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Quando John Henry Newman diede una lezione di coscienza al Primo Ministro

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Tod Worner - pubblicato il 10/05/16
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La sua risposta all’attacco di Gladstone ai cattolici è ancora oggi un brillante trattato sulla coscienza cattolica In una cultura moderna che va alla deriva, è bene ricordarsi del Vero, del Buono e del Bello. Ogni settimana è mio umile privilegio of rire una selezione da un indispensabile Canone di saggi, discorsi e libri che accenderanno una luce nell’oscurità. È un Canone che ho assemblato nel corso di molti anni e spero che stimolerà e ispirerà ogni lettore. Cosa più importante, spero che ci ricorderà di ciò che è Vero in un’epoca in cui prevalgono le menzogne. E se sappiamo cos’è Vero, siamo più capaci di fare ciò che è Giusto.

Tod Worner

L’attacco fu rapido e feroce. La luce­-guida e “leone” liberale della politica britannica, il Primo Ministro W.E. Gladstone, lanciò un violento attacco contro i cattolici dell’impero britannico. Temendo che la fedeltà dei cattolici alla Chiesa di Roma minacciasse un vile tradimento, Gladstone dichiarò che “nessuno può diventare convertito [della Chiesa cattolica] senza rinunciare alla sua libertà morale e mentale e senza mettere la sua lealtà e i suoi doveri politici alla mercè di qualcun altro”.

Non era la prima volta che accadeva. Il sacerdote cattolico inglese (e convertito dall’anglicanesimo) John Henry Newman se ne lamentò sicuramente. Non fu l’unico. E allora fu costretto a rispondere. Nella sua lettera al duca di Norfolk, scritta nel 1875, Newman insegnò al Primo Ministro la vera “libertà morale e mentale” del fedele cattolico. La lettera divenne in realtà un brillante trattato sulla coscienza cattolica.

Quando [Dio] è diventato Creatore, ha impiantato la sua legge, che è Egli stesso, nell’intelligenza di tutte le sue creature razionali. La legge divina, allora, è la regola della verità etica, lo standard del giusto e dello sbagliato, una sovranità, irreversibile, autorità assoluta alla presenza degli uomini e degli angeli.

La regola e la misura del dovere non è l’utilità, né la convenienza, né la felicità del più alto numero possibile di persone, né la convenienza per lo Stato, né l’idoneità, l’ordine e il pulchrum. La coscienza non è un egoismo lungimirante, né il desiderio di essere coerenti con se stessi, ma un messaggero di [Dio], che sia in natura che in grazia ci parla dietro un velo, e ci insegna e ci regge attraverso i suoi rappresentanti. La coscienza è l’originario Vicario di Cristo, un profeta nelle sue informazioni, un monarca nella sua perentorietà, un sacerdote nelle sue benedizioni e nei suoi anatemi, e anche se il sacerdozio eterno attraverso la Chiesa dovesse cessare, in [coscienza] il principio sacerdotale rimarrebbe e avrebbe la sua influenza…

Parole come queste sono vane e vuote per il grande mondo della filosofia. Ho verificato una strategia di guerra risoluta, direi quasi una cospirazione, contro i diritti della coscienza, come ho descritto. La letteratura e la scienza si sono incarnate in grandi istituzioni per eliminarla. Nobili edifici sono stati edificati come fortezze contro l’influenza invisibile, spirituale, che è troppo sottile per la scienza e troppo profonda per la letteratura. Le cattedre universitarie sono diventate i seggi di una tradizione antagonistica. Gli scrittori, giorno dopo giorno, hanno indottrinato la mente di innumerevoli lettori con teorie sovversive. Come ai tempi di Roma, e del Medioevo, la supremazia [della coscienza] è stata assalita dall’arma della forza fisica, e quindi ora l’intelletto è messo in condizioni di indebolire le basi di un potere che la spada non è riuscita a distruggere. Ci viene detto che la coscienza non è altro che una svolta nell’uomo primitivo e senza guida; che il suo dettame è immaginazione; che la nozione stessa di colpevolezza, imposta da questo dettame, è semplicemente irrazionale…

Questo per quanto riguarda i filosofi. Vediamo ora qual è la nozione di coscienza al giorno d’oggi nella mente popolare. Non più che nel mondo intellettuale, anche lì la “coscienza” mantiene il significato antico, vero e cattolico del termine. Anche lì l’idea, la presenza di un Governatore Morale, è ben lontana dal suo utilizzo…
Quando gli uomini sostengono i diritti di coscienza, non intendono affatto i diritti del Creatore, né il dovere nei suoi confronti, nei pensieri e nei fatti, della creatura, ma il diritto di pensare, parlare, scrivere e agire in base al loro giudizio o al loro umore, senza alcun pensiero per Dio. Non fingono nemmeno di basarsi su qualsiasi regola morale, ma esigono, cosa che ritengono sia una prerogativa di un gentiluomo inglese, che ciascuno sia il padrone di se stesso in tutte le cose e professi ciò che vuole, senza chiedere il permesso di nessuno, ritenendo il sacerdote o il predicare, l’oratore o lo scrittore, incredibilmente impertinente, che osa dire una parola contro il fatto di andare verso la perdizione, se gli va, a modo suo. La coscienza ha dei diritti perché ha dei doveri, ma in quest’epoca, con un’ampia porzione di pubblico, ha il diritto e la libertà di coscienza di dispensare con coscienza, di ignorare un legislatore e un giudice, di essere indipendente da obblighi non visibili. Diventa una licenza di assumere ogni religione o nessuna, di accettare questa o quella e di lasciarla, di andare in chiesa, in una cappella, di vantarsi di essere al di sopra di tutte le religioni e di essere un critico imparziale di ciascuna di loro. La coscienza è un severo controllore, ma in questo secolo è stata sostituita da una contraffazione, di cui i diciotto secoli precedenti non avevano mai sentito parlare (…). È il diritto alla caparbietà…

[Quanto ai cattolici], non sono legati dal carattere personale o dagli atti privati del papa ma dal suo insegnamento formale… Il primato della legge morale e della coscienza è la sua ragion d’essere…

Ma ovviamente devo ribadire, per non essere frainteso, che quando parlo di coscienza intendo la coscienza propriamente detta. Quando ha il diritto di opporsi all’autorità suprema anche se non infallibile del papa, dev’essere qualcosa di più di una semplice contraf azione… Se questa regola necessaria venisse osservata, gli scontri tra l’autorità papale e l’autorità di coscienza sarebbero molto rari…

Sicuramente, se sono costretto a portare la religione a un dopocena… Brinderò (…) prima alla coscienza, e poi al papa.

Il beato John Henry Newman respinse brillantemente l’attacco del Primo Ministro, ma, cosa più importante, esortò allo stesso tempo i cattolici a respingere la coscienza “contraffatta” dell’epoca accogliendo, attraverso la grazia di Dio e la saggezza della Chiesa, la formazione adeguata della coscienza.

“La coscienza ha dei diritti perché ha dei doveri”.

Il cardinale Newman lo sapeva.

E noi?

Per leggere integralmente la lettera del beato John Henry Newman al duca di Norfolk, si può cliccare qui.

 

 

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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