L’arcivescovo di Boston e capo della Commissione pontificia che si occupa di lotta alla pedofilia non è d’accordo con Papa Francesco circa la nomina di Barros, ma c’è di piùLa risposta di Papa Francesco ai giornalisti cileni circa la posizione del vescovo di Osorno, monsignor Juan Barros (“Il giorno che mi portano prove contro il vescovo Barros, parlerò. Non c’è una sola evidenza contro di lui. Questa è calunnia. Chiaro?“), è una difesa appassionata del pontefice verso il sacerdote accusato – dai media cileni e da alcune vittime – di aver coperto i preti pedofili e in particolare l’abusatore seriale padre Fernando Karadima. Questa posizione netta del Pontefice non è stata compresa da tutti allo stesso modo, a cominciare dalle vittime, ma anche da un cardinale come Sean Patrick O’Malley che di Francesco è di fatto il braccio destro in materia di lotta alla pedofilia (presiede la Commissione internazionale ed è membro del C9) che in una nota ha detto: “E’ comprensibile che le parole di Papa Francesco siano state fonte di grande dispiacere per le vittime di abusi sessuali da parte del clero”.
“Non essendo stato personalmente coinvolto nel situazioni che sono state oggetto dell’intervista del Papa, non posso spiegare – precisa O’Malley – perchè il Santo Padre abbia scelto le parole che ha usato nella sua risposta. Ma quello che so davvero è che Papa Francesco riconosce pienamente gli enormi fallimenti della Chiesa e del suo clero che hanno abusato di bambini, e l’impatto devastante che questi crimini hanno avuto sulle vittime che ama particolarmente”.
In merito O’Malley ricorda le parole pronunciate da Francesco a Santiago del Cile: “non posso fare a meno di manifestare il dolore e la vergogna che provo per il danno irreparabile fatto ai bambini dai ministri della Chiesa”, e conclude il suo comunicato con questa frase: “Le mie preghiere e la mia preoccupazione saranno sempre con le vittime e i loro parenti. Non possiamo mai sottovalutare la sofferenza di ciò che hanno sofferto o curare completamente il loro dolore” (Repubblica, 21 gennaio).
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Una presa di posizione importante quindi proprio per l’autorevolezza della fonte e – ancor di più – perché viene da uno stretto collaboratore del Papa, quindi non da un “dubbioso” monsignore preconcettualmente ostile a Bergoglio, ma anche niente affatto un attacco al Papa come qualche giornale ha voluto forzare nei titoli che infatti ribardisce “che Papa Francesco riconosce pienamente gli enormi fallimenti della Chiesa e del suo clero che hanno abusato di bambini“. Probabilmente quello che più ha scosso il Cardinale O’Malley è la questione della credibilità delle vittime, una preoccupazione che si evince in questo ulteriore passaggio del suo comunicato:
«Le parole che trasmettono il messaggio “se non riesci a dimostrare le tue affermazioni, allora non sarai creduto” abbandonano coloro che hanno subìto violazioni criminali della loro dignità umana e relegano i sopravvissuti all’esilio e al discredito »
Tuttavia siamo di fronte alla difficoltà di contemperare la protezione delle vittime, la prevenzione degli abusi e quello che si potrebbe definire il “garantismo” dell’onere della prova. Che succede se si accusa una persona innocente? E’ più o meno questo che il sociologo Massimo Introvigne si chiede in un editoriale su Il Mattino di Napoli (21 gennaio). Introvigne conosce bene anche la piaga – avendola studiata – degli studi legali americani a caccia di cause da intentare contro le diocesi americane. C’è – semplificando – una nota di puritanesimo che coinvolge il modo di pensare e di reagire agli scandali da parte degli americani al di là della fede professata. Inoltre il tema delle cause milionarie contro le diocesi cattoliche è un nervo scoperto per i vescovi che ora tendono a dare ragione subito agli studi legali nel timore che una causa possa comportare ancora più risarcimenti. Ragione che non può essere un automatismo. Da qui la reazione di O’Malley secondo il sociologo delle religioni.
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C’è poi la posizione – ancora diversa per alcuni versi – di cardinali come il messicano Alberto Suárez Inda, arcivescovo emerito di Morelia, intervistato dal vaticanista Mediaset Fabio Marchese Ragona, nel suo libro “Tutti gli uomini di Francesco” (San Paolo edizioni) che dice:
In questo momento la Chiesa si sta concentrando nel dare una formazione ferrea e un maggiore equilibrio affettivo che garantisca, nel limite delle aspettative, che i futuri sacerdoti vivano con fedeltà la propria vocazione, impegnandosi pienamente «per amore, con amore, nell’amore », come afferma un illustre esperto, padre Amedeo Cencini. A tutta la Chiesa, i casi di abuso su minori creano un dolore e per questo è stato previsto un protocollo e una legislazione molto severa (TgCom24, 22 gennaio).
E che invita alla discrezione in quanto la questione “Non dovrebbe esser resa pubblica. Gli abusi sui minori sono questioni delicate…“.
Tutti riconoscono – dentro e fuori il mondo cattolico – che ormai la Chiesa si è dotata di strumenti molto stringenti contro la pedofilia, dalla Commissione voluta dallo stesso Francesco alle revisioni di Benedetto XVI del Codice di Diritto Canonico, fino alle recenti linee guida delle varie conferenze episcopali nazionali, eppure gli approcci – frutto anche di diverse sensibilità culturali – restano variabili da nazione a nazione, ma la vera questione è che questa è una ferita ancora aperta che ha minato la credibilità della figura del prete e l’autorevolezza della Chiesa cattolica nel mondo, e certamente questa fiducia non si riguadagnerà in un giorno…