Consumata la cena, la famiglia Forgione sedeva a semicerchio intorno al focolare, nelle lunghe serate d’inverno. Mamma Peppa frugava nella tasca del grembiule, e tiratane la lunga corona, intonava lentamente il Rosario. I bambini e Grazio rispondevano in coro alla preghiera mariana finché gli occhi dei più piccoli non incominciavano ad appannarsi e le testoline a dondolare come campanule mosse dal vento.
L’unico a non farsi vincere dal sonno era Francesco (Padre Pio). I misteri del Rosario, che la mamma narrava come tanti capitoli di una lunga, incantevole fiaba, lo affascinavano, lo avvincevano sempre di più. Fissava il ceppo che bruciava nel camino e, al ritmo dell’Ave, avvertiva che nel suo piccolo cuore iniziava ad ardere qualcosa: un sentimento dolcissimo che ben presto divampò, diventando amore.
Nato tra le pareti domestiche in cui si respirava un’aura densa di tradizioni religiose e di pratiche di pietà, quest’amore ebbe subito le sue esigenze e spinse il piccolo Francesco a cercare, oltre quelle pareti, la celeste Creatura amata. E il futuro Padre Pio la trovò nella chiesa parrocchiale, bellissima nel suo morbido panneggio, regale nell’armoniosa, ondulata plasticità dell’atteggiamento, soave nello sguardo materno, tenera nel delicato sorriso: la Madonna della Libera.
Rimase immobile, estatico, preso. Poi, un muto dialogo, fatto di palpiti e di sorrisi. Quindi un reciproco scambio di doni e di promesse. Alla Vergine delle vergini, alla Regina delle Vergini, Francesco offrì la sua verginità e tutto se stesso. L’offerta fu gradita e la Madonna della Libera gratificò il piccolo con frequenti apparizioni, che egli terrà celate fino al 1951 quando, interrogato dal suo Confessore, Padre Agostino da San Marco in Lamis, svelerà di non averle mai manifestate perché le credeva cose ordinarie (cf. Diario, p. 44).
Gli incontri divennero più frequenti. Dei veri e propri appuntamenti. Francesco, di ritorno da Piana Romana, si fermava a cogliere sul ciglio della strada i fiori campestri più belli e profumati. Ne faceva mazzettini variopinti e li portava a Lei che gli aveva ormai rapito il cuore. Dopo aver svolto con cura ed esattezza i compiti di chierichetto, chiedeva all’Arciprete notizie sulla «celeste Mammina» che, dall’altare, lo seguiva con lo sguardo, compiaciuta. E seppe così la storia di quella cara immagine.
A Pietrelcina i fedeli, eleggendola Patrona del paese, l’avevano chiamata «La Libera». Ma in effetti, altro non era che la Madonna delle Grazie, protettrice di tutto il Sannio, e che un giorno l’aspetterà a San Giovanni Rotondo. Il titolo di «liberatrice» le era stato dato dal popolo sannita nel VII secolo e precisamente nell’anno 663 allorché il ducato longobardo di Benevento, per intercessione della Vergine, venne liberato dall’assedio e dal furore dell’Imperatore bizantino Costante II.
Successivamente il santo Vescovo Barbato e san Pier Celestino diffusero il culto e la devozione alla Madonna della Libera che più volte «liberò» i sanniti dagli invasori e da molte calamità. Pietrelcina, infatti, ottenne la liberazione dalla tremenda epidemia di colera che, nel 1854, mieteva «diecine di vittime al giorno».
«In paese – si racconta tuttora – non c’erano più uomini». «Mentre camminavano in mezzo alle strade, cadevano a terra e morivano». Il popolo, agonizzante e sfiduciato, con tanta fede ricorse a Maria. Il 3 dicembre di quell’anno le donne, pregando e piangendo, portarono in processione la venerata statua della “Libera” per le vie del paese, affinché fugasse la morte. E da quel giorno la morte si fermò.
Francesco seppe pure la leggenda che aureolava di mistero la “sua” Madonnina: «Lo scultore, nonostante l’aiuto e la collaborazione di altri artisti, non riusciva a terminare quella statua perché la testa non riusciva mai. Il gruppetto abbandonò temporaneamente l’impresa per ritrovare nuove energie e nuove ispirazioni. Quando ritornò al lavoro trovò la testa della Madonna già modellata».
Il piccolo Forgione rimase fortemente colpito ed emozionato da questo racconto. La Madonna della Libera l’attirava sempre di più. La sua devozione ed il suo amore cresceva delicatamente. Davanti a Lei il suo viso si trasfigurava, in un’estasi di paradiso.
Riuscì spesso a “corrompere” il sacrestano per rimanere in chiesa anche dopo la chiusura. Durante le feste patronali seguiva la processione ed il cuore gli sussultava ogni volta che i suoi compaesani “appuntavano” sull’aureo drappeggio della statua della Libera, la loro generosa offerta.
Cantava devote canzoncine reggendo trepidante un cero acceso ed invitava i coetanei ad unirsi alla processione.
Nel periodo prenatalizio era contento se gli zampognari si fermavano, per una dolce nenia, davanti alla «porta di casa» della Madre sua.
Il pensiero era sempre a Lei rivolto. A scuola non mancavano i riferimenti alla Madonna della Libera e alla sua festa. Scriveva infatti, nello svolgimento di alcuni temi: «La prima domenica di agosto, come sempre, si solennizzò la festa di Maria Santissima della Libera, con la solita pompa. Suonarono il concerto cittadino e quello dell’ottantanovesimo reggimento. Ci fu una splendida illuminazione lungo tutto il corso Umberto I, e la sera della festa si spararono dei fuochi artificiali […]. In chiesa fu eseguita una Messa orchestrale, fu recitato un magnifico panegirico, da un giovane sacerdote di Paduli, il quale piacque sommamente» (Compiti Scolastici, n. 63).
«La chiesa per la festa del tre dicembre era vagamente addobbata di serici drappi, gallonati d’oro e trinati d’argento, tra i quali ondeggiavano, nel vano degli archi, finissimi veli bellamente intrecciati insieme, con bene intesa armonia e varietà di colori e con leggiadra bizzarria di svolazzi, di ricascate, di nascondimenti e di riuscite. L’altare maggiore era olezzante di profumi, inghirlandato da fiori e fiammeggiante di ceri» (ivi, n. 94).
Alla Vergine della Libera raccontava i suoi segreti, i suoi desideri, le sue speranze. A Lei ricorreva in ogni necessità. In una lettera al papà, emigrato in America, il 5 ottobre 1901 scrisse: «Anche noi, grazie al Signore, stiamo bene, ed io, in ispecial modo, rivolgo continue preghiere alla nostra bella Vergine, affinché vi protegga da ogni male e vi restituisca sano e salvo al nostro affetto».
Quando partì da Pietrelcina per il Noviziato di Morcone, due cose portò con sé e mai si separò da esse: una corona del Rosario regalatagli dalla mamma e un’immagine della Madonna della Libera.
Nel 1910, ordinato sacerdote, celebrò la prima Messa all’altare della «sua» Madonnella. Gli occhi di entrambi s’incontrarono e, nel silenzio, si scambiarono significativi sguardi d’intesa. Ognuno dei due aveva mantenuto la sua promessa. A quell’altare Maria gli fece gustare paradisiache dolcezze la cui eccezionale descrizione, dai toni delicati e vibranti, impreziosisce molte pagine dell’Epistolario al quale rimandiamo il lettore.
Passarono gli anni. Dalla cella del Convento di San Giovanni Rotondo più volte Padre Pio, nell’arco della sua vita, corse con la mente e con il cuore a Pietrelcina, ai piedi della Madonna della Libera. Sulla sua scrivania troneggiava il quadro con l’amata effige.
«Durante la sua malattia – ricorda Padre Mariano da Santa Croce di Magliano – quando la sera si alzava, e spesso durante la notte, e noi lasciavamo nella penombra la sua stanza e coprivamo il lume, allora era contento quando la luce rifletteva sulla immagine della Madonna della Libera. E poi continuava la sua preghiera fino al mattino alle cinque, quando celebrava la Santa Messa».
Su quell’immagine santa, Padre Pio, posò l’ultimo suo sguardo, la notte del 23 settembre 1968. Le sue labbra continuarono a ripetere, con il nome di Gesù, il nome dolcissimo di Maria fino a quando il suo cuore, bruciato d’amore, cessò di battere per Lei.
Gennaro Preziuso,
Voce di Padre Pio
FONTE ORIGINALE: www.settimanaleppio.it