In questi giorni i media evocano i preparativi per la battaglia di Mosul, e ancora una volta, si comincia a prefigurare la necessità di avviare un «grande progetto umanitario» per far rinascere la città e l’intera regione, dopo l’annunciata sconfitta dei jihadisti dello Stato islamico. Ma «prima di tornare a far rivivere le nostre amate città della Piana di Ninive», occorrerà superare ancora l’ostacolo rappresentato da un nemico feroce, nascosto sotto il terreno e talvolta anche in oggetti di uso quotidiano.
«Perché i jihadisti del Daesh, anche quando si ritirano, continuano a seminare morte con le mine e gli ordigni esplosivi» che disseminano nei campi e nelle città prima di fuggire. È questo l’allarme lanciato dal patriarca caldeo di Baghdad Louis Raphael I Sako in un appello diffuso ieri, e riportato oggi dall’agenzia vaticana Fides. La possibile rinascita civile delle aree sottratte ai jihadisti – si legge nell’appello – inizia dallo sminamento.
Il primate della Chiesa caldea confida di aver chiesto già a luglio a Fraternitè en Irak – organizzazione francese impegnata nel sostegno alle minoranze religiose irachene – di farsi carico dello sminamento dei primi due villaggi della Piana di Ninive che erano stati liberati. La stessa organizzazione si è già impegnata per l’opera di bonifica di altri quatto villaggi, che prima di cadere in mano al sedicente Califfato erano abitati in maggioranza da cristiani e curdi kakai (comunità religiosa che pratica un culto sincretistico). Solo uno sminamento realizzato da esperti e società competenti potrà davvero porre fine all’esilio dei rifugiati che vogliono tornare alle proprie case.
«È più piacevole costruire scuole o cliniche», riconosce il patriarca, «ma nulla potrà essere ricostruito, se prima non viene realizzata la bonifica».