La salute mentale di giovani e giovanissimi è seriamente provata. Presto, facciamo qualcosa! E se la soluzione fosse invece smettere di fare?
«Un articolo di Simonia Chiose, pubblicato l’otto settembre 2016 sul The Globe and Mail, snocciola alcuni dei dettagli più scioccanti. Dei 44.000 studenti che hanno completato il questionario “National College Health Assessment” nel 2016, “l’8% in meno, rispetto al 2013, crede di godere di uno stato di salute molto buono o eccellente” e “la percentuale di studenti che affermano di aver seriamente preso in considerazione il suicidio, nell’anno precedente, è del 13%, con un aumento del 3,5% dal 2013”.
Quello che non viene menzionato in nessuno degli articoli e degli studi citati è il motivo che soggiace all’aumento allarmante di problemi mentali nei giovani di oggi. Suggerisco che la causa potrebbe essere l’epidemia del cosiddetto “helicopter parenting” (genitorialità elicottero, espressione usata per indicare quei genitori eccessivamente vicini ai loro figli, che li aiutano a superare tutti gli ostacoli che incontrano, soprattutto in ambito scolastico).»
Così almeno secondo l’Huffington post, in un articolo di novembre 2017.
Questi dati più che una fotografia sono una presa diretta e concitata di uno scenario di guerra: un fenomeno serio e in fase di aggravamento. Questo vale per lo meno per il Nord America.
Sulle nostre pagine avevamo già proposto un articolo che lanciava l’allarme con studi documentati, per la pars denstruens, e numerosi sapienti consigli e principi per avviare la soluzione, per la pars construens. Anche se non se ne uscirà tanto in fretta: lo tsunami che ha investito una generazione di giovani lascerà diverse rovine al suo ritirasi.
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La definizione di genitori elicottero è strana, forse non riuscitissima (opinione personale): introdotta per esprimere il concetto di presenza ravvicinata al figlio e supervisione dall’alto per avere la possibilità di intervenire. (Qualche tempo fa si usava anche la perifrasi “genitori spazzaneve”). A me è venuto in mente anche lo scompiglio e il fracasso che genera un elicottero a volo radente.
Il grave danno causato da questo tipo di esercizio della maternità e della paternità consiste nel togliere ai figli le frustrazioni; no, diciamo meglio, nell’impedire loro che ci si misurino. La nostra ansia di riuscita e di evitamento del dolore si trasforma nella più tragica della torture silenti, fatte di non dolori.
Il figlio che non ha modo di misurarsi con la realtà e quindi con se stesso e la propria forza nel reggere realtà e sfid(ghe)e connesse si ritrova con i muscoli atrofizzati. Spesso in modo irrimediabile.
Come succede per il corpo e il suo sviluppo, così avviene anche in un certo modo per la psiche. Se alcune capacità non si esercitano in tempo, poi non ci sarà più tempo. Se certi muscoli non si attivano, se il peso non carica sui piedi ad esempio, le anche ne soffrono. Se l’occhio non inizia a vedere oggetti in movimento nelle primissime settimane ma a causa di patologie congenite ad esempio è oscurato, anche se l’ostacolo viene rimosso il tempo perduto e lo sviluppo che doveva accompagnarlo sono perduti. Se non c’è sviluppo sano non c’è assenza di sviluppo ma patologia.
Per questo gli studi parlano di conseguenze gravissime per la salute dei nostri giovani e per il loro futuro da adulti.
La cosa notevole segnalata dagli studi citati è che questo approccio sta tracimando oltre i genitori in altre agenzie educative: sull’Huffington citano il caso di un padre single cui è stato impedito di mandare il figlio a scuola coi mezzi pubblici senza la supervisione (elicottero) di un adulto.
E da noi ricordiamo la grande risonanza avuto dalla proposta di legge sull’obbligo di ritiro a scuola da parte dei genitori dei ragazzi delle medie.
Ma oltre a togliere loro frustrazioni, ne infliggiamo anche perché tutti questi accorgimenti altro non sono che questo ritornello: “non sei capace/non reggeresti/ci penso io”. Finiranno per crederci.
Forse questo, come altri macrofenomeni, tradisce un grave e diffuso analfabetismo antropologico: chi è l’uomo? Come cresce? Cosa diventa? Come si favorisce un suo sviluppo integrale e armonioso? E così resta l’idea del figlio-possesso da tutelare, sottrarre al dolore, aiutare, far “riuscire”.
“I bambini devono imparare a ragionare con la propria testa, risolvere i problemi da soli, gestire lo stress e superare le avversità. Le competenze, le abitudini e l’atteggiamento che apprendono durante l’infanzia dovrebbero prepararli ad una vita adulta sana e realizzata.
Sfortunatamente, quando i genitori sono così ansiosi da fare troppo per i figli, anche dopo che questi hanno superato i vent’anni, i ragazzi non sviluppano mai la forza necessaria a fare i conti con la vita di tutti i giorni.
Da tutto quello che ho osservato, mi sembra chiaro che la causa dell’attuale crisi di salute mentale sia questo tipo di genitorialità, animata dalle migliori intenzioni ma deleteria, che rende i nostri ragazzi incapaci di affrontare gli anni dell’istruzione post-secondaria e l’ambiente lavorativo”. (Huffington Post, 26-11-2017)
Un altro schema forse preso in prestito dal dogma efficientistico che tutto pervade e che ci rende involontariamente dannosi e che invece dovremmo abbandonare è quello che nasce da questa preoccupazione: “cosa posso fare di più?”
In questo caso la risposta è nel capire l‘errore della domanda. Nel fatto che non dovremmo più farcela. Non sempre occorre fare né se le cose vanno male significa che occorra fare di più o fare altro. Spesso occorre astenersi proprio dall’azione.
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Dove questo non accade? Ci sono ampie zone dove questo errore rimane come malanno di stagione, circoscritto e con una carica virale ridotta? Forse conviene non solo denunciare questi fenomeni ma farsi anche questi interrogativi.
E , come nei casi di gravi epidemie, converrà attuare misure di emergenza per salvare vite in pericolo e nel frattempo organizzare sistemi di prevenzione per evitare che in futuro ci si possa trovare di nuovo in questa situazione.