Così ha scritto il ragazzo ormai terminale in una lettera ai coetanei: “Se vivi la depressione, sappi che c’è speranza in Cristo. Se combatti con la malattia, sappi che in Cristo c’è la cura. Se mediti il suicidio o l’aborto, sappi che c’è abbondanza di vita in Cristo”
C’è una strana parola in inglese ed è “underdog“, letteralmente significa “sfavorito” proprio come quando nei pronostici sportivi si dice di una squadra che è la sfavorita. Il termine inglese è visivamente più forte: un cane che sta sotto, cioè soccombe … anzi destinato a soccombere, farsi schiacciare.
Questa brutta parola è piombata nella vita di un ragazzo americano di 16 anni, grande campione di football, lo scorso marzo. Il dottore gli ha diagnosticato senza mentire un tumore alle ossa davvero aggressivo, l’osteosarcoma osteoblastico resistente alla radioterapia. Impietosa la percentuale di sopravvivenza: il 10%.
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Lui si chiama Jeremiah Thomas e sembra il prototipo del principe azzurro statunitense; biondo, fisico statuario, sorriso attraente. Gli elementi della favola finiscono qui, ma forse è meglio lasciare al cuore di ciascuno la scelta del nome da dare alla propria storia.
Jeremiah non si sente il protagonista di una tragedia, anche se fin da molto piccolo la vita gli ha dato modo di scontrarsi con quella brutta parola, underdog: ha perso la mamma da piccolo, anche lei schiacciata e sconfitta da un tumore. Attorno a lui c’è una famiglia numerosa, composta da 13 fratelli e un padre, Rusty Thomas, che è un reverendo molto conosciuto per il suo fervore nelle battaglie prolife. Qualcuno direbbe invasato. Qualcuno, in effetti, l’ha gridato forte e ha suggerito che quest’ambiente familiare sia responsabile di un vero e proprio lavaggio del cervello a Jeremiah.
Avere un ideale grande e difenderlo oggi risulta pazzia, a quanto pare.
Col progredire inarrestabile della malattia, il ragazzo ha fatto una scelta che lo ha portato alla ribalta dei media. L’America ha una forma emotivamente plateale di esporre certi casi; la forza dell’individualismo che scorre nel DNA degli statunitensi risulta molto difficile da capire per noi ed è però parte integrante della loro identità nazionale. Al centro del sogno americano c’è proprio l’idea che la libertà personale di un individuo cambi il destino.
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Cos’ha fatto Jeremiah? Ha espresso un ultimo desiderio. Esiste una fondazione chiamata Make a Wish che permette ai giovani malati terminali di avverare un loro sogno. C’è chi desidera un giorno da vera principessa, chi di pilotare un jet. Jeremiah ha chiesto di fare una telefonata, quasi fosse uno di quei condannati a morte che vediamo nei film. Ha voluto rivolgersi direttamente al Governatore del Texas Greg Abbot per chiedergli di firmare una legge che equipari l’aborto all’omicidio. Il Governatore si è impegnato a fare il possibile per tradurre in realtà il desiderio di Jeremiah e va detto che il 68% della popolazione del Texas è contro l’aborto.
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Un desiderio strano, quello di Jeremiah … più che altro un appello senza ricevuta di ritorno. Eppure, apriti cielo! Il suo gesto ha scatenato reazioni entusiaste, altre molto aggressive. Disparate e violente, assurde persino: una signora ha rivolto al ragazzo una reprimenda sulla dieta, attribuendogli la colpa del tumore per non aver seguito un regime vegano. Altri si sono spinti oltre, come questo anonimo utente che scrive:
“Il mondo sarebbe un posto orribile se ci fossero più persone come te, ecco perché stai morendo. Abbiamo bisogno di meno gente come lui”.
Uno strano modo, questo, per difendere i supposti acquisiti diritti delle donne; sì, è davvero curioso come la supposta libertà di alcuni debba essere difesa augurando la morte e sopprimendo in toto la libertà di altri.
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Ma lasciamo a Jeremiah il diritto di replica, lo ha fatto scrivendo una lettera ai propri coetanei. Si tratta di un testo articolato e appassionato, in cui definisce la propria generazione vittima di una cultura della morte e usa la parabola del figliol prodigo per mandare un messaggio di speranza a chi come lui è un underdog, sfavorito dalle percentuali, schiacciato da ogni specie di malattia, pregiudizio, paura. Ecco il passaggio centrale:
Siamo cresciuti in un periodo dominato dalla una cultura di morte, confusione sessuale, immoralità e assenza di padri. […] Vorrei usare la parabola del figliol prodigo per descrivere la nostra generazione. Abbiamo accolto le benedizioni del padre Celeste e poi gli abbiamo voltato le spalle. Abbiamo sprecato la nostra eredità divina e ancora non siamo ritornati dal Padre. Quanto peggio deve ancora andare per far capire alla nostra generazione che è ora di svegliarsi e che siamo a mille miglia da casa nostra?
Io oggi vi invito a tornare dal Padre. Mollate l’oscurità, l’inganno e la disperazione. Siamo una generazione senza legge e senza padre, in cerca di un’identità. E intanto il nostro Padre Celeste ci attende a braccia aperte, implorandoci di tornare da lui.
Se vivi la depressione, sappi che c’è speranza in Cristo. Se combatti con la malattia, sappi che in Cristo c’è la cura. Se mediti il suicidio o l’aborto, sappi che c’è abbondanza di vita in Cristo. (da Elijah Ministries)
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