In UK 1 aborto su 4 nel 2016 è stato richiesto da donne rimaste incinte nonostante l’uso della pillola anticoncezionaleArrivano più tardi, a richiederlo, perché non se lo aspettano.
Qualcosa è andato storto. Per fortuna il servizio clienti post vendita è piuttosto efficace e pronto. Non doveva succedere, è successo, ok, si rimedia. Che problema c’è?
Nessuno.
Solo una città intera di futuri saltellanti cittadini sterminata. Una Savona, una Caltanisetta, una media città italiana fantasma. Ecco cosa c’è.
Sto parlando di questo: UK: 60mila aborti nel 2016, notizia riportata da Ansa.it, oggi.
Uno su 4 è richiesto da donne un po’ più trafelate, perché arrivano a gravidanza piuttosto conclamata a chiedere rimedio. Usavano la pillola o l’anello vaginale. E non se lo sarebbero affatto aspettate di avere un bambino in viaggio. Perché loro e i loro partner non lo avevano in programma. Non era il momento. E il sesso, ormai la cosa è risaputa, non deve per forza portare a nuove nascite. E allora siamo passati da un imperativo (rapporti sessuali al solo scopo di concepimento – ma siamo poi così sicuri che l’orizzonte fosse quello?) all’altro. Dalla procreazione al piacere, perseguiti pervicacemente e in un infondato, contraddittorio aut aut.
Del resto, dice Therese Hargot, è quello l’imperativo categorico che, smesso di contemplare il cielo stellato sopra di noi, e di obbedire alla legge morale in noi, sentiamo urgere dentro. Il godimento.
Dice anche la filosofa e sessuologa belga, naturalizzata francese, che l’interruzione di gravidanza è vissuta dalla nostra sfortunata gioventù, destinataria della liberazione sessuale, proprio come un servizio post vendita. Di quale prodotto? La contraccezione. La grande distribuzione dei prodotti-servizi anticoncezionali ha un ottimo servizio clienti.
Parlando dell’aborto, nell’intervista rilasciata a Giovanni Marcotullio, eccelso nostro redattore e suo traduttore per la Sonzogno del libro “Una gioventù sessualmente liberata (o quasi)”, alla domanda circa l’ostracismo che ci si poteva aspettare su questo tema nella laicissima Francia, risponde:
Ho scelto di non pronunciarmi “pro o contro” perché ho 32 anni e sono nata con il diritto all’aborto. Nessuno mi ha chiesto se sono a favore o contro. D’altro canto bisogna dire che il diritto all’aborto ha avuto ripercussioni sul modo in cui si vede il bambino e sul modo in cui i giovani di oggi percepiscono l’aborto stesso, e per questo lo chiamo “l’assistenza clienti della contraccezione”. Se hai una gravidanza per disattenzioni nell’uso dei mezzi contraccettivi non è un problema, ti dicono: «Puoi sempre abortire». Non si può riflettere sulla questione dell’aborto senza riflettere su quella della contraccezione, vorrei far capire che sono cose intimamente connesse. ( L’epoca dell’aborto sta passando?)
È quello che mi è tornato alla mente leggendo oggi la sezione SaluteeBenessere eeBenessere dell’Ansa. Fa pensare anche questa cornice, non trovate?
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Come siamo arrivati a taggare come contenuto relativo alla salute e al benessere una strage di figli?
Eppure è così. Se l’atto sessuale è pratica che afferisce al benessere e alla salute riproduttiva (e non è più gesto intero, atto umano che implica anche la procreazione); se la persona è sinonimo di individuo, se il paralogismo dell’autodeterminazione assoluta è diventato legge scritta e ripetuta da decenni da tutti gli occidentali, allora sì, l’aborto è atto esatto (perché lo si esige!), ancora vagamente considerato poco desiderabile ma sempre più sdrammatizzato dentro la performance-vita. All’interno dell’esperienza esistenziale, dell’adulto, è chiaro.
L’aborto, lo sterminio degli esseri più deboli e non nocenti – lo dico così perché innocenti ormai sembra un’espressione sentimentale e vacua- e compiuto in modo intenzionale e non in preda all’ira o alla disperazione è il gesto più crudele e turbatore di pace che si possa concepire, come diceva meglio di tutti Santa Teresa di Calcutta.
(Anzi, mi correggo. Una più o meno conclamata disperazione muove sicuramente molte donne e non possono essere criminalizzate).
Certo, fa meno effetto, un aborto, soprattutto se non lo guardiamo! Impressiona meno di un neonato lanciato vivo dalla finestra del terzo piano; non sconvolge le viscere perché i bambini sono chiamati feti e i feti sono estratti quasi sempre morti quindi silenziosi, oppure a pezzi, e va da sé che l’idea di bambino un poco si perda; oppure sono lasciati morire in scatole di metallo, ma soli e presumibilmente a porte chiuse. Chi ha tempo e pelle sufficientemente dura vada a leggere le modalità dell’aborto terapeutico.
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È per questo che i non più così rari casi di bambini abortiti ma che si ostinano a nascere vivi e saliti all’onore delle cronache, nonostante tutta la pece di reticenze e straniamenti linguistici rovesciata lungo le mura della nostra (in)civiltà, hanno suscitato scalpore, turbamento e io credo anche un certo segreto sollievo. Non ce la facciamo più, non reggiamo più, umanamente, a tacere di questo orrore, ripetuto, normalizzato, proceduralizzato.
Ricordate quel bimbo con la sindrome di Down abortito alla 23 settimana e lasciato morire sul tavolo operatorio? Ricordate la notizia delle sue urla che hanno agghiacciato medici, infermieri, uomini e donne? È successo in Polonia, a Varsavia, Ospedale Sacra Famiglia.
O il racconto di altri aborti di bimbi che sopravvivono per ore e ore? O l’orrore che non in pochi abbiamo provato al pensiero del cosiddetto aborto a nascita parziale che la candidata Democratica Usa inventariava tra le sue proposte programmatiche?
Insomma, in sintesi, pare che gli anticoncezionali considerati più sicuri funzionino, ma non sempre.
Pare anche confermato da questo dato (1 aborto su 4 viene richiesto da donne che usano pillola o anello vaginale, in UK) che l’aborto sia vissuto proprio come un anticoncezionale ex post e che il nesso tra uso di anticoncezionali, gravidanze indesiderate e aborto stesso sia per questo strettissimo.
Pare infatti che tutta l’informazione su temi genitali e pratiche annesse abbia ottenuto un effetto diverso dalla reale prevenzione delle gravidanze indesiderate. Tanto è vero che, sempre nel Regno Unito, tra il 2009 e il 2014, a causa di tagli alla Sanità che si sono resi necessari e che hanno portato alla sospensione di programmi di educazione sessuale nelle scuole con distribuzione di contraccettivi abbia ottenuto un consistente calo delle gravidanze tra le giovanissime, come riporta l’articolo di Avvenire del 10 giugno scorso.
Pare anche che ci siamo sbagliati. Non è il desiderio di un figlio che precede la gravidanza a garantire che il figlio sia poi amato e che noi saremo felici.
Non è spazzando via problemi e bambini che si diventa grandi.
Chissà quante donne, di quelle comprensibilmente sconvolte dal ritrovarsi incinte quando avevano messo in atto azioni allo scopo di prevenirlo, se debitamente accompagnate (anche dall’uomo!), se perlomeno informate che l’aborto è definitivo, irrimediabile (e questo non è il bello, ma è come contrarre un virus che resta latente per poi esplodere in una futura probabile depressione. La PAS non è una leggenda metropolitana ma un insieme di sintomi che colpiscono il 62% delle donne che hanno praticato un’interruzione volontaria di gravidanza), chissà quante di fronte a medici meno tremebondi e vigliacchi, che guardassero il loro utero e l’essere che ci abitava come una bella notizia, anziché macchiarsi di lesione grave su consenziente (come dice la dottoressa Silvana De Mari) avrebbero cambiato corridoio, idea, ricerche su Google.
Non più “fino a che settimana si può abortire”; “l’aborto è pericoloso?”, “posso fare l’epidurale?” ma consigli sul parto in acqua o sull’allattamento. Sulla possibilità di darlo in adozione restando anonime. Chissà quante, incoraggiate a pensare alla verità, ovvero che lasciato crescere quel piccolo essere era senza dubbio destinato ad assomigliare a qualcun’altro e a camminare, parlare, sfiancare genitori e nonni, chissà quante avrebbero con sollievo stornato l’attenzione verso la smaniosa domanda: “Maschio o femmina?”
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