Insegniamo alle nostre figlie a osservare nel ritmo del corpo il disegno della vita, fatto di primavere ed inverni
Non se ne parla affatto in pubblico; se ne parla tra donne per lamentarsi sui sintomi più fastidiosi. Lo si identifica con parole abbastanza neutre, come «ciclo» o «periodo»; si evita di pronunciare «mestruazioni» che è parola lunga e dal suono poco piacevole. Eppure la radice significativa è tutta lì, nel prefisso «mes»: è lo stesso che dà origine alle parole mese, misurare, metro e non ha altra origine se non la luna (a cui ci si riferiva in antichissimi tempi col suono mas/mah).
La luna era l’unità di misura privilegiata del tempo, perciò derivano da questo astro parole ormai diversissime, che però hanno in comune o il trascorrere del tempo o la misurazione.
Che il ciclo femminile sia legato alle fasi lunari è noto ed è anche fonte di leggende più o meno probabili. Vero è che i nostri nonni, pur con tutte le loro strane suggestioni, avevano un vantaggio rispetto al nostro moderno stile di vita: osservavano la relazione persona-natura senza tentazioni naturistiche.
L’uomo moderno è senza orologio
È evidente che l’uomo faccia parte di una vasta Creazione e che la natura sia manifestazione di questo disegno; dunque, noi umani siamo vincolati ai tempi della natura e dell’universo, perché siamo parte dei tempi divini che si manifestano nel Creato.
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L’ora et labora di benedettina memoria aveva lo stesso ritmo del respiro, che trattiene e libera, del cuore che si stringe e si allarga, del giorno e della notte. Il tempo dell’uomo canta in armonia col tempo del mondo; c’è un’alternanza proficua, benefica, sana nel succedersi di riposo e opera, tra veglia e sonno, tra alba e tramonto. Ci sono le lodi mattutine, l’ora media e i vespri; la preghiera guarda al corso del sole senza venerare il Dio Sole, ma per venerare Chi ha stabilito i tempi e i modi dell’agire umano.
Buona parte della libertà moderna è un’anarchia temporale; tutto attorno a noi è un fluido a-temporale: supermercati aperti 24 ore e 7 giorni su 7, luci che non si spengono mai, orari di lavoro sempre più flessibili, cioè ininterrotti; pause pranzo fatte a metà pomeriggio e apericene fatte alla stessa ora. Nessuno ha più l’orologio al polso.
Questa manipolazione più o meno subdola ci rende più fragili, mentalmente ma anche fisicamente, perché assomigliamo a una pianta senza radici che pretende di crescere in una serra con l’illuminazione perenne. Che ne sarà di lei?
L’orologio biologico femminile
La donna avrebbe un antidoto naturale a ciò, proprio nel ciclo mestruale. Dico «avrebbe» perché questo dato corporeo viene ormai relegato a poco più che un fastidio ingombrante, necessario a una procreazione desiderata sempre più tardi e quasi sempre da pianificare. È curioso che questo nostro XXI secolo così vegano, vegetariano, naturista sia un devoto estimatore della pillola contraccettiva che toglie alla donna ogni percezione del cambiamento mensile del suo corpo che sarebbe in sintonia con madre terra e sorella luna.
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È risaputo che la pillola faccia calare il desiderio sessuale, ma azzera anche le diverse fasi biologiche ed emotive che la femminilità attraversa ogni 28 giorni. Misurazioni a comando, mestruazioni a comando, figli a comando. Ritmi innaturali, forse leggermente disumani. Ci guadagniamo (ci guadagniamo?) meno dolori di pancia, tranquillità nel sesso usa e getta per non avere sorprese sgradite. E cosa perdiamo?
Ci riduciamo, più che altro. A un meccanicismo comandato dal nostro egoismo.
E il ciclo mestruale viene ridotto a un concetto che oscilla dal tabù, agli stereotipi della donna irritabile, agli assorbenti con le ali. Anche la pubblicità ci gira attorno e le prove di assorbenza vengono fatte con un liquido blu, lontano dall’impatto visivo allarmante che ha il rosso.
C’è un tempo per seminare, per aspettare e per raccogliere
Ritornare al rosso, al pulsare sanguigno della vita coi suoi ritmi universali (senza cadere nella stregoneria o nell’idolatria dei tronchi, degli astri e delle pietre) è un percorso di umiltà benefico, di cui la donna è senz’altro al centro per il ruolo biologico che le compete.
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Nel suo corpo, ogni 28 giorni più o meno, si ripete un disegno di fertilità che riguarda il mondo – nel macro e nel micro – e che testimonia il nostro appartenere al movimento di vita che lega le stelle, i microbi, i bambini. Non siamo avulsi dalla rete di vita che ci circonda, perché la Creazione è un’armonia di suoni che cantano e non un assolo di voci soliste.
Ho trovato perciò molto utile l’approfondimento di un’ostetrica australiana che ha proposto di guardare in modo positivo tutte le fasi del ciclo femminile, facendone uno specchio attraverso cui osservare se stesse nell’intimo e insieme nella relazione con il mondo esterno: anziché guardare solo effetti indesiderati sparsi, osserviamo il progetto complessivo a cui appartengono i sintomi che la donna prova su di sé vivendo la naturalità del ciclo.
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Apparteniamo al tempo, ed è un bene.
Santa Ildegarda disse: «Osservati, sei parte della terra e del cielo». Quando le nostre figlie si avvicinano al tempo della prima mestruazione (attorno ai 12 anni) non limitiamoci a fornire loro un kit di informazioni tecniche per placare la loro (e nostra) ansia, trattiamole con il rispetto che meritano: devono sapere che il loro corpo è dentro un disegno generativo strepitoso, di cui il sanguinamento è solo una parte, insieme ad altri segni meno evidenti ed altrettanto importanti.
C’è chi tiene un calendario del ciclo per rimanere incinta, chi lo tiene per non avere gravidanze indesiderate. Dovremmo tenerlo per riconoscerci legate alla spinta generativa scritta nel DNA della Creazione ed è fatta di una gamma di sfumature successive, consecutive, più o meno evidenti, tutte legate tra loro come le note di una sinfonia.
Proviamo quindi a dare un nome, anzi diversi nomi, al ciclo femminile. La durata più o meno esatta dei 28 giorni indica un periodo che si può suddividere il 4 settimane, proprio come le 4 stagioni dell’anno.