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Perché non partecipiamo al linciaggio mediatico di Flavio Insinna

Flavio Insinna
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Giovanni Marcotullio - Aleteia Italia - published on 26/05/17
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Il conduttore romano è stato travolto da una bieca manovra che lo ha consegnato al pubblico ludibrio con delle registrazioni trafugate per un pugno di punti di share. Le sue azioni sono indifendibili (e difatti l’attore ha semplicemente chiesto scusa), ma da tutto possiamo imparare qualcosa

Ero di sotto a prendermi un trancio di pizza al forno e nel breve tempo della fila ho beccato il cambio di discorso tra il “caso Biagiotti” e il “caso Insinna”. Ho quindi potuto registrare la brusca escursione termica tra il

Poverina… era giovane… [comunque aveva 73 anni, N.d.R.] E poi era pure archeologa, sai? Sì, e tu sai che era la proprietaria del castello di Guidonia?

e il

Lo devono far morire di fame! Sì, è uno schifo! Con tutti i soldi che prende tratta pure male la gente! Quello è un pubblico ufficio, non ti puoi permettere! Che indecenza!

Purché si possa dire una parola

Trovo sempre molto suggestivo il bisogno umano di poter dire una parola su ogni argomento: per questo ci sono i luoghi comuni, che si trasmettono al fulmicotone, non richiedono intelligenza per essere colti e sono generalmente tutti ugualmente spendibili in società.

Ora, già che ci siamo, un “povera Laura Biagiotti” lo spendiamo senza remore anche noi qui, ricordando i grandi carichi di bellezza – che la sua impresa ha riversato nelle nostre case e per le strade – e di ricchezza – che ha prodotto in posti di lavoro e circolazione di denaro. Tutte cose buone e importanti. Speriamo e preghiamo che le abbiano giovato nell’orientare la sua anima verso il Cielo.

Il “caso Insinna” invece ha dell’impressionante, e molto più per le reazioni scomposte del pubblico che per il fatto in sé: è incredibile come l’affezione viscerale del pubblico per uno dei presentatori più popolari d’Italia si sia repentinamente rovesciata in un odio profondo. Ancora tre giorni fa ogni casa d’Italia avrebbe avuto piacere di ospitare a pranzo Flavio Insinna, con quella strana mescolanza di familiarità e di deferenza che solo il vip televisivo può ispirare. L’indignazione che ho registrato nelle reazioni dalla fornaia aveva vibrazioni più intime di quelle che si sentono quando qualcuno scopre come si uccidono le foche per fare pellicce o le oche per imbottire piumini.

Sì, c’è un dettaglio in più, che è tutto umano e che è la percezione del tradimento: proprio perché Insinna è entrato ogni giorno e per anni nelle case degli italiani oggi questi si sentono personalmente traditi. E se volessimo parlare di tradimento sarebbe interessante spiegare come si possa disporre di registrazioni quali quelle che hanno messo alla gogna il Flavio nazionale (vi fa cenno Wired, e con sapiente moderazione); sarebbe pure importante, per capire, sapere quali vecchie ruggini intercorrano tra la parrocchia di Affari tuoi e quella di Striscia la notizia. Sarebbe interessante, già: però non ci pare che il tema centrale sia quello del “tradimento”.

Anche perché a me pare evidente che il tradimento più grave – al netto delle cose irripetibili che ha detto – l’abbia subito lui: motivo per cui capisco bene il tweet di solidarietà dedicatogli dal direttore di Rai1 Andrea Fabiano.

Mi rendo conto che possa significare paradossale, e con questo non voglio dire che l’ormai (tristemente) nota signora valdostana non debba o debba prendere i suoi provvedimenti legali… provo a spiegarmi raccontando un aneddoto che questa miserevole storia mi ha riportato alla memoria.

Una ceretta per la “carità pelosa”

Anni fa – quando già non vivevo più dai miei ma per alcuni periodi all’anno tornavo a stare qualche tempo a casa loro – mio padre rientrò a casa visibilmente innervosito, una sera, e dopo appena uno scambio di battute con mia madre e me (scambio nient’affatto teso: si trattava di qualche commissione da fare o cose così), egli esplose in un’esclamazione che ci lasciò di sale. Era una breve frase che, in poche parole, pareva liquidare l’intero valore della sua vita.

A ripensarci mi vergogno molto della mia reazione (ché già non avevo più gli anni dell’adolescenza, in cui l’idiozia è un vizio passeggero): scattai in piedi con la voce rotta dal nervoso e, quasi piangendo dalla rabbia, gli urlai che così facendo ci stava insultando tutti. Che imbecille (io)!

L’aneddoto mi torna alla mente perché anche mio padre – come Flavio Insinna – è noto a tutti quelli che lo conoscono come persona mite e piacevole, incline alla facezia e di buona compagnia. Ma io mi ero sentito ingiustamente maltrattato da lui. E poco importava che non sapessi niente della sua giornata prima di quell’istante: io mi ero sentito ingiustamente maltrattato da lui, e non mi pareva ci fosse altro da dire. Qualche giorno dopo andai a trovare il mio padre spirituale e – con quel sussiego meditabondo e contrito, quasi dolorante per la finzione della profondità che subconsciamente volevo illudermi di significare – gli raccontai il fatto. Oh, come lo dicevo bene: già pensavo a quanti nei secoli avrebbero trascritto l’apologo nelle mie agiografie – che ragazzo sensibile, io! – e credo di aver studiatamente inchinato la testa di lato, come in una brutta oleografia ottocentesca, mentre “mi confessavo (i peccati degli altri)”.

Fortuna che il mio padre spirituale è un sant’uomo per davvero… mi ascoltò con attenzione mentre lo sguardo trafiggeva le volute di fumo della pipa per non staccarsi da me. Quando ebbi finito il mio melodrammatico spettacolino privato, il gesuita si tolse la pipa dalla bocca e sentenziò il verdetto:

Tu hai gravemente mancato di carità verso tuo padre.

Così: secco. Inappellabile. Rimasi gelato come se in una mattina di agosto al mare fossi stato investito da una raffica di tramontana triestina. Però aveva ragione lui, e con quello strappo brutale passava la ceretta alla mia carità pelosa:

Si sa che la gente dà buoni consigli,
sentendosi come Gesù nel tempio;
si sa che la gente dà buoni consigli,
se non può più dare il cattivo esempio.

E io, che all’epoca non ero padre, non ero marito, non avevo particolari responsabilità e soprattutto ero abituato a dedurre le persone a partire dalle idee, non riuscivo neppure a immaginare che giornata potesse aver avuto mio padre fino al momento in cui è esploso, sfogandosi col dire cose che non pensava. Era quasi scontato che la vedessi così, non potendolo ancora dare, il cattivo esempio.

Penso pure che i tanti che hanno augurato a Insinna di “morire di fame” parlano così perché non lo potranno mai dare, il cattivo esempio: non credo che nelle panetterie e nei bar d’Italia si allevino queste grandi fucine di conduttori di punta dell’ammiraglia Rai. «E le regine del tua culpa – cantava mestamente De André – affollarono i parrucchieri». E se anche lì vi fosse qualcuno, invece, che un domani o già oggi si troverà a gestire la pressione di trecento puntate all’anno di una trasmissione nazionale in prima serata su Rai1 (roba da Ventimila leghe sotto i mari), quel qualcuno invece comprenderà Flavio esattamente come il mio padre spirituale – che non per nulla è padre – capiva benissimo mio padre. E svelava l’ipocrisia del mio moralismo da quattro soldi, tanto più odioso quanto più smaltato da velleità agiografiche.

L’opera dell’inferno – diceva Chesterton – è tutta spirituale;

inoltre aveva ragione Elsa Morante a osservare che

la più grande frase d’amore che si possa dire è “hai mangiato?”.

Nella pubblica e oscena lapidazione mediatica di Flavio Insinna – che ha superato di misura l’inqualificabile performance fuori onda del conduttore – troviamo lo specchio di un’italiuccia pusillanime e piccolo-borghese, che risponderebbe – se le chiedessimo del suo essersi mai domandata se Flavio Insinna “abbia mangiato”, quella sera – «Eh, però i soldi li prende! E quanti!»

E allora avanti un altro – cantava dolorante Ligabue –: «Eh… con quello che guadagni, stai muto!»
Avanti pure un altro: «Con quello che guadagni, sorridi nella foto!»

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=IWhKZadDi4s]

Il De profundis di Flavio per noi

Tutto qua? E se fosse proprio vero, che alla fine ogni nostra “correzione fraterna” origina da un eccesso di invidia (che poi è sempre un difetto di amore)?

Se trattate gli uomini secondo i loro meriti
– diceva l’ineffabile Amleto a Polonio, che doveva alloggiare gli attori –
chi scamperà alla forca?

Citava il de profundis (Sal 129 [130], 3), il principe danese – d’altronde studiava teologia a Wittenberg! Appunto dei suoi demeriti faceva ampia confessione pubblica, stanotte, Flavio Insinna. Su Facebook abbiamo letto:

[protected-iframe id=”ff3afc202296f6a77014d68a732102df-95521288-92537038″ info=”https://www.facebook.com/plugins/post.php?href=https%3A%2F%2Fwww.facebook.com%2FFLAVIOINSINNAFaccialibro%2Fposts%2F2322226108003348&width=500″ ]

E non c’è molto da aggiungere: forse molto da riflettere, per tutti.

Non che Insinna sia o fosse un modello imperfettibile: è vero, negli anni ha spesso interpretato ruoli di personaggi esemplari, e anche su queste nostre pagine qualche anno fa aveva rivelato di dovere alla cura costante del rapporto con Gesù Cristo buona parte del suo «solito gaio e cordiale umore» (direbbe Bis). Ma niente di tutto ciò assomiglia a una canonizzazione: già se guardo solo i suoi social trovo esternazioni discutibili e penso di non poter condividere alcune delle sue (legittime) posizioni. Solo la spietatezza del mondo, che al contrario della Chiesa «permette tutto e non perdona nulla», può esigere da un uomo la coerenza indefettibile e una rettitudine morale a prova di errore. Tra cristiani ci accontentiamo di camminare tutti verso la meta. Risollevandoci a vicenda quando capita di cadere: tanto capita a tutti – «sette volte al giorno» per i migliori (stando a Prov 24,16).

Mamma Rai pensi a mia nonna

Ma sono grato, a Flavio Insinna, per la professionalità e per il garbo che ha sempre dimostrato (tra le registrazioni di quante puntate hanno pescato quelle orribili dichiarazioni per cui ora è stato linciato?) E poi gli sono grato perché da anni fa compagnia ai miei genitori e ai miei suoceri, la sera; e soprattutto a mia nonna, che nel suo testardo orgoglio vuole vivere ancora a casa sua – benché a novant’anni suonati ne sia rimasta l’ultima abitante. Penso a mia nonna che ama il buon cuore di Insinna, e che aspetta “i pacchi” alla sera come la messa alla mattina, per poi raccontare di questa e di quelli a chi passi a trovarla nella giornata.

Visto che i sottotesti di questa vicenda miserabile non sono più un segreto per nessuno, e poiché a me personalmente essa è servita per ricordare quanto si possa diventare moralisti quando non si considera la fragilità di quelli che ferocemente ammiriamo, spero che il pasticciaccio brutto non pregiudichi la carriera di Insinna, ma che anzi Flavio possa restare saldo in sella all’ammiraglia delle reti pubbliche.

Mamma Rai pensi a mia nonna.

Ce ne sono tante, come lei, anche se non fanno chiasso.


Aggiornamento della serata: intorno alle ore 23 Flavio Insinna ha pubblicato questo video sulla propria pagina Facebook

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