Via Crucis è uno degli esercizi di devozione più partecipati dai fedeli. Il Direttorio della pietà popolare del 2002 incoraggia la pratica ricordando come sia sintesi di varie devozioni sorte fin dall’alto Medioevo. In questo pio esercizio confluiscono varie espressioni della spiritualità cristiana: la concezione della vita come cammino; il passaggio dall’esilio terreno alla patria celeste; il desiderio di conformarsi alla Passione di Cristo; il seguire e conformarsi a Gesù maestro portando quotidianamente la propria croce. Papa Francesco sa molto bene che la spiritualità del popolo va alimentata anche con queste forme di pietà. Possiamo dire, anzi, che la pietà del popolo illumina e incoraggia i pastori e i pastori devono saper incoraggiare le sane devozioni che portano alla crescita spirituale. Quando le devozioni affondano le radici nel cuore della fede – senza scadere nel devozionismo -non possono che fare bene diventando luoghi di evangelizzazione.

 

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