Ci sarebbero tante tantissime cose da dire sulla giornata antiomofobia. Per esempio che picchiare minacciare denigrare calunniare qualcuno è già adesso reato nel nostro codice, per qualsiasi motivo lo si faccia. Per esempio che già oggi la legge prevede le aggravanti per motivi abietti, come sarebbe se qualcuno venisse picchiato per il suo orientamento sessuale. Per esempio che i bambini ciccioni vengono discriminati senza nessuna giornata mondiale contro la cicciofobia, o la sfigatofobia.
Per esempio che l’Italia secondo l’Oscad e il Pew Institute è uno dei paesi in cui si registra minore ostilità al mondo verso le persone omosessuali, perché noi siamo un paese di grande cultura, grazie a Dio, e non siamo bifolchi come quelli dell’Onu che vengono a farci le prediche. Per esempio che mentre già oggi ci sono psichiatri che considerano la fede religiosa un fatto patologico, d’altra parte se uno psichiatra si offre di curare una persona che non viva serenamente il proprio orientamento sessuale viene messo sotto procedimento disciplinare. Per esempio che invece c’è un’epidemia di eterofobia tanto che un terapeuta titolato e stimato come Ricci viene messo sotto procedimento disciplinare se dice che i bambini hanno bisogno di un padre e una madre (idem la De Mari se osa parlare delle conseguenze fisiche della penetrazione anale).
Ci sarebbero tante cose da dire ma non ho avuto tempo di scriverle, oggi. E allora ne vorrei dire una che mi sta molto a cuore, prima che finisca la giornata. Io credo che l’omofobia non esista: è una parola inventata per dire una cosa che non c’è. Nessuno ha paura degli omosessuali. Probabilmente ci sono molte persone che non li capiscono, questo sì. Ma chi vuole veramente il loro bene? Chi cerca di capirli davvero, di amarli, di accompagnare le persone che provano attrazione verso lo stesso sesso, e si rifiuta invece di “accompagnare” la loro attrazione, come fa chi organizza dark rooms e glory holes e robe simili? Chi li guarda come persone e basta? Di certo non chi li ha usati e li sta usando per cercare di innescare un cambiamento culturale, un tana libera tutti in cui la sessualità diventa una palude al servizio dell’istinto e dell’emotività, senza un giudizio, senza una ragione, senza un discernimento che aiuti a capire le ferite che hanno segnato una persona. Di certo non chi li ha usati, chi li sta usando per farli diventare bandiere di una liberazione sessuale i cui frutti di solitudine infecondità sofferenza stanno sotto gli occhi di tutti.
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Io penso che voglia il loro bene prima di tutto chi non li riduce alla loro inclinazione o alle loro azioni, ma chi guarda loro come persone. Amare una persona è non giudicarla mai, ma aiutarla a guardare la sua sofferenza, se c’è. Giudicare dunque le sue azioni, non la persona. Ricordare che, come scrive Harvey nel suo meraviglioso, delicatissimo libro, Accompagnare la persona, Edizioni Studio domenicano,
“gli atti omosessuali sono per loro natura fonte di frustrazione e molti di coloro che li praticano sentono che non li porteranno da nessuna parte. Vi è di solito la sensazione che si cerchi nell’altro quello che manca a se stessi . La relazione fra due persone con la stessa ferita non è duratura, proprio perché ognuno cerca nell’altro una caratteristica di cui manca, ma che l’altro non potrà mai dargli. Tale mancanza consiste nella non identificazione con il proprio sesso, derivante dalla famiglia di origine”.
Se un tuo amico vive questa frustrazione, questa mancanza, tu fai il suo bene se gli dici che è fantastico vivere così, o se gli dici che lui è più grande della sua ferita, e che è possibile vivere diversamente? “La cura pastorale, dice Sean Kilkawley, esperto nella pastorale delle persone con dipendenza sessuale, non comincia con il giudizio morale degli atti commessi ma con il discernimento delle ferite presenti nella storia personale di ciascuno. Questo non significa che respingiamo la verità dell’insegnamento della Chiesa sulla persona umana e sulla sessualità umana. Come dice Amoris Laetitia 293 «nel discernimento pastorale conviene identificare elementi che possono favorire l’evangelizzazione e la crescita umana e spirituale». Questo spesso significa discernere le bugie che derivano dalle ferite subite nell’infanzia. Come ad esempio “non sono amabile”, “se le persone sapessero chi sono in realtà mi rifiuterebbero”, “Dio ha commesso un errore quando mi ha creato”. Queste sono bugie sull’identità che sono antiche come il peccato originale. L’accompagnamento pastorale prevede di dire la verità dell’amore di Gesù difronte a queste menzogne – l’accompagnamento pastorale deve essere accompagnamento kerygmatico a partire dalla prima proclamazione dell’amore salvifico di Cristo e dalla chiamata alla conversione”.
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Ecco, a me sembra che la vera omofobia, o meglio, la vera cattiveria verso le persone con attrazione verso lo stesso sesso sia tacere loro la possibilità di guardare a sé in un modo diverso, e di cercare un modo diverso di vivere. Questa è la vera cattiveria: inchiodare qualcuno alla sua sessualità.
Dentro la Chiesa, praticamente l’unica a non essere caduta nella trappola della propaganda omosessualista, ci sono tante realtà in cui si accompagna la persona con carità e verità, come Courage, una proposta di vita spirituale e di santità che tanti vescovi, come monsignor Marciante a Roma, appoggiano e promuovono. Nessuno è escluso dalla chiamata alla santità, nessuno. Il Cardinale Ratzinger scriveva nel 1986 che “un programma pastorale autentico aiuterà le persone omosessuali a tutti i livelli della loro vita spirituale, mediante i sacramenti e in particolare la frequente e sincera confessione sacramentale, mediante la preghiera, la testimonianza, il consiglio e l’aiuto individuale. In tal modo, l’intera comunità cristiana può giungere a riconoscere la sua vocazione ad assistere questi suoi fratelli e queste sue sorelle, evitando loro sia la delusione sia l’isolamento”.
Certo, non a tutte le persone interessa la proposta cristiana, ma non si può proprio dire che queste siano parole omofobe.
Quindi, per favore, cari colleghi, basta titolare “la Chiesa di Francesco apre ai gay”. Tre errori in sette parole è un bel record. Uno. Gay è una parola propagandistica che la Chiesa rifiuta. Due. La Chiesa non è di Francesco ma ha una tradizione bimillenaria, e il suo giudizio sugli atti omosessuali non è cambiato da san Paolo a oggi. Tre. La Chiesa non ha aperto, è aperta da duemila anni, da quando Cristo è morto in croce, non per dirci che peccare è figo e poi alla fine si va tutti in paradiso, ma per dirci che una vita molto più bella, quella eterna, è possibile per tutti.
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