Dati allarmanti parlano di 6 milioni di italiani che soffrono di disturbi psichiatrici; la psicoterapeuta Alessandra Lancellotti orienta lo sguardo sul nesso con l’Origine: il nostro cuore è inquieto (ma non disperato) finché non riposa nel Padre
«Ci hai fatti per Te, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te», questa è forse una delle frasi più citate di Sant’Agostino. È, in effetti, una sintesi e un cammino; c’è dentro tutto il DNA umano, dalla forma degli occhi, alla tachicardia, al mal di testa, alla voce che esce dalla bocca.
L’uomo non è una forma chiusa come un cerchio; ha organi sensoriali e spirituali che lo proiettano fuori.
Guarda, ascolta, tocca – col corpo.
Attende, cerca, desidera – con l’anima.
Inquieti o disperati?
L’inquietudine è la nostra vita, non siamo fermi perché cerchiamo; non siamo tranquilli perché desideriamo. Non siamo folli, perché esiste ciò che cerchiamo. Infatti, inquietudine non è una parola brutta, è la fotografia dello scalatore che va verso la vetta. C’è la fatica nel suo percorso, ma non c’è la disperazione, perché la vetta del monte è qualcosa di concreto e visibile.
Però inquietudine è diventata anche la parola chiave della modernità, in senso negativo, da quando la vetta del monte è scomparsa. È come se lo scalatore salisse, salisse, eppure vedesse la sommità della montagna perennemente avvolta dalla nebbia, così da dubitare che ci sia. Allora la fatica si fa rabbia, e poi insensatezza, addirittura pazzia.
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Chesterton disse «togli il soprannaturale e tutto diventerà innaturale». Agostino prosegue la frase prima citata implorando Dio:
Di’ all’anima mia: «La salvezza tua io sono!». Dillo, che io l’oda. Ecco, le orecchie del mio cuore stanno davanti alla tua bocca, Signore. Aprile, e di’ all’anima mia: «La salvezza tua io sono». Rincorrendo questa voce, io ti raggiungerò, e tu non celarmi il tuo volto.
Non celarmi il tuo volto. Non celarmi la vetta del monte. Il nostro traguardo è essere a tu per tu col volto di Dio, per vedere davvero il nostro volto. Senza il suo volto soprannaturale, il nostro volto diventa innaturale: è questa la chiave di lettura che la dottoressa Alessandra Lancellotti offre per giudicare i dati allarmanti che riguardano l’aumento dei casi di depressione in Italia e in Europa.
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Dati allarmanti sulla depressione
Il presidente della Società italiana di Psichiatria, Bernardo Carpieniello, spiega che il 10% degli italiani ha avuto almeno un evento patologico nella sua vita. L’allarme riguarda 6 milioni di italiani che soffrirebbero di disturbi pischiatrici che necessitano di cure specifiche. L’incidenza della malattia è addirittura aumentata del 3% negli ultimi 10-15 anni, un numero che non può essere considerato basso se rapportato a tutti gli abitanti del nostro paese. Scendendo ancor più nello specifico, afferma Carpiniello:
Attualmente il 20% della popolazione afferente ai Dipartimenti di Salute Mentale è costituita da persone affette da schizofrenia. Il resto è costituito per circa il 31% da disturbi dell’umore (depressione maggiore 23,5 e disturbo bipolare 7,5%) , il 13.5% da disturbi nevrotici (quali disturbo ossessivo compulsivo, da stress post-traumatico, di panico o da ansia generalizzata) . Una quota significativa invece è costituita da disturbi della personalità, il 7%, mentre il resto da altri disturbi in parte dipendenti da uso di sostanze, 18%”, mentre il 4,5% riguarda dalle cosiddette dipendenze comportamentali, come la dipendenza da gioco d’azzardo o da Internet.
Il percorso di terapia psicologica e la cura farmacologica sono senz’altro elementi imprescindibili per intervenire sulla malattia depressiva. Non meno rilevante è però dare un nome complessivo a questa ferita di cui così tanti sentono il morso, eppure non sempre hanno la libertà di confidare apertamente.
La nota psicoterapeuta Alessandra Lancellotti associa la depressione alla nostalgia di Dio, per offrire lo sguardo giusto attraverso cui intraprendere un viaggio positivo di cura:
Il punto è lo slegamento dell’uomo moderno da Dio, dall’Entità superiore, un essere umano separatosi dalla sua natura stessa. Una società liquida quella attuale, dove non ci sono riferimenti valoriali definiti, ma una melassa di falsi idoli e un terreno fertile per il male oscuro e la malattia insita dell’uomo con la distanza dalla sua Origine. […] Dopo Nietsche Dio è morto e cosi con l’Illuminismo, la nostalgia di Dio fa ammalare.
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È stata lei a studiare il nesso «umore-tumore», cioè l’elemento sentimentale ed emotivo che interviene sia nell’aggravamento sia nella cura della malattia:
«È stato provato scientificamente – racconta la dottoressa Lancellotti – che le persone che hanno un proprio credo riescono ad avere difese immunitarie più forti perché sviluppano noradrenalina ed endorfina sostanze che stimolano la piacevolezza» (da Il Giornale).
Quell’implorazione di Agostino, la necessità di dare un nome e un volto al nostro Destino, ha dunque una traduzione corporea precisa.
Non è suggestione o mero sentimentalismo affidarsi alla fede; e affidarsi alla fede non deve escludere il percorso medico richiesto dalla malattia. Come il contadino lavora i campi guardando il cielo, così l’uomo può essere curato se guarda se stesso nella totalità che è: un’anima inquieta in viaggio verso il destino buono che il Padre ha preparato. Senza l’ultima parte di questa frase, l’inquietudine (che è una cosa buona) degenera in disperazione. La salita al cielo, presente nell’animo dell’uomo inquieto, diventa la discesa agli inferi di un uomo disperato.
«Se abbiamo fiducia, coraggio, fede – prosegue la sua illustrazione Lancellotti – riusciamo a superare anche battaglie che la medicina non può contrastare se non è aiutata da una consapevolezze psicologica e mentale dell’individuo. Sono fattori che servono molto più delle vitamine ed è dimostrabile come malattie terminali come la Sla o la sclerosi multipla vengano affrontate meglio dalle persone che hanno un forte credo. Non solo, ma è dimostrato che anche in casi molto gravi vivono più a lungo i soggetti che si sostengono e sono sostenuti dalla propria fede».
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Torna alla memoria una riflessione di Benedetto XVI che può di conforto per chi vive sulla sua pelle il malessere amaro della depressione, ma può soprattutto essere uno slancio e un incoraggiamento a chi ha vicino a sé una persona che soffre: non lasciamoci ingannare dall’idea di essere troppo azzardati nel proporre di mettere in mano a Dio il disagio, non temiamo la derisione perché tutti -inconsapevolmente o meno – sono fatti della stessa sostanza divina che ci ha creati.
Nulla imponiamo, ma sempre proponiamo, come Pietro ci raccomanda in una delle sue lettere: «Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1Pt 3,15). E tutti, alla fine, ce la domandano, anche coloro che sembrano non domandarla. Per esperienza personale e comune, sappiamo bene che è Gesù colui che tutti attendono. Infatti le più profonde attese del mondo e le grandi certezze del Vangelo si incrociano nell’irrecusabile missione che ci compete, poiché «senza Dio l’uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia. Di fronte agli enormi problemi dello sviluppo dei popoli che quasi ci spingono allo sconforto e alla resa, ci viene in aiuto la parola del Signore Gesù Cristo che ci fa consapevoli: “Senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5), e c’incoraggia: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20) (da Caritas in veritate, 78)