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Il monaco che porta Gesù nelle aziende

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Credere - pubblicato il 23/02/18
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Camaldolese dell’eremo di Monte Giove, propone corsi di spiritual coaching: «Il mio obiettivo non è convertire, ma la gente cerca un senso e io cerco di offrirlo nel luogo dove trascorre gran parte del tempo: al lavoro» di Rossana Campisi 

Gesù entra in azienda. A volte ci resta, accompagnando qualche manager verso fatturati e promozioni. Altre volte è solo di passaggio: i tempi per le assunzioni non sono dei migliori, certo. Ma la crisi economica questa volta non c’entra nulla. Ce lo assicura Natale Brescianini, padre camaldolese, classe 1971, l’unico monaco d’Italia che fa corsi di formazione aziendale in nome dello spiritual coaching, un originale mix di tradizione cristiana e principi del metodo creato negli anni Novanta.

I “clienti” di padre Brescianini sono società di formazione che lo chiamano per corsi di una giornata intera rivolti a piccoli gruppi di dipendenti o dirigenti o solo per sessioni individuali: entra in aula e ha ben chiaro il programma di base, ovvero un tesoro di sapienza cristiana che spesso nemmeno i cattolici conoscono. «Se ogni uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio, io devo solo aiutare la gente a tirare fuori questa immagine, ovvero tutto il bello che hanno», dice. «Faccio insomma un po’ come suggeriva Socrate con l’arte della maieutica». Il suo compito, aggiunge, è «dare una dimensione di senso». Creare un link, ovvero tutte le connessioni giuste tra le cose della vita di ognuno.

UNA PASSIONE PER LE AZIENDE
Come padre Brescianini, e con lui Gesù, sia finito in azienda è però un’altra storia. Bellissima. Una di quelle disegnate alla perfezione in Cielo. Maturità classica a Brescia, studi di Teologia al seminario della città, ingresso nella comunità benedettina camaldolese dell’eremo di San Giorgio a Bardolino, licenza con specializzazione in Studi monastici al Pontificio istituto Sant’Anselmo di Roma e un anno a Berkeley, per studiare inglese e teologia in un monastero camaldolese della California.

Al ritorno, lascia il monastero perché vuol mettersi in gioco. Ha la passione per le aziende e contatta un imprenditore che ne ha una a Verona nel settore del controllo satellitare dei mezzi in movimento, gli chiede di lavorare pur non sapendo far nulla. «Mi assume e resto due anni. Prima mi assegna in ufficio e poi mi chiede di aiutarlo a contattare consulenti per la formazione visto che la sua azienda stava diventando una Spa. Nessuno, tranne lui, sapeva che ero un monaco», racconta.

PIEGATI DAL LAVORO
Un giorno va in ufficio anche il sabato, giorno libero. Il lunedì dopo i colleghi lo rimproverano: «Perché lo fai? Un conto è la vita, un conto è il lavoro». «Ho capito che quella gente era spezzata in due, che rischiava di non vivere la propria vita visto che l’80 % la passa in azienda». Mancava armonia, in quelle esistenze: mancava quella che in tre parole san Benedetto ha sintetizzato con ora et lege et labora. Ovvero la spiritualità dona il senso, lo studio dona profondità, il lavoro dona concretezza. È la regola principe che lui porterà nei corsi affiancando un formatore e un coach, incontrati quasi per caso.

Da due anni però anche lui è diventato coach e continua a spostarsi dall’eremo camaldolese di Monte Giove dove vive, tre ettari e mezzo sulla collina più alta di quelle che circondano Fano, per raggiungere ospedali, banche, aziende, per presenziare alle cene aziendali con i manager di Confindustria o per accompagnare giovani musicisti di Mtv.

Parla di «silenzio e ascolto» nel bel mezzo di un incontro sulle soft skills; racconta del ruolo dell’abate in monastero quando ci si confronta sulla leadership; spiega che «darsi una regola nella vita altro non è che il piano d’azione aziendale o personale»; si sofferma sul concetto di profitto, avvertendo che «massimizzare è pericoloso perché si rischia di minimizzare altre cose»; legge il trentunesimo capitolo della Regola benedettina («il monaco tratti gli arnesi e i beni del monastero come i vasi sacri dell’altare») per spiegare l’importanza del lavoro, messo sullo stesso piano della Messa.

NON È DOPING SPIRITUALE
«Se Eucaristia viene dalla parola greca eucharisteo che significa “rendere grazie”, il lavoro deve essere vissuto allora come un luogo dove ringraziare Dio e la vita, un’occasione quindi per rispettare l’ambiente, l’uomo e così via», aggiunge padre Brescianini, autore di libri tra cui Spiritualità cristiana e coaching. La relazione facilitante di Gesù (ed. La Parola).

«Sì, per me Gesù è stato un coach ante litteram e m’ispiro a lui. Ma il mio obiettivo non è convertire, riempire teatri, motivare e gasare la gente affinché accenda il miracolo che c’è in loro. Non è doping spirituale il mio, voglio solo condividere cose che sono importanti per me, esperienze di vita in cui credo. Dall’altra parte, nei corsi individuali soprattutto, c’è invece la gente che si apre perché si ferma, riflette, può aprirsi con qualcuno che non la giudica, prende coscienza di alcune cose e si ritrova a fare contemplazione, cioè a scendere in profondità. Spesso si parte da ciò che hanno vissuto nella giornata di formazione per poi declinarlo per la propria vita».

E se qualche volta conquista qualche manager regalando libri importanti come Il compendio della dottrina sociale della Chiesa, mentre altre volte qualcuno interrompe il percorso di coaching già al secondo incontro, non importa. «San Benedetto dice “c’è un uomo che vuole la vita e desidera vivere giorni felici?”. Ecco, io voglio aiutare la gente a capire ciò che vuole e lo faccio nel luogo dove trascorriamo la gran parte del nostro tempo, visto che la Chiesa, la politica e la scuola come momenti educativi stanno segnando il passo e ormai li frequentiamo sempre meno».

COSTRUIRE LA FELICITÀ
«Faccio tutto questo perché credo che il lavoro sia un luogo educativo dove poter costruire anche la nostra felicità», aggiunge alludendo al nuovo bisogno sociale che vede oggi.

In Italia si torna a parlare di “economia civile”, un filone di studi che risale al Settecento accademico napoletano. In America invece si approfondiscono gli studi sul “capitale spirituale”, un concetto che vuol aggiornare quello del “capitale umano” e che padre Brescianini spiega in questo modo: «Per me è il “vivere secondo lo spirito di…”. Ecco, bisogna solo capire cosa vogliamo mettere dopo quel “di”».

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE

 

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