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Con l’abito o senza, chi sono le “vere” suore?

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Elizabeth Scalia - Aleteia - pubblicato il 23/05/16
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Un’occhiata alle origini di alcuni abiti, e perché potrebbero essere necessari o meno a una comunitàSui social media, il tema delle suore e delle sorelle, e di chi siano quelle “autentiche”, può far accalorare la gente come poche altre cose. Alcuni insistono sul fatto che l’unica suora “vera” è quella che indossa un abito, altri che le “vere” suore sono quelle che hanno abbandonato l’abito e hanno preso un impegno totale con il mondo, i tempi e le mode.

La verità è da qualche parte nel mezzo: l’autentica vita religiosa deve avere in sé elementi di comunione, devozione e contemplazione per promuovere la forza nella comunità, ma deve anche essere in sintonia con i tempi se un gruppo vuole rendere un vero servizio alla Chiesa.

Lasciando da parte gli ordini monastici perché il monachesimo è molto diverso dalla vita religiosa apostolica, vale la pena di analizzare, in modo molto generale, come si è formata la maggior parte degli ordini religiosi femminili (non tutti) e come le loro comunità si sono sviluppate a livello spirituale e sociale.

In genere un ordine religioso è nato da un bisogno identificato. Le Piccole Sorelle dei Poveri si sono sviluppate attraverso la semplice azione di una donna francese, Santa Jeanne Jugan, che ha visto una povera donna anziana per strada e l’ha portata a casa sua. La Jugan ha visto presto che gli anziani poveri venivano trascurati e ha deciso di agire, facendo la differenza.

In modo simile, Santa Thérèse Couderc, fondatrice delle Sorelle del Cenacolo, ha visto delle pellegrine che avevano bisogno di alloggi sicuri, educazione e direzione spirituale ed è entrata in azione.

Sia le Piccole Sorelle che le Sorelle del Cenacolo sono state fondate da donne francesi che hanno risposto alla spinta dell’amore e dello Spirito Santo. Mentre perseguivano la loro chiamata, altre donne hanno chiesto di unirsi a loro e di condividere l’opera che svolgevano. Entrambi gli ordini si sono evoluti in un modello “contemplativo/attivo” che era diventato la norma per gli ordini religiosi “attivi”: le donne lavoravano “fuori”, in pubblico – tra e al servizio del laicato –, ma al di là di questo lavoro si separavano, vivendo e pregando insieme come comunità, con la Messa quotidiana e una certa quantità di preghiere liturgiche, silenzio e ricreazione. L’idea era che per sostenere i loro ministeri, che non erano semplici, le suore avessero bisogno della stabilità di un luogo in cui vivere e di opportunità di “sollievo” sia individuale che comunitario.

Prendere i voti stabilizzava ulteriormente le comunità – sapevano quali persone sarebbero state nelle loro file, quali

erano i loro doni e dove sarebbero state più utili –, e gli ordini apostolici femminili sono fioriti, soprattutto dal XIX secolo al XX, quando la Chiesa post-bellica sembrava ricca di vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa.

La rivoluzione sociale e sessuale degli anni Sessanta, combinata con un Concilio Vaticano II che intendeva aprire le finestre della Chiesa per far entrare un po’ d’aria fresca e si è trovato davanti a un vortice, ha apportato dei cambiamenti al modello contemplativo/attivo. Le opportunità di carriera si sono ampliate e la contraccezione artificiale ha “liberato” le donne, e quindi il numero di quelle che prendevano in considerazione la vita religiosa è crollato. Le donne religiose hanno letto i documenti conciliari, nella fattispecie la Gaudium et spes e la Lumen gentium, e vi hanno trovato una chiamata a un’ulteriore evoluzione e a una definizione della vita religiosa, che implicava, tra le altre cose, un coinvolgimento più ampio con il Popolo di Dio e un ritorno alle radici dei loro carismi.

Un documento conciliare che viene menzionato raramente quando si parla della questione degli abiti religiosi è il decreto sul rinnovamento della vita religiosa Perfectae Caritatis, che consigliava di adattare gli abiti religiosi in modi pratici.

L’abito religioso, segno della consacrazione, sia semplice e modesto, povero e nello stesso tempo decoroso, come pure rispondente alle esigenze della salute e adatto sia ai tempi e ai luoghi, sia alle necessità dell’apostolato. Gli abiti dei religiosi e delle religiose che non concordano con queste norme, siano modificati.

Il decreto non ha mai detto di abbandonare l’abito, lasciando a ogni comunità il compito di interpretare la propria missione e di stabilire di conseguenza le norme relative al vestiario.

Per alcuni questo significava abbandonare l’abito, diventato un riflesso anacronistico di quello che era stato il guardaroba “ordinario” di una fondatrice. Come mi ha spiegato uan volta una Sorella del Cenacolo, il copricapo a pieghe e la cuffia che indossavano fino alla metà degli anni Sessanta non aveva nulla a che vedere con la “custodia degli occhi” come alcuni potrebbero immaginare, ma era semplicemente un riflesso tradizionale di quello che indossavano la Couderc e le sue contemporanee secolari. I loro mantelli porpora erano stati progettati pensando non alla penitenza, ma all’abbondante flora locale di Lalouvesc che permetteva di fabbricare molti tessuti di quel colore. Per queste suore, il cui carisma riguarda l’offerta di ritiri, l’ospitalità e la direzione spirituale, aveva decisamente senso abbandonare un abbigliamento così fuori moda, che sarebbe sembrato quasi pretenzioso considerando il lavoro che dovevano svolgere. Con poche eccezioni, la maggior parte di queste suore viene identificata dalla grande croce dorata che indossano come spilla o ciondolo.

Anche le Piccole Sorelle dei Poveri all’inizio indossavano l’abbigliamento della loro fondatrice, e con le raccomandazioni del Concilio hanno ripensato al proprio abito. Il loro carisma prevede l’assistenza agli anziani indigenti – oltre ai voti ordinari di povertà, castità e obbedienza ne fanno uno di ospitalità. Ospitano, nutrono e amano persone che spesso vengono ignorate e dimenticate da famiglia e amici. Le suore portano avanti l’affidamento di Santa Jeanne Jugan alla Provvidenza per tutte le loro necessità, e così vanno ancora a mendicare ogni giorno. Per loro un abito modificato ha molto senso – facilita il riconoscimento da parte dei loro ospiti più anziani, che a volte si possono confondere, e quando mendicano stanno letteralmente indossando le proprie credenziali e si stanno rendendo facilmente “ricordabili” e distinguibili per i commercianti e gli imprenditori a cui si rivolgono.

Se si può sostenere la necessità di una testimonianza visiva grazie all’abito, le Sorelle del Cenacolo e le Piccole Sorelle dei Poveri incarnano il grande “sia/e” del cattolicesimo, offrendo un servizio vitale alla Chiesa, e al mondo al di là di questa; suggerire che un gruppo sia “liberale” mentre l’altro è “conservatore” è sminuire l’opera importante che svolgono affibbiando etichette politiche che non fanno altro che dividere e distorcere. Non sono donne “liberali” o “conservatrici”; sono donne cattoliche. La loro decisione di indossare o meno un abito è considerata con attenzione e parla alla loro spiritualità e al loro carisma, e non sempre in modi ovvi, per cui giudicarle è sciocco e a volte poco caritatevole.

Né l’una né l’altra comunità, tra l’altro, serve esclusivamente cattolici, perché entrambe alla fine hanno esteso la loro azione includendo gli uomini e i non cattolici, incarnando così il mandato di Cristo di amare Dio con tutta l’anima, tutto il cuore e tutta la mente, e di fare agli altri ciò che vorremmo venisse fatto a noi.

È interessante che le fondatrici di entrambi gli ordini si siano ritrovate dietro le quinte quando le loro comunità hanno iniziato a svilupparsi. Mentre la politica e i privilegi umani si inserivano nelle questioni relative alla leadership – come succede sempre –, sia la Jugan che la Couderc sono state relegate a posizioni inferiori e più umili all’interno delle loro comunità, e lì sono rimaste. Entrambe lo hanno accettato con grazia e umiltà sorprendenti, credendo che l’opera fosse più importante di loro. E oggi figurano tutte e due in una lista esclusiva, mentre le stelle cadenti che le hanno messe da parte sono semplicemente svanite. E in questo c’è forse una lezione per tutti noi.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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