L’infermiera canadese ha rivoluzionato se stessa dopo aver subito anche un ictus e il coma Ha cominciato la sua carriera come infermiera, salvando vite umane. Poi, senza cambiare mestiere, ha iniziato a eseguire procedure di ‘buona morte’ in una casa di cura. Anche su malati non terminali. Dopo l’agonia di nove giorni di una donna, uccisa per disidratazione, e di un’anziana a cui il figlio aveva chiesto l’interruzione delle cure, ha detto “no” all’ennesima procedura che le era stata assegnata. Ed è stata licenziata.
Poi un ictus e undici giorni di coma l’hanno convinta definitivamente della china pericolosa che aveva imboccato. Lei e il sistema sanitario del suo Paese, il Canada (Avvenire, 7 giugno).
Ora Kristina Hodgetts è vicepresidente della Coalizione per la prevenzione dell’eutanasia.
La parabola di Kristina è semplice: prima infermiera nell’esercito canadese, poi capo infermiera in un dipartimento d’emergenza. Infine, Direttrice degli infermieri in una casa di cura. È qui che il suo lavoro cambia. «Dal dare tutto per salvare i pazienti e ogni singola vita, si passò all’accelerare i processi di morte, nel modo più efficace, nel modo più sicuro».
Un salto fatto “in buona fede” e “per ridurre il dolore”. Ma, progressivamente e surrettiziamente, il dare la morte divenne una routine.
SUCCHIAVA ACQUA DALLA SPUGNA
Il primo dubbio dell’infermiera emerge con una donna, fragile e vecchia. Avviene il ricovero, la perdita di coscienza, la ricetta del medico “morfina; sospendere cibo e acqua” e le frasi delle colleghe: «Speriamo muoia prima di svegliarsi di nuovo». Non era crudeltà. «Eravamo tutti convinti che fosse la cosa migliore». Solo che la signora non vuole morire. Succhiava acqua dalla spugna appoggiata alle labbra. Quella donna impiegò nove giorni a trapassare, a morire di sete e fame.
A Kristina rimasero impresse le parole di una giovane collega del turno di notte: «Che cosa stiamo facendo?».
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LA RIBELLIONE CON I MEDICI
Poi ricapitò: ancora una volta una donna anziana, questa volta per un piccolo ictus. Una figlia disperata, un figlio, unico fiduciario, che avalla la fine. La figlia rimase al fianco della madre finché i polmoni non “affogarono” nella morfina. È qui che Kristina si ribella. Sicché, quando durante una riunione della dirigenza della clinica si discusse dell’obbligatorietà di eseguire gli ordini di uccidere i pazienti in quel modo, Kristina espresse il suo parere contrario: venne licenziata (Notizie Pro Vita, 7 giugno).
L’ICTUS E IL COMA
Qualche tempo dopo lei stessa fu colpita da un ictus emorragico e ha vissuto undici giorni in coma: è viva grazie al marito che l’ha assistita costantemente e ha impedito che fosse “terminata”. Oggi porta ancora nel corpo i segni di quel trauma, ma da quando si è ripresa si è unita alla Euthanasia Prevention Coalition, della quale è divenuta vice – presidente.
UNA NUOVA VITA DI TESTIMONIANZA
«Non fosse stato per il marito mi avrebbero uccisa». Solo dopo il risveglio, è iniziata per lei una nuova vita: una missione di racconto nella Coalizione per la prevenzione dell’Eutanasia. Raggiunge, nonostante la paresi parziale, chiunque voglia ascoltarla e racconta la sua storia (in Italia è arrivata tramite l’associazione Pro Vita Onlus) e, soprattutto, la sua paura che succeda anche in altri Paesi quello che ha visto accadere in Canada (Tempi.it, 7 giugno).
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