Suor Monica racconta del gruppo “lasciati fare” che accoglie bimbi disabili e le loro mamme, dove con un sorriso si ringrazia per la misericordia vissutadi Monica Noce
Ujiachilie significa, in Swahili, “lasciati fare’’: è il nome che qui a Nairobi è stato dato al gruppo che seguo da qualche anno, composto da bambini e ragazzi disabili e dalle loro mamme. Il nome vuole essere un invito a scoprire l’amore misericordioso e gratuito di Dio, che ‘’veste anche i gigli del campo”, per ciascuno di noi. Grazie a questa scoperta, anche per noi il tempo passato con gli amici delle Ujiachilie è sempre sorprendentemente ricco di provocazioni e di grazie.
Ci troviamo due volte alla settimana nel quartiere di Kahawa Sukari, presso la parrocchia di St. Joseph, per trascorrere alcune ore insieme. Preghiamo, giochiamo, condividiamo esperienze e fatiche, oppure coloriamo, facciamo piccoli lavori e varie attività lasciate alla fantasia dei volontari che collaborano con noi. Per i bambini che ne hanno necessità, c’è la possibilità di fare fisioterapia. Il momento più prezioso è quello in cui accogliamo e salutiamo i nostri ragazzi, mentre uno ad uno sono aiutati a scendere dal pullman. Il sorriso che si schiude sui loro volti dice della gioia di riconoscersi amati ed attesi. È bello scoprire che le nostre mani possono essere quelle con cui il Signore si prende cura di coloro che ci affida!
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Proprio questo desideriamo offrire loro: la possibilità di conoscere qualcosa dell’amore che Gesù ha per ciascuno di noi, che siamo preziosi ai suoi occhi anche quando sembriamo inadeguati agli occhi del mondo.
Mi ha colpito il cambiamento di D., un ragazzo di circa 25 anni, con una emiparesi dalla nascita che gli impedisce l’uso di una mano e lo costringe a zoppicare. D. ha incontrato il nostro gruppo lo scorso anno, quasi per caso. Era arrivato da noi sperando in un sostegno economico che non abbiamo potuto dargli. Nonostante la delusione iniziale, ha accettato l’invito a partecipare al gruppo delle Ujiachilie. Nel tempo, si è sinceramente affezionato ai nostri incontri settimanali e ha iniziato a seguire con più libertà e disponibilità le proposte che gli venivano fatte, mettendo in gioco la sua creatività.
Ha iniziato ad invitare amici e vicini di casa, perché ci conoscessero e partecipassero con lui alla nostra amicizia. Quando arriva da noi, ce li presenta e se ne prende cura con lo stesso entusiasmo con cui ci ha insistentemente invitato a conoscere la sua famiglia. È il segno di come il gruppo delle Ujiachilie sia diventato nel tempo la sua casa, il luogo in cui si scopre oggetto di un’attenzione e una stima che supera le aspettative di qualsiasi vantaggio economico.
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Stando con questi bambini, scopro anche di più il volto del Signore per me, la sua pretesa e promessa alla mia vita. Accade, ad esempio, attraverso la letizia e la gratitudine di J., un ragazzo di 18 anni affetto da una grave paresi. Attraverso la grande vivacità e il fiducioso abbandono con cui lui vive la totale dipendenza da chi lo assiste, il Signore mi invita a vivere la povertà come totale dipendenza da Lui, come fa J., con la stessa certezza e semplicità.