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Dalla Siria: Maya cammina grazie a due lattine trasformate in protesi dal papà

MAYA MERI

IDLIB, SYRIA - JUNE 21: Syrian Maya Meri (L), (8), who lost her legs during birth and uses artificial legs, which were made from pvc pipes and tin cans by her father, and her father Ali Meri (R) are seen in Idlib, Syria on June 21, 2018. Ahmad Al Ahmad / Anadolu Agency

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Annalisa Teggi - published on 27/06/18
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Una famiglia in fuga da Aleppo, una storia di grande amore: perché lì dove l’uomo soffre la dignità della persona splende ancora di più

Che ne è della Siria? Perché non se ne parla più? È tutto finito?
Per nulla. Anzi, la situazione continua a essere grave, anche se le notizie arrivano a noi senza titoloni, proclami forti e appelli. Le ultime news ci informano di scontri in corso nella provincia di Daraa:

L’esercito legittimo di Damasco sostenuto dai caccia militari russi ha respinto un attacco nel sud della Siria, uccidendo 70 terroristi. […] Sarebbero circa 20mila le persone fuggite da martedì scorso dalle aeree in mano ai ribelli nella parte orientale della provincia meridionale di Daraa (da Il Secolo d’Italia).

SYRIA AFRIN

Ahmad Shafie BILAL I AFP



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Lunedì scorso due missili israeliani sono esplosi vicini all’area dell’aeroporto internazionale di Damasco. Non c’è dunque tregua al conflitto in questa zona del mondo e il dramma umanitario continua ad aggravarsi. Ne ha dato conferma il cardinal Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria, durante la festa di Avvenire a Matera:

“Più della metà degli ospedali sono fuori uso come una scuola su tre. Ci sono tanti buoni samaritani in Siria. Nel settore sanitario ne sono stati uccisi più di 700. Nel Paese, i ladroni uccidono anche i buoni samaritani”. (da Sir)

Per mandare un abbraccio di vicinanza al popolo siriano, e per diffondere un messaggio di speranza per tutti, raccontiamo una piccola grande storia di bene tra le macerie. Perché, ostinatamente e misteriosamente, va messo a verbale che – a tutte le latitudini del mondo – l’umanità ferita manifesta una creatività stupefacente, testimoniando un positivo dentro l’incubo.


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Maya Meri ha otto anni, è venuta al mondo ad Aleppo sotto le bombe ed è nata senza gambe a causa di una malattia genetica. Non è bella un’infanzia in fuga o nel terrore, trovandosi a elemosinare il necessario in un campo profughi. Essere disabile grave può significare il peggio possibile in un contesto di vita simile. Maya è un fragilissimo frammento umano dentro una polveriera; facilissimo schiacciarla, eliminarla, dimenticarla.

In guerra non ci sono regole, no?

In guerra bisogna usare al meglio tutte le proprie risorse, e chi non ne ha?

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AP/EAST NEWS

In questa trama fatta di spietatezza e brutalità occorre l’occhio di un padre. Solo uno sguardo innamorato può dire con coraggio e autorevolezza che nessuno deve essere lasciato indietro, che non esistono scarti umani ma solo anime degne di speranza.
Il papà di Maya – quasi un novello e tenerissimo Geppetto – ha dato a sua figlia un paio di gambe, per poter giocare, per andare a scuola, per vivere. Lo ha fatto nell’unico modo possibile, si dice: di necessità virtù. Ha fatto il meglio possibile con quasi niente. Con ciò che noi definiremmo rifiuti – due lattine di sardine riempite di stoffa e cotone – ha assemblato delle protesi per la figlia.

“Il mio cuore soffriva – racconta l’uomo – quando la vedevo strisciare davanti agli amici mentre giocavano”. (da Gli occhi della guerra)


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Che immagine per il nostro Occidente affogato dalla schiavitù dell’usa e getta! Servi di un utilitarismo che acceca, siamo. Eccellenti nella raccolta differenziata, bravissimi a buttare alla svelta.

Ricordo quel quadro bellissimo di Van Gogh in cui un padre contadino assiste ai primi passi della figlia attendendola a braccia spalancate.

VAN GOGH, PRIMI PASSI

Cara Maya, anche di te Van Gogh avrebbe fatto un capolavoro. Non perché tu abbia bisogno di diventarlo, ma perché bisogna accorgersi che tu lo sei.
Cosa diceva il salmo 138 della scorsa domenica?

Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio;
sono stupende le tue opere,
tu mi conosci fino in fondo.
Non ti erano nascoste le mie ossa
quando venivo formato nel segreto,
intessuto nelle profondità della terra.

Un padre sente nel cuore questo sguardo del Padre su tutti i suoi figli. Le nostre misere ossa sono un prodigio. È davvero degno di stupore e commozione che vengano a ricordarci questa grande dignità due lattine di sardine imbottite di stoffa e che, lontano, da qualche parte, in Siria, ora camminano su e giù per permettere a una bambina di seguire il destino che l’attende.

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