Una riflessione sulla puntata “Jodie Marsh: il donatore di seme” in merito alla maternità ad ogni costo e al giro d’affari milionario ad essa correlatoNella puntata “Jodie Marsh: il donatore di seme” andata in onda il 19 maggio scorso su Real Time, la neosposa, modella ed ex body builder Jodie Marsh indaga il tema della maternità “ad ogni costo”, e il relativo giro d’affari milionario, concentrandosi sugli estremi limiti ai quali giungono alcune persone alla ricerca ossessiva di procreare, o comunque diventare in qualche modo “genitori”. La puntata dello show si caratterizza per la finzione di scandalizzata sorpresa che la conduttrice “interpreta” con dissimulata abilità, la disinvolta spettacolarizzazione di una tematica così delicata trattata come un argomento glamour fino a rasentare il gossip, l’enfatizzazione dell’enorme business economico che gira intorno al mercato della fertilità “a richiesta” di chi può pagare profumatamente.
Lo show ad ogni costo
La puntata inizia con la modella trentaseienne che si reca a fare delle analisi in una clinica della fertilità in Inghilterra per capire se potrà in futuro diventare mamma. Il primo messaggio che viene lanciato, dopo poco più di due minuti di video, è l’estrema importanza che assume per le donne la prospettiva di congelare i propri ovuli intorno ai trent’anni. Il motivo? Visto che nel mondo di oggi esse per realizzarsi nella professione si concentrano sulla carriera rinviando sine die il progetto di avere un figlio, invece che invitarle a riflettere sulla loro realizzazione complessiva come donne, l’imperativo è quello di congelare i propri ovuli. Quindi il messaggio non è quello di ricercare in tempi fisiologici la gravidanza, ma di congelare la parte di sé destinata alla riproduzione e “congelarsi” come donne intrinsecamente feconde, per poi mettere al mondo un figlio quando decideranno che è ora, una volta raggiunto lo status socio-economico e professionale desiderato.
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Nell’attesa di ricevere i risultati dei suoi esami, Jodie incontra e intervista una donna madre di quattro figli, una bambina e tre gemelli nati attraverso la fecondazione in vitro. “Ma ci sono voluti 14 anni di difficoltà finanziarie e fatica per arrivare a questo”, confessa ai telespettatori, e forse con dubbia sincerità a se stessa, la conduttrice. Infatti la donna racconta di essersi sottoposta a 17 fecondazioni in vitro, con gli ovvi ma non dichiarati riflessi di stress biologico e psicologico sul proprio corpo, e di aver speso oltre settantamila sterline nel corso degli anni. Viene da chiedersi se l’adozione, mai nominata durante l’intera puntata, non si sarebbe rivelata per questa donna – al di là delle riflessioni di carattere etico – la strada più rispettosa della propria integrità fisica e mentale al fine di coronare il naturale desiderio di “essere madre”.
Nuovi “padri”?
La terza storia raccontata da Jodie Marsh è quella di un uomo che vive in Olanda, soprannominato “l’inseminatore”, un donatore di sperma privato molto attivo e ricercato. L’uomo è un “particolare” donatore di seme in quanto “la donazione” avviene tramite rapporti sessuali con donne che desiderano diventare madri e non possono realizzarlo perché single o a causa di problemi di infertilità del loro compagno. Al momento dell’intervista “l’inseminatore” ha collezionato 106 figli e spera che tra vent’anni qualcuno di questi bambini lo vada a trovare per ringraziarlo di aver aiutato i suoi genitori a realizzare il loro sogno. Le donne fanno la fila per “essere inseminate” da lui, e quelle sposate decidono consensualmente al marito di tradire il patto di fedeltà coniugale pur di raggiungere l’agognata maternità. Inizialmente la presentatrice rimane all’apparenza sconcertata e scandalizzata da un simile contesto procreativo, ma dopo aver parlato con il timido (è lui stesso a definirsi tale) inseminatore, “cambia” repentinamente opinione e si affretta a sottolineare la bellezza e la grandezza del suo generoso gesto. Eppure si tratta, eliminando la patina appositamente sdolcinata creata dall’intervistatrice per fini mediatici, di donne che hanno rapporti sessuali con un estraneo, calpestando la loro integrità morale e il legame matrimoniale pur di avere un figlio. La maggior parte dei partner resta nel salone a leggere o guardare la tv per distrarsi e rilassarsi mentre la propria moglie è impegnata in camera da letto con “l’inseminatore”; altri invece vogliono assistere al rapporto per essere di sostegno alla loro compagna e prendere parte al possibile concepimento di quello che sarà il “loro” bambino (sic!).
Come lo vuole: biondo o bruno?
Un ulteriore passaggio della trasmissione che “merita” di essere sottolineato è quello relativo all’incontro che la conduttrice ha negli Stati Uniti con “la persona che in pratica vende la maternità surrogata”. Si tratta di un uomo di nazionalità inglese che insieme al suo compagno cinque anni fa ha aperto un centro per la maternità surrogata negli Stati Uniti: in Inghilterra infatti le regole sono più restrittive e non permettono di scegliere la donatrice di ovuli. Durante l’intervista l’uomo chiarisce che nella loro clinica “puoi scegliere il sesso, il colore dei capelli, degli occhi, ogni singola caratteristica fisica”. L’imprenditore risponde a tutte le domande poste dalla curiosa intervistatrice: le specifica la somma di denaro necessaria ad avere un bambino, 150 mila dollari, le racconta di come ha “voluto” e “progettato” con il suo compagno i “loro” cinque figli, le parla delle peculiarità delle donatrici e dei suoi ragazzi: “I miei due ragazzi, quelli più grandi hanno 4 anni di differenza ma sono gemelli identici perché quando il loro ovulo si è diviso ne abbiamo congelato uno per quattro anni e lo abbiamo conservato. (…) Potevo farlo, perché non avrei dovuto! (…) Uno ha gli occhi azzurri e uno ha gli occhi scuri, quando non sai cosa scegliere prendi uno di entrambi”.
LEGGI ANCHE: Vi spieghiamo perché l’utero in affitto rompe la sacralità della maternitàL’uomo e Jodie cominciano a pensare a quale sarebbe il figlio perfetto per la modella attraverso il catalogo delle donatrici di ovuli. Lui allora le chiede: «vuoi una donatrice che ti assomigli?» Lei risponde ridendo: «quindi una top model?! Ad essere sincera sì, vorrei fosse molto sexy» Lui: «questa ti piace?» Jodie: «si». Lui: «va bene potremmo scegliere lei…». Jodie: «uuuh lei è carina! (indicando un’altra foto)». Lui: «è una delle nostre più richieste, è una di quelle da 50.000. Hai quello che paghi. Puoi comprare una Louis Vuitton vera oppure puoi averne una falsa. La falsa durerà dieci minuti, la vera quindici o vent’anni”». Jodie, tra lo scandalizzato e il divertito: «Stai paragonando una Vuitton ad un bambino?».
E’ ormai chiaro che è nata una moderna impresa industriale, enormemente redditizia: la fabbrica dorata dei bambini in cui essi, mercificati come “oggetti”, vengono prenotati, progettati e selezionati a misura del committente, come se gli venissero cuciti addosso a mo’ dell’abito di grido di una griffe dell’alta moda. La provenienza degli ovuli e degli spermatozoi conta solo in quanto, a seconda del portafoglio dei richiedenti e dei loro pregiudizi razziali, può predire le caratteristiche estetiche e intellettive del nascituro. In tutto questo l’amore vero, il bene e il diritto del bambino non hanno valore, ciò che importa è ottenere ad ogni costo l’oggetto desiderato. “L’amore conta”, cantava Luciano Ligabue in un suo famoso brano, eppure in queste storie conta e si conta solo il denaro.
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