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La fede è un farmaco potentissimo per battere la depressione

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Silvia Lucchetti - Aleteia Italia - published on 04/08/17
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La storia di Milly Gualteroni che racconta la sua depressione con gli occhi di chi ha incontrato l’amore di Dio“Strappata dall’abisso. Dagli psicofarmaci alla fede” è il titolo del libro autobiografico di Milly Gualteroni (Ares edizioni), e l’abisso è quel buco tremendo dove la depressione l’ha gettata per molti anni. Infatti la giornalista racconta in questo libro la sua storia di giovane ragazza di famiglia lombarda, studiosa e intelligente che – dopo aver frequentato università facoltose ed essersi dedicata all’insegnamento – diventa giornalista di moda e lavora nelle riviste glamour e patinate della «Milano da bere». Ma dietro a questo apparente successo di donna in carriera e realizzata, si nasconde la sofferenza della malattia che esplode con ancor più veemenza negli anniversari di due gravi lutti familiari per suicidio: quello del fratello maggiore e poi quello di suo padre, medico, colpito da un tumore. Due traumi poco dopo aggravati da una violenza sessuale. La depressione la opprime e non le concede tregua, nessun farmaco è in grado di guarirla, nessun medico o specialista riesce ad aiutarla. La tentazione del suicidio travolge anche lei che per tre volte tenta di uccidersi. Sono pagine drammatiche dove si avverte tutto il peso della disperazione ma c’è sempre qualcosa che misteriosamente la trattiene dal lasciarsi andare fino in fondo, che la tiene un passo indietro dall’abbracciare completamente il desiderio di morte. Nel suo percorso esistenziale si avvicendano momenti di grande confusione, anni accelerati di feste e incontri, relazioni, sesso e tradimenti, e poi desiderio di stabilità, sicurezza, tutto poi di nuovo impastato dal dolore della depressione. Ci vuole coraggio per raccontarsi così: il libro di Milly Gualteroni è una intensa e sincera testimonianza di una donna che guarisce tornando alla fede, riscoprendo la sua vera umanità, accettando la sofferenza e scoprendo nella depressione una chiamata.


DEPRESSIONE DIO SPIRITUALITA
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Abbiamo deciso di contattarla per farcelo spiegare proprio da lei.

Cara Milly, nel tuo libro ad un certo punto ti domandi: e se la depressione fosse una chiamata? Ce ne vuoi spiegare il senso?

La chiamata non è la depressione, ma nella depressione si può percepire la chiamata: una pro-vocazione con cui Dio chiama. Ed è quello che è successo a me. Ho compreso in tutti questi anni che la sofferenza è una componente della vita che ha un senso e una funzione. Il mondo contemporaneo non accetta la sofferenza, non accetta che anche il dolore come la vita sia sacro. Ciò che io ho sperimentato è che il dolore ci inchioda al tempo, mentre l’accettazione del dolore se ci affidiamo a Dio ci trasporta nell’eternità. La depressione è una “circostanza” dolorosa e devastante come ogni altra malattia, ma chi ha consapevolezza che “ogni capello del capo è contato” non può non prendere atto che è un occasione donata il cui significato molto spesso è imperscrutabile, e qui entriamo nel mistero della croce, il grande paradosso della croce. In questo senso anche la depressione può diventare una maestra formidabile per approfondire l’annuncio di Gesù; perché nulla, penso, insegna l’umiltà e previene dall’orgoglio più della depressione. Nulla educa a una povertà più radicale e intima, della depressione: che ti spoglia di tutto, che ti fa sentire l’estrema fragilità della condizione umana. Ma in questa drammatica povertà, ho percepito finalmente tutto il bisogno di cui è fatto il nostro cuore, che, come diceva sant’Agostino, anela solo a riposare in Lui. La depressione può essere, dunque, una prova, una sfida drammatica per imparare chi siamo, per conoscere la nostra umanità fatta a immagine e somiglianza di Dio. In questo senso diventa una chiamata che non va sprecata.

È stato più duro accettare la sofferenza o viverla?

Il punto di svolta nel mio cammino è stato smettere di rifiutarla. Ma per accettarla ho dovuto comprendere il valore e sperimentare nella fatica quelle grandi virtù che sono l’umiltà, la pazienza e la speranza. Finché ti senti padrone della tua vita, non accetti la sofferenza, la rifiuti come qualcosa di ingiusto e intollerabile. Ma quando comprendi di essere figlio e creatura amata, la prospettiva cambia. E se riesci a mantenere nel cuore la meraviglia per i tanti prodigi quotidiani della vita, impari ad accogliere e affrontare anche il dolore: impari ad attraversarlo.



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Quando hai sentito che finalmente qualcosa stava cambiando?

Le tante avventurose vicende che racconto nel libro mi hanno infine portata a un salutare cammino di approfondimento e conoscenza di me stessa, grazie anche all’aiuto di un terapeuta credente, aperto al messaggio di Cristo. Questo è stato fondamentale, perché la mia depressione era anche alimentata da un errato modo di pensare, una sorta di distorsione della mente, che si era strutturata, con mio danno, a causa delle esperienze passate. Per questa discesa purificante nei miei “inferi”, è stato cruciale l’influsso di un sapere psicologico spirituale. Sono riuscita a cambiare la percezione che avevo di me stessa in relazione agli altri e alla vita stessa. Certo questo grande cambiamento è stato possibile grazie alla conversione del cuore, al ritornare a Dio con tutto il mio essere, e attraverso questo ritorno approfondire la conoscenza del senso stesso della vita. Come ha detto san Giovanni Paolo II, Gesù è l’unico che svela pienamente l’uomo all’uomo.

Nel libro ad un certo punto un tuo amico ti regala il libro dei salmi e dentro c’è un biglietto con scritto: “Chissà potresti valutare la possibilità di fare pace con Dio”

Il tragico distacco da mio padre e da mio fratello (per me quasi un secondo padre) aveva causato il mio abbandono di Dio. RitrovarLo mi ha permesso di riconciliarmi con loro: i miei amatissimi cari, perduti, odiati e finalmente ritrovati e amati di nuovo. Ho scoperto la forza del perdono che riconcilia e sana le ferite, nella grazia di Dio.



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Racconti anche di aver scelto la castità. Come la vivi oggi?

Per tanti anni ho perseguito la ricerca dei “piaceri mondani” della vita, nel tentativo disperato di compensare quel vuoto sofferente che mi portavo dentro. Il piacere sessuale, poi, è una forma immediata e apparentemente semplice di appagamento. Illusorio, però, quando è fine a se stesso: ciò che rimane è la tristezza mascherata dall’ “allegria del peccato”– come l’ha chiamata Papa Francesco; un’allegria che nasce dal comprarti la gioia attraverso relazioni fasulle che, poi, ti lasciano un grande vuoto. La scelta della castità mi ha permesso di sottrarmi alla vita disordinata che facevo, una vita dispersiva e distruttiva sul piano profondo dell’affettività. Di recente, tra l’altro, ho moderato un incontro con due studiosi americani sulle dipendenze sessuali, che oggi dilagano anche in Italia, con l’inquietante diffusione della pornografia, a causa soprattutto di internet che rigurgita di siti osceni, per giunta gratuiti. Mi ha colpito scoprire come a livello della biochimica cerebrale il piacere sessuale “si comporta” diversamente nel rapporto finalizzato al solo ottenimento del godimento, e in quello d’amore. Nel primo caso la dopamina “sale” e porta all’orgasmo; ma, raggiunto il picco, c’è un crollo verticale che lascia frustrazione, senso di vacuità e spinge la persona a ripetere l’esperienza, portando, quindi, alla dipendenza. Invece, nella relazione affettiva questo crollo verticale non c’è perché entra in gioco l’ossitocina, che fa diminuire il piacere gradualmente e lascia un senso di pienezza. Questo è bellissimo perché dice la verità della nostra spiritualità incarnata. Quando l’atto sessuale è un tramite per manifestare l’amore per l’altro, ecco che il nostro stesso organismo reagisce diversamente.

Come è stato il passaggio dai farmacia alla guarigione?

Quando ho incontrato uno psichiatra che si è persuaso che nel mio caso i farmaci erano soprattutto dannosi, ho cominciato gradualmente a sospenderli. Non è stato facile, perché avevo sviluppato una dipendenza, anche psicologica. Comunque sia, le statistiche dicono che l’efficacia dei farmaci per la depressione non è molto alta: le ricadute sono sempre dietro l’angolo. I migliori risultati si ottengono con l’aiuto della psicoterapia. E, ne sono convinta, riaccendendo una sincera e appassionata relazione con Colui che ci ha creati, che ci sostiene e inonda con il Suo amore e rende giustizia al vero significato della nostra vita.



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Nel libro racconti molti episodi in cui hai sentito la presenza del demonio, ci vuoi dire qualcosa a riguardo?

Nelle mie crisi depressive ho percepito la presenza del Male, quel Maligno che è entrato nella mia vita e mi ha divisa interiormente. In questo senso, l’incontro con Gesù mi ha guarita, mi ha salvata, offrendomi quella salvezza che è già possibile su questa terra. Scoprendo la grandezza dell’amore di Dio, il mio cuore è stato scosso dal peso dei peccati e poi ricolmato da quella gioia che nasce dall’incontro con il Signore. Ho compreso il significato di quella tristezza che il catechismo definisce un’afflizione dello spirito e una contrizione del cuore salutari. Per questo sono grata alla Chiesa, luogo della Parola e dei Sacramenti, sospirato, dolce porto dopo la mia lunga, travagliatissima navigazione nella tempesta.

C’è un messaggio che vuoi condividere con chi sta combattendo la battaglia che tu hai vinto?

Quando avevo 20 anni e mi consideravo un agnostica, pensavo che l’unico modo per affrontare l’abisso della depressione fossero gli psicofarmaci. Poi ho scoperto che siamo molto di più di un cervello fatto di sinapsi e meccanismi che s’inceppano. Noi siamo un corpo e un’anima spirituale: un’anima che oggi stenta, schiacciata e rattrappita dalle logiche di una vita vissuta solo nella dimensione orizzontale. Un’anima, che quando riprende a respirare in Cristo ritrova la relazione con la vita autentica! Ritorna a vivere nel rapporto col nostro Dio misericordioso, sempre pronto ad afferrare la nostra mano per tirarci fuori dagli abissi, anche quelli piccoli, quotidiani; a patto che questa mano, noi, gliela tendiamo. A chi soffre di depressione, mi sento di dire di affidarsi e fidarsi di Dio, di non vivere questa sofferenza come un tormento che allontana da Lui, ma di accettarla come un limite, una ferita dentro la quale può agire il Suo amore. Certi che dopo il buio della notte ritorna sempre il sole.

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