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Come essere una femminista mi ha avvicinato a Dio

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Samantha Povlock - pubblicato il 20/06/17
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Quella che pensavo fosse debolezza in realtà è forzaLa maggior parte delle persone probabilmente non dà tanta importanza a chi porta le bottiglie d’acqua, ma da giovane femminista quando mia nonna mi disse di permettere a mio fratello minore di portare la pesante confezione di Aquafina divenni livida. “Davvero?!”, pensai. “Perché pensa che io sia tanto debole?!”

A quanto pare, ho avuto il femminismo nel sangue fin dall’inizio. All’asilo, quando un bambino ha cercato di inseguirmi nel parco giochi ho corso per un po’, poi mi sono fermata e l’ho affrontato: “Perché mi stai inseguendo?”

“Uh, non lo so…”, ha mormorato.

“Beh, allora sarò io a inseguirti!”

Non sono mai stata una che si poteva scambiare per dolce e tranquilla.

Il mio saggio per la domanda al college ha riguardato il fatto di unirmi a una partita di baseball tutta maschile alla festa di laurea di un parente. Ho descritto con orgoglio come ho rifiutato di sedermi pigramente insieme alle altre ragazze, alzandomi per avvicinarmi al lanciatore e chiedere a quale squadra dovessi unirmi. Ero determinata a far sì che essere una donna non mi impedisse nulla. Ero fiera di essere una donna – una donna che poteva essere come gli uomini.

Quando ho iniziato a uscire con i ragazzi le cose sono cambiate. Ho cominciato a confrontarmi con la profondità delle mie emozioni. Santa Edith Stein ha scritto che “la forza di una donna risiede nella sua vita emotiva”, e quelle emozioni non mi facevano affatto sentire forte, solo… vulnerabile.



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Come la maggior parte delle femministe moderne, essere vulnerabile non era esattamente l’immagine che perseguivo. Ero una femminista. Ciò significava che ero potente, e forte.

Essere vulnerabile era essere fragili, e – cosa peggiore di tutte – deboli. E allora evitavo quei sentimenti. Li nascondevo nel mio cuore sempre più fragile.

A un certo punto non ce l’ho fatta più. Non potevo andare avanti. Non ero forte. Ero debole. Ero vulnerabile. Onestamente, ero nei pasticci.



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Per qualche miracolo, e forse con un po’ di fortuna (o piuttosto grazia), ho deciso di cercare Dio. La mia logica disperata ragionava sul fatto che, visto che ero già vulnerabile, non c’era motivo per cui non potessi permetterGli di unirsi a me. Alla fine ero abbastanza debole per essere umile. Forse è questo che intendeva San Paolo quando ha scritto “la mia potenza è portata a compimento nella debolezza… perché quando io sono debole, allora sono forte” (12 Cor 12, 9-10).

Il femminismo, per sua definizione, è la convinzione che uomini e donne siano uguali, ma in quei momenti di vulnerabilità Dio mi ha rivelato qualcosa – non ci credevo. Nell’intendere emozioni e vulnerabilità come una debolezza, ho visto queste qualità femminili come qualcosa che rendeva le donne inferiori.

E allora è risultato che Dio, dopo tutto, era un femminista molto migliore di me.

In quel periodo della mia vita mi sono imbattuta in tutto un nuovo mondo di pensiero – il femminismo cattolico. Non era il movimento femminista moderno che vedeva la femminilità come una debolezza e sosteneva che le donne dovessero diventare mere imitazioni degli uomini. No, questa branca del femminismo mi sfidava a riconoscere che non ero come gli uomini, e forse questa era la mia forza.

Persone come Santa Edith Stein, San Giovanni Paolo II, Helen Alvaré, Lisa Cotter, Catherine Pakulak ed Erika Bachiochi hanno tutte alimentato questa fame crescente che avevo per la verità – per la verità sulle donne e su me stessa.



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Dio sapeva che ero una femminista. E sapeva che per quanto credessi che le donne sono potenti e forti non sapevo perché lo fossimo, il che voleva dire che non potevo abbracciare la profondità della mia forza. Una forza autenticamente femminile.

Mi ha insegnato che mi conosceva meglio di quanto mi conoscessi io.

Il nostro è un Dio amorevole. È un Dio che ha fiducia. Ha affidato a una donna la parte più vulnerabile di sé – suo Figlio –, il tutto per poterci incontrare nella nostra vulnerabilità. Per aiutarci a diventare le versioni più forti, più gioiose, più autentiche di noi stessi.

Ora finalmente confido nel fatto che mi aiuterà a farlo.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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