Se davvero vi interessa che i vostri figli vi rendano partecipi delle loro avventure mattutine, non chiedete loro nulla…Ciao Marty! Ciao Isa! Ciao Marghe! Ciao Ludo!
Sbang, clack, boom. Bagagliaio, sedile della seconda fila ripiegato per far accedere alla terza, portiera.
Parole, rumori e gesti che si rincorrono e si ripetono ogni giorno, intorno alle 13.10. Nel parcheggio della scuola elementare prima e in quello di un condominio nel quale mi apposto, ma solo per 30 secondi e col motore acceso pronta a ripartire, per raccogliere le due figlie più grandi, che frequentano le medie e scendono a piedi per ben 400 metri lungo la strada che le porta ad incrociare la mia, di ritorno dal ritiro degli altri due fratelli.
Arrivo sempre e comunque col cuore in gola. Le ho incoraggiate io a fare quel tratto di percorso a piedi, investendo sullo sperato ed in effetti ottenuto ritorno in autonomia e autostima. Eppure non riesco a stare del tutto tranquilla. Cosa potrà mai succedere nei 4 minuti in cui sono lì, senza la mia sorveglianza o quella di altri adulti responsabili?
Vi risparmio le scene che si accampano nella mia mente. Sarei un’ottima sceneggiatrice di film per il genere misto fantasy-romantico-horror-distopico-storico-di formazione.
Fatto sta che, con un lieve sospiro di sollievo, ogni giorno riesco a caricare tutti i miei figli, usciti da scuola. Li guardo, li conto e sono proprio felice di averli con me in auto. Sì, più che un auto è un mini pullman: 9 posti divisi per 3 file. Infatti abbiamo usato spesso questa felice circostanza per dare avvio al ripasso della tabellina del 3.
“Mamma, basta!!”
Tra me e me penso: come possono ricordarsi nomi, soprannomi, età, cambio di acconciature, nomi dei fidanzati delle attrici delle loro sitcom preferite e non riuscire a incasellare nei loro bei testolini una sequenza di moltiplicazioni col loro bravo risultato?
Mistero.
Altro mistero che, fino a poco tempo fa, si manteneva fitto, riguarda un argomento al limite del banale, quello che tra adulti liquideremmo come domanda di cortesia o piccolo riscaldamento per dare inizio ad una conversazione più succosa: “com’è andata stamattina?” oppure, nella sua seconda variante: “cosa hai fatto oggi?”
Ora, ditemi voi se la risposta che avete ottenuto più spesso non è “niente”. Oppure la seconda formula forse un filo più irritante: “boh”. O anche “non mi ricordo”.
Ho cambiato tono, ho atteso di essere a casa e senza più zaini sulle spalle (le loro) e borse, cartacce, sacchetti, grembiuli, scarpe di scorta, lavoretti di 50×70 cm nella mani, sotto il mento, sotto l’ascella (io); ho cominciato offrendo loro una carota o un grissino nella fase di approccio. Niente. Occhi al cielo, bofonchiamenti, mezze frasi.
La più grandina ci aggiunge anche quel pizzico di pepe tipico dell’età adolescenziale.
Eppure la soluzione era lì, vicinissima a me. Ce l’avevo addosso e non la trovavo. Come quando cerchi per tutta casa gli occhiali che porti sulla testa.
“Cosa hai fatto tu, mamma, mentre noi eravamo a scuola”?
Accidenti, è vero! A loro interessa, anche a loro, sì!, interessa sapere cosa faccio mentre non mi vedono.
E nemmeno a me, come a loro, piace, in effetti, dover produrre un elenco barboso di attività in sequenza cronologica e concitata cercando di non saltare nulla.
Invece amo, mi appassiona, gratifica me e anche loro raccontare curiosità e piccole scoperte. Cose buffe o qualche piccola arrabbiatura. I contrattempi e le sorprese. Raccontare gli incontri. Aggiungere cosa stavo pensando mentre andavo al supermercato. Dire loro che le uova sì le ho prese, come Margherita aveva segnato sulla lista, ma 10 e non 6 il solito perché è un po’ che non facciamo i biscotti assieme.
“E il burro mamma?”
Burro ne abbiamo, tranquilla.
E spiegare che finalmente ho ritrovato quella maglia blu che cercavo e per la quale avevo stressato tutti i membri della famiglia, insinuando sospetti a destra e a manca su possibili sottrattori…
Mi sono accorta che se faccio così, se rimetto in scena, se racconto prima di me, se recupero dettagli interessanti, se condisco con le emozioni, i momenti divertenti, le idee che una data esperienza anche banale mi ha sollecitato, se faccio vedere l’intreccio che continuo a tessere anche mentre loro non mi vedono ma nel quale sono sempre impigliate, allora, occhi e interesse si accendono. Non è un trucco. Non è uno stratagemma per “fregare” le mie figlie e costringerle a fare la loro deposizione.
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La domanda per spegnere qualsiasi capriccio di vostro figlio
Le tratto da uguali. Cioè un attimo. Io sono la mamma e voi le bambine -ok, tu sei una ragazzina, lo so che non sei più una bambina e sì, mi ricordo anche che le carezze non ti piacciono (bugiarda! Lo vedo che sorridi sotto i baffi, ma fa parte del tuo gioco, ora, sbuffare e allontanarti. Salvo poi inventarti scuse come: mamma tocca i capelli, senti come sono morbidi? E la pelle? Vero che la mia è molto liscia?) però ci apparteniamo. La separazione delle ore che ci reclamano ognuno al proprio dovere nel mondo vogliamo riempirla di vita. Vogliamo che anche solo in differita ci sia chiaro che siamo sempre legati.
Alle mie figlie interessa sapere cosa faccio, come sto, cosa penso. Ma non amano essere costrette ad esporre le cronache delle loro mattinate che lì per lì sono solo felici essersi concluse.
Se mi espongo io per prima, invece, senza doverlo chiedere, iniziano a raccontare pure loro. E, anzi, il problema che subito si crea è una sorta di intasamento al centralino. Un accavallarsi di domande, emozioni, virgolettati del compagno che le ha detto “ciao come ti chiami” fingendo di non conoscerla, o la maestra nuova che, sì, mamma, è brava, non dico di no, però è troooooooppo severa.
Ecco, volevo rendere partecipi anche voi di questa bellissima scoperta (dell’acqua calda).
Vi interessa sapere cosa ha fatto vostro figlio a scuola?
Non chiedeteglielo.
Raccontategli la vostra, di giornata. Tutto qua.