Vediamo, con l’aiuto di uno specialista, se è veramente possibile prevenire abusi sessuali o altri comportamenti deviati nel clero
Ci sono dei segnali particolari che possono far pensare ad un disturbo della personalità di un seminarista o di un sacerdote?
Vederlo iperattivo, con eccessive manie di protagonismo, oppure molto ansioso e smanioso è indicativo di uno stato su cui intervenire clinicamente?
La risposta è negativa. Poiché, sopratutto in questi casi, è molto difficile identificare, attraverso il solo comportamento esterno, i sintomi di un disturbo della personalità. Dire che quel prete è come un potenziale pedofilo o come un narciso è quindi fuorviante.
Lo psicologo e psicoterapeuta Aureliano Pacciolla ha insegnato psicologia generale e psicologia della personalità all’Università LUMSA di Roma. Attualmente è docente in varie scuole di psicoterapia e master post-universitari ed è autore di quindici saggi scientifici. Nella sua carriera di psicologo ha incrociato numerosi casi di sacerdoti e seminaristi affetti da problemi di personalità.
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Come sviluppare una corretta prevenzione
Secondo Pacciolla il terreno su cui lavorare per capire se una persona è idonea a svolgere il ruolo di prete o seminarista (e quindi se non presenta disturbi della personalità – che potrebbero scatenare un abuso sessuale, un comportamento narcisistico, delirante, ecc…), è solo quella di una corretta prevenzione.
Una prevenzione capillare, utile a scongiurare il marasma di informazioni e veleni che inonda i media ogni qual volta si verifica uno scandalo con protagonista un esponente del clero.
Ma questa strada è oggi in salita. Eppure, seguire un protocollo ben definito e uniforme tra seminari, ordini, congregazioni, diocesi, affievolirebbe di molto i rischi di ritrovarsi sacerdoti o seminaristi “inadatti”.
Vediamo allora come strutturare un percorso di prevenzione efficace, che, secondo Pacciolla, si può muovere in due direzioni.
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Il primo screening
Un seminarista dovrebbe sottoporsi a uno screening psicologico prima di entrare oppure appena entrato in seminario. Si tratta di una serie di colloqui con uno psicoterapeuta per stabilire il profilo psicologico della persona, e stabilire, così, lo stile di personalità.
Durante il corso di studi in seminario, a distanza di 1 o 2 anni, bisognerebbe ripetere lo screening, se necessario. E’ in questo modo che si effettua un primo serio monitoraggio sul soggetto.
Allo stesso modo si può effettuare uno screening anche se si è già stati ordinati sacerdoti e ripeterlo a seconda di quello che segnala il terapeuta.
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Il “Best Friend”
L’altro modo per monitorare – in continuità col primo – un seminarista o un sacerdote – è quello di proporre una metodologia che prevede il “Best Friend” (BF) (“Migliore Amico”).
Il Best Friend, spiega Pacciolla, deve avere tre caratteristiche: essere scelto dal seminarista o dal prete in questione; essere di sua fiducia; deve conoscere bene il soggetto.
Coloro che accettano questa metodologia compileranno un questionario PID-5 (Personality Inventary DSM5), per evidenziare l’autopercezione (come uno percepisce se stesso e la sua personalità).
Lo stesso questionario, però formulato in terza persona, viene proposto al BF (può esserci anche più d un BF), allo scopo di evidenziare come viene percepito quel soggetto da una persona esterna, cioè il BF.
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Il “contratto terapeutico”
Un’altra prerogativa di questo monitoraggio, è che l’interessato dichiari se è d’accordo o no di confrontarsi con il suo BF e poi con il terapeuta, sulle eventuali convergenze o divergenze riguardo i punti critici emersi (questo fa parte del contratto terapeutico).
Ovviamente il soggetto è libero, anche durante l’iter, di ritirare il suo consenso. La durata del monitoraggio può variare a seconda degli elementi critici emersi.
La collaborazione del soggetto col suo BF è una procedura che va affiancata ai colloqui clinici. Oltre che ad una serie di accorgimenti, cioè altri test, esercizi, analisi del soggetto qualora emergano elementi di criticità.
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I limiti oggi
Oggi cosa avviene nei seminari, ordini, congregazioni? Di solito c’è un documento, che si chiama “ratio institutionis”, nel quale si esplicitano i criteri della formazione del seminarista/futuro sacerdote: tra questi c’è il ricorso ad esperti di psicologia (in alcuni istituti è previsto nella “ratio“, in altri è facoltativo, cioè solo se il rettore/superiore ne intravede la necessità).
Anche laddove il ricorso a esperti è previsto (cioè l’ingresso è subordinato anche al colloquio con lo psicologo), non è poi consequenziale il monitoraggio colloquio-BF-altri test/analisi.
Perché? Il motivo è perché alcuni psicoterapeuti ritengono che il BF sia un’interferenza con il segreto professionale, poiché interviene una terza persona tra il terapeuta e il soggetto, ovvero il BF.
A questa obiezione, Pacciolla replica in tre modi: 1) la metodologia viene esposta anticipatamente al soggetto e lui dà il consenso. Inoltre può ritirare il consenso in qualunque momento; 2) il BF lo sceglie il soggetto stesso, non è di certo imposto dalla psicoterapeuta; 3) questa metodologia e questi strumenti sono previsti dal manuale di psicologia DSM-5.
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Il saper camuffare
Una prevenzione efficace, invece, nasce proprio dal confronto tra queste “verifiche”, che possono realmente far emergere i tratti critici del soggetto. Ci sono disturbi che più di altri sono ben camuffati (come per esempio le parafilie, tra cui la pedofilia) e i disturbi sessuali: senza un monitoraggio globale del soggetto c’è il rischio di non individuarlo.
Pertanto, per Pacciolla, questa metodologia di prevenzione va estesa come prassi a tutti i seminaristi/sacerdoti se si vuol dare una svolta vera e totale alla selezione e alla formazione degli esponenti del clero. E fare in modo che ci siano sempre meno protagonisti di tristi episodi di cronaca nera.