Dal 30 maggio al 12 giugno 2018 il Palazzo Lateranense a Roma accoglie un’esposizione sui martiri ortodossi russi del XX secolo. Il metropolita Tikhon, vicino a Vladimir Putin, era presente per l’inaugurazione dell’esposizione adiacente alla cattedrale del Papa.
Vescovo, monaco, consigliere presidenziale, sceneggiatore, autore di successo: difficile trovare una parola per definire il metropolita Tikhon Shevkunov della Chiesa ortodossa russa. Ed è soprattutto per una funzione non-ufficiale che è particolarmente noto: il metropolita Tikhon è il padre spirituale – e il confessore – di Vladimir Putin.
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Eppure niente sembrava dirlo destinato a sussurrare all’orecchio del Presidente-Zar, o piuttosto ad ascoltare le confessioni del capo della seconda potenza nucleare mondiale. Il futuro metropolita è nato nel 1958 a Mosca, capitale di ciò che allora era l’Unione Russa Stati Sovietici. La Chiesa ortodossa era esangue, perseguitata dai sovietici.
Non è che nel 1982, all’età di 22 anni, che l’uomo chiamato allora Georgiy Alexandrovich ricevette il battesimo, dopo studi di cinematografia. A partire da quel momento, il giovane sembra bruciare le tappe: l’anno stesso entrò in uno dei pochissimi monasteri ancora aperti.
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Nel 1990 venne invitato a pronunciare i voti perpetui di monaco. Come secondo la tradizione avviene spesso, cambiò nome prendendo quello di Tikhon – una scelta tutt’altro che anodina. È infatti un riferimento al patriarca Tikhon, canonizzato dalla Chiesa ortodossa russa qualche mese prima. Morto nel 1925, sette anni dopo la rivoluzione bolscevica, è un martire delle persecuzioni anti-cristiane dell’URSS.
Niente era più importante della fede, per i cristiani ortodossi – spiega Tikhon –, neanche la salute e neppure la vita.
Del resto le cifre mettono le vertigini: nel 1914 la Chiesa ortodossa contava 120 milioni di fedeli. Nel 1937 non erano più di 42 milioni. Dei 139 vescovi, solo quattro erano ancora in libertà e in vita. Quanto ai 70mila preti diocesani, non ne restavano più di 200.
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False accuse, imprigionamenti e assassinii: niente sarebbe stato risparmiato agli ortodossi di Russia. La piccola comunità cattolica non è da meno: alla fine degli anni ’30 solo due chiese erano ancora aperte legalmente. Non bisogna dimenticare che nel 1922 Lenin scrisse in una lettera al Politburo: «Più riusciremo a fucilare rappresentanti della borghesia reazionaria e del clero reazionario, meglio sarà».
Ma quello che il capo sovietico non sospettava era che il sangue di codesti martiri sarebbe giunto a irrigare la terra russa. Dando la vita per Cristo, spiega il metropolita Tikhon, essi hanno innalzato la propria vita al di sopra di tutto. Tutta la macchina sovietica e 70 anni di oppressione non sono riusciti a far tacere la loro testimonianza di vita.
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Oggi l’URSS non esiste più. Le statue di Lenin sono state smantellate. I martiri, invece, vengono elevati alla gloria degli altari, i cristiani rendono loro omaggio. Quanto a Vladimir Putin, non prende alcuna decisione importante senza consultare Tikhon. «I cristiani hanno vinto il bolscevismo», conclude il confessore presidenziale.
[Traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]