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Perché dovremmo avere amici che ci mettono a disagio

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Michael Rennier - For Her - pubblicato il 04/11/16
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Ritirarsi nel proprio ghetto di amici che la pensano allo stesso modo è la scelta più semplice, ma anche la più settariaCi avete fatto caso? Le persone sono più divise che mai.

Qui in America ci sono stati democratici e stati repubblicani. Ci si divide su chi va in chiesa e chi non ci va, su chi si definisce “pro-questo” o “anti-quello”. Ci sono quelli che bevono il caffè fatto come Dio comanda e quelli che sbagliano tutto e aggiungono la panna. Ma sto divagando.

E da quando i forum su internet hanno reso così facile trovare persone che la pensano allo stesso modo, possiamo dividerci ancora di più, sulla basa di interessi comuni ed hobby condivisi. È fantastico trovare quest’oasi nel deserto, dei gruppi in cui essere se stessi e costruire amicizie partendo da ciò che si ha in comune. Lo so. Il mondo è un posto stressante ed è piacevole potersi svagare con persone simili a noi. Discutere continuamente su questioni politiche o religiose rischia di farci terra bruciata attorno a noi, non è certo un buon modo per far nascere delle amicizie. Abbiamo bisogno, fino a un certo punto, di legare con persone che la pensano come noi e in cui possiamo nasconderci da questo mondo così frenetico.

Quando sono stufo delle notizie di politica perché sembra che il mondo stia andando dritto verso l’inferno, tendo a chiudermi nella mia comfort zone e mettermi sulla difensiva. Quando faccio così mi sento come uno hobbit: consumo tutto contento la mia seconda colazione, in una bella casa della Contea, mentre la Terra di mezzo brucia intorno. In effetti tagliare i ponti offre comodità e sicurezza… ma posso davvero dire che mi rende una persona migliore? E tu che ne pensi?

Mantenere solo quelle amicizie che fanno parte della nostra comfort zone ci preclude la possibilità di crescere

Considerate ad esempio il fatto che Facebook ha un algoritmo che ci cataloga in base alle nostre idee politiche. Tutti i post e le storie che non sono in linea con quelle preferenze politiche hanno meno possibilità di comparire nel proprio newsfeed. Per dirla in parole povere, Facebook ci considera degli struzzi che hanno bisogno di mettere la testa sotto la sabbia in modo da non vedere ciò che fanno “le persone cattive”… non sia mai che veniamo in contatto con un po’ di verità! Sì, certo, in questo modo il social network è più rilassante, ma ci isola. E questo isolamento è un’arma a doppio taglio: noi non ascoltiamo gli altri, e gli altri non ascoltano noi.


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Quando non vedo l’ora di dire la mia su un argomento importante, in realtà sto soltanto “predicando a chi è già convertito”. Chi ha un’altra opinione non vedrà ciò che ho scritto, e non ci sarà alcuna possibilità di interagire. Questa divisione artificiale impoverisce la mia vita, perché perdo l’opportunità di vedere ciò che altre persone hanno da offrire. Perdo l’opportunità di mettere in discussione le mie convinzioni. Alla lunga, questo avrà un impatto sulla mia capacità di mostrare empatia: i punti di vista diversi dal mio finiranno con l’appartenere ad un gruppo astratto di “altre persone” (che tenderei a rifiutare), piuttosto che appartenere ad un amico che conosco e rispetto. Mantenere soltanto quelle amicizie che fanno parte della nostra comfort zone ci preclude la possibilità di crescere.

Certo, non dobbiamo sentirci obbligati a confrontarci con chiunque; ma qual è il confine da tracciare? Quando dovremmo sentirci a disagio, prima di togliere l’amicizia ad una persona che ha altre convinzioni? E che dire del vicino della porta accanto, con cui magari non ho nulla in comune, che segue un’altra religione, che appartiene ad un ceto sociale diverso e che forse non ha i miei stessi valori? Dovrei ignorarlo semplicemente per il fatto di venire da un mondo diverso?

Ogni persona merita rispetto: ogni volta che siamo in grado di rispettarci a vicenda, è possibile mantenere un’amicizia

Evitare quegli incontri potenzialmente imbarazzanti è sicuramente la strada più semplice, ma nessuno merita di essere ignorato. Anche se non dovessi sapere cosa ho in comune col mio vicino, con un vecchio amico che non vedo da anni, o con il parente taciturno che incontro in varie occasioni di famiglia, dovrei provare a guardare più a fondo. I nostri punti in comune potrebbero riguardare il modo in cui guardiamo la vita, un’esperienza, o persino un aspetto della nostra personalità. Se non altro, condividiamo tutti una cosa: ogni persona merita rispetto. Di conseguenza ogni volta che siamo in grado di rispettarci a vicenda, è possibile mantenere un’amicizia.

Quando in ufficio incroci quel collega che non conosci bene, invece di far finta di guardare il tuo telefonino e andare avanti, fermati un momento. Scambia quattro chiacchiere, anche se solo per fare conversazione. Chissà, magari può nascere qualcosa di più solido. Invita a cena i tuoi vicini, crea l’occasione per conoscervi meglio. Forse non diventerete amici per la pelle, ma non sai mai quale sorprendente connessione umana potresti fare. E non preoccuparti se a volte ti dovesse pesare: ne vale la pena.


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Le interazioni umane possono essere caotiche, e io cerco di trovare il lato positivo nei miei tentativi di fare amicizia con chi è diverso da me. Ovviamente voglio proteggere me stesso e la mia famiglia dai “cattivi”, ma devo fare attenzione a questo approccio. Dopotutto, potrei persino avere una buona influenza sugli altri, dare un consiglio a chi ne ha bisogno o aiutare il prossimo in qualche modo. O, per mantenere un approccio umile, potrei imparare qualcosa che prima non conoscevo, guardare il mondo da un’altra prospettiva, conoscere di più. E soprattutto, potrei cogliere l’occasione per ricordarmi che non importa il ruolo che ricopriamo in questo assurdo caleidoscopio che chiamiamo umanità: in questa vita siamo tutti sulla stessa barca.


Ogni settimana, Michael Rennier condivide una riflessione sulle letture domenicali e sceglie una tematica che possiamo far nostra nella vita di tutti i giorni. La riflessione di oggi è basata sulla lettura di Luca 19:1-10

[Traduzione dall’inglese a cura di Valerio Evangelista]

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