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Bagnasco: “La legge sul fine vita è radicalmente individualista”

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Andrea Tornielli - Vatican Insider - pubblicato il 21/03/17
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Aprendo il consiglio permanente Cei il cardinale critica l’impostazione delle norme discusse dal Parlamento. La legge sul fine vita in discussione al Parlamento italiano «è radicalmente individualista», adatta «a un individuo che si interpreta a prescindere dalle relazioni, padrone assoluto di una vita che non si è dato». Lo ha affermato il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, aprendo il pomeriggio di lunedì 20 marzo 2017 i lavori del consiglio permanente dei vescovi italiani. Nel suo intervento il porporato ha parlato dell’utero in affitto e della «cultura del gender», ma anche di disoccupazione giovanile e denatalità.

Fine vita da cambiare 

«La legge sul fine vita, di cui è in atto l’iter parlamentare – ha spiegato – è lontana da un’impostazione personalistica; è, piuttosto, radicalmente individualistica, adatta a un individuo che si interpreta a prescindere dalle relazioni, padrone assoluto di una vita che non si è dato. In realtà, la vita è un bene originario: se non fosse indisponibile tutti saremmo esposti all’arbitrio di chi volesse farsene padrone». Il cardinale ha detto che l’impostazione personalista «oltre ad essere corrispondente all’esperienza, ha ispirato leggi, costituzioni e carte internazionali, ha reso le società più vivibili, giuste e solidali». Bagnasco ha voluto chiarire: «È acquisito che l’accanimento terapeutico – di cui non si parla nel testo – è una situazione precisa da escludere, ma è evidente che la categoria di “terapie proporzionate o sproporzionate” si presta alla più ampia discrezionalità soggettiva, distinguendo tra intervento terapeutico e sostegno alle funzioni vitali. Si rimane sconcertati anche vedendo il medico ridotto a un funzionario notarile, che prende atto ed esegue, prescindendo dal suo giudizio in scienza e coscienza; così pure, sul versante del paziente, suscita forti perplessità il valore praticamente definitivo delle dichiarazioni, senza tener conto delle età della vita, della situazione, del momento di chi le redige: l’esperienza insegna che questi sono elementi che incidono non poco sul giudizio. La morte non deve essere dilazionata tramite l’accanimento, ma neppure anticipata con l’eutanasia: il malato deve essere accompagnato con le cure, la costante vicinanza e l’amore. Ne è parte integrante la qualità delle relazioni tra paziente, medico e familiari».

L’utero “in affitto” è colonialismo capitalistico 

Poi Bagnasco è entrato nel dibattito in corso sulla «stepchild adoption», ricordando il «il diritto dei figli ad essere allevati da papà e mamma, nella differenza dei generi che, come l’esperienza universale testimonia, completa l’identità fisica e psichica del bambino. Diversamente, si nega ai minori un diritto umano basilare, garantito dalle Carte internazionali e riconosciuto da sempre nella storia umana. Tale diritto non può essere schiacciato dagli adulti, neppure in nome dei propri desideri. Essere genitore è una cosa buona e naturale, ma non a qualunque condizione e a qualunque costo». Il cardinale ha definito una «violenza discriminatoria» quella esercitata verso le donne con la pratica della maternità surrogata, conosciuta come “utero in affitto”. «In questo caso – ha aggiunto il presidente della Cei – avviene una duplice ingiustizia: innanzitutto è violata la Dichiarazione dei diritti del fanciullo (1959), che recita: “Salvo circostanze eccezionali, il bambino in tenera età non deve essere separato dalla madre”. Inoltre, sono negati i diritti delle madri surrogate, che diventano madri nascoste, anzi inesistenti, dopo essersi sottoposte – spinte per lo più dalla povertà – ad una nuova forma di colonialismo capitalistico: si commissiona un bambino, potendosi servire anche di elenchi – si fa fatica perfino a dirlo – di “cataloghi” che indicano paesi, categorie di donne, opzioni e garanzie di riuscita del “prodotto” che – se non corrisponde – viene scartato». Il cardinale ha poi criticato i «percorsi estremamente lunghi e difficoltosi» per le adozioni in Italia, pur in presenza di «una moltitudine» di famiglie che le chiedono.

Gender, sessualità banalizzata 

Il presidente dei vescovi italiani ha quindi osservato: «Non di rado accade, in alcuni Paesi europei, che, con motivazioni condivisibili, si trasmettano visioni e categorie che riguardano la cultura del gender, e si banalizza la sessualità umana ridotta ad un vestito da cambiare a piacimento». Bisogna dunque, ha continuato, che «gli adulti siano molto vigili». «Nessuna iniziativa, come nessun testo che promuova concezioni contrarie alle convinzioni dei genitori, deve condizionare – in modo diretto o indiretto – lo sviluppo affettivo armonico e la sessualità dei minori che, in quanto tali, non possono difendersi».

Disoccupazione e giovani 

Il cardinale osserva che in Italia «la prima e assoluta urgenza resta ancora il lavoro: sono ormai lunghi anni che il problema taglia la carne viva di persone – adulti e giovani – e di famiglie. La vita della gente urla questa sofferenza insopportabile: deve avere la sicurezza nei fatti che questo grido è ascoltato e preso in seria e diuturna considerazione. Sarebbe nefasto che nei luoghi della responsabilità la voce dei disoccupati e dei poveri arrivasse flebile e lontana. Semplificare le realtà difficili e complesse non è giusto: questo approccio genera populismo facile e superficiale, spesso urlato, a volte paludato, comunque ingannatore e inconcludente, e seriamente pericoloso!». Dopo aver ripetuto come la famiglia rimanga il principale ammortizzatore sociale, Bagnasco ha ricordato che «nel nostro splendido Meridione la disoccupazione giovanile è arrivata al 57%, mentre la media italiana è del 40%» e che «ogni anno emigrano dal nostro Paese circa trentamila giovani in cerca di fortuna!». Ha quindi citato il fenomeno poco conosciuto di coloro che non avendo né impegni di studio né un lavoro «si rinchiudono in casa creandosi un mondo virtuale» senza mai più uscire: in Italia «si stima che siano almeno 6.000». Eppure, il 92% dei giovani, afferma il cardinale, «dichiara il desiderio di farsi una propria famiglia e di avere due o più figli: è uno straordinario dato di fiducia, reso purtroppo vano dalla mancanza di lavoro stabile».

Sempre meno nascite 

Il presidente dei vescovi ha quindi attirato l’attenzione sulla «continua decrescita demografica: nel 2015 le nascite erano 486.000, nel 2016 c’è stato il nuovo record negativo di 474.000 (- 2,4%), tenendo conto anche dei bambini nati da famiglie di immigrati, mentre l’età media risulta crescere in maniera sensibile». Esiste – si è chiesto – una incisiva politica che incoraggi e sostenga la natalità? «Sempre più siamo convinti che – oltre al lavoro – sia urgente incidere su una fiscalità più umana, e chiediamo di giungere al cosiddetto “fattore famiglia” che le Associazioni – a partire dal Forum delle Famiglie – propongono da anni». «La bellezza e la necessità della famiglia, fondata sul matrimonio e aperta alla vita – ha sottolineato Bagnasco – non verranno mai meno, anche se un certo pensiero unico continua a denigrare l’istituto familiare e a promuovere altri tipi di unione».

L’Europa e noi 

Bagnasco ha affermato a proposito di immigrazione, che l’Unione Europea «deve uscire dai propri ambienti chiusi, e arrivare idealmente fino alle nostre coste; deve farsi più responsabile e meno giudicante. A fronte della Brexit e di altri movimenti populisti, «noi crediamo che l’Unione sia un percorso necessario per il bene del Continente. Pertanto c’è ancora più bisogno d’Europa, ma ad una condizione: che l’Europa non diventi altro rispetto a se stessa, alle sue origini giudaico-cristiane, alla sua storia, alla sua identità continentale, alla sua pluralità di tradizioni e culture, ai suoi valori, alla sua missione. L’Unione non è fatta dai capi di Stato, ma dai popoli degli Stati membri, ed è ai popoli che bisogna pensare con stima e rispetto senza imporsi. Accelerare i processi non può significare l’omologazione di culture e tradizioni, e neppure la ricerca di compromessi al ribasso, né aggirare le dichiarazioni e le leggi comuni. E neppure limitare le sovranità nazionali». Il cardinale ha riferito pure che negli ultimi quattro anni, sono stati 2.727 i progetti di formazione e sviluppo sociale sostenuti con i fondi dell’8xmille destinati alla Chiesa cattolica, con uno stanziamento pari a 370 milioni e 400 mila euro.

L’identikit del nuovo presidente della Cei 

Nella parte iniziale della sua prolusione il cardinale ha fatto cenno alle ormai prossime elezioni del nuovo presidente dei vescovi italiani, dopo i suoi due mandati quinquennali. E ha elencato tre caratteristiche necessarie al suo successore. «Presiedere la nostra Conferenza è certamente un compito, ma è innanzitutto una grazia. Richiede l’umiltà che non si compiace, ma serve e rende capaci di ascoltare veramente i confratelli, nel segno della stima sincera e della reciproca fiducia, per tentare delle sintesi limpide e alte. Per questo chi presiede non ha bisogno di avere un proprio programma, ma – in spirito di cordiale obbedienza – accoglie prontamente le indicazioni del Papa, Primate d’Italia, e, insieme ai confratelli e al vissuto delle comunità, le declina al meglio per le nostre Chiese. All’umiltà e all’obbedienza si accompagna la discrezione. Essa non cerca la ribalta, anche se l’accetta quando s’impone per dovere, e non esibisce quanto il ruolo richiede in termini di conoscenze e di relazioni».

 

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