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Lino Banfi non si rassegna alla malattia della moglie. Un amore vero da 66 anni

LINO BANFI
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Paola Belletti - published on 16/07/18
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Si sposa con Lucia Zagaria nel 1962, dopo 10 anni di fidanzamento. E ora che sono entrambi anziani doveva venire il bello: avrebbero dovuto godersi la vita insieme. Se Checco Zalone lo ha voluto nel suo ultimo film, Quo vado – comico, arguto e pieno di speranza- è perché probabilmente era certo che per tutti fosse un riferimento noto e amato (e soprattutto pugliese). Lui è Lino Banfi e i suoi film, volenti o nolenti, li abbiamo visti tutti, noi che abbiamo almeno quarantanni intendo; se non per intero perlomeno riproposti in sketch, ed ora traslati in chissà quanti brevi video su YouTube, qualcuno forse ridotto a GIF. Tutti ci ricordiamo la sua parlata, la pelata, la risata. Negli ultimi decenni è anche entrato nell’immaginario di una consistente quota di pubblico italiano come nonno di alcune serie Rai come Angelo il Custode. Anzi nella recente intervista dichiara che molti attendono l’undicesima stagione della più famosa Un medico in famiglia dove per tutti era Nonno Libero, il nonno d’Italia, come gli disse Benedetto XVI. Ma la Rai non risponde.

L’intervista nella quale si racconta è quella concessa a Il Messaggero.  Banfi confida, insieme ai ricordi dei successi e alle tante gioie, la rabbia e il dolore per una cosa che ancora non riesce, forse non vuole proprio accettare.

Al centro c’è lei, la moglie Lucia. Il loro un copione che qualche decennio fa poteva essere quello di tante vite; ora è diventato un cult che in tanti vorrebbero girare nella propria ma che l’industria dei sentimenti intercambiabili sta rendendo sempre più arduo: i due giovani si innamorano, vogliono sposarsi ma la famiglia di lei si oppone. Celebreranno infatti le nozze in segreto, nel 1962 e resteranno legati da un amore intenso ed indissolubile per tutta la vita.



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Proprio ora che avrebbero dovuto godersi la vita insieme arriva la malattia di lei. Lo dice con sincero disappunto, con dolore profondo anche. Non è giusto! E non sente, non riconosce, la tragica normalità di questa evenienza: più si invecchia più aumenta la possibilità di ammalarsi e più certa e vicina si fa l’ipotesi della morte.
Verrebbe la tentazione di andare a ricordargli queste cose, a farlo ragionare. Perché, come lui stesso riferisce al Messaggero, ha una rabbia tale che arriva a farsi del male. Certo, a colpi di gorgonzola, mascarpone e champagne e non come un Samurai pronto all’estremo harakiri.

Mangio porcherie, cose che mi fanno male: a volte lo faccio perché non so che fare della rabbia. Prima di venire al mio compleanno, ho mangiato gorgonzola, mascarpone e bevuto champagne: una cosa da mille calorie a cucchiaino. L’ho fatto apposta per farmi del male. (Ibidem)

Eppure ha ragione. Non è giusto ammalarsi, perdersi, vedere soffrire chi si ama come la propria carne, per arrivare a darla vinta a lei, la grande Ingiusta, la morte!

Mia moglie, a volte, mi chiede come farò quando lei non sarà più in grado di riconoscermi. E io, per tranquillizzarla, le rispondo che ci ripresenteremo un’altra volta. (Ibidem)

Ecco cosa fa l’amore, quello allenato, quello corroborato da una vita, quello che non si è spento ma dopo le fiammate iniziali ha intaccato un ceppo d’ulivo, che brucia calmo per ore, e profuma la casa mentre la scalda.

L’amore naturale tra un uomo e una donna che non hanno ascoltato le sirene del mondo, che invitano altrove, è così. Risparmiato forse da tentazioni troppo feroci il loro matrimonio, il loro amore, ha resistito e si è fatto nuovo, fino ad ora, all’estremo lido. E continua ad essere nuovo perché disposto a vedere nell’altro la novità che non si esaurisce anche se a ricordarlo è una crudele malattia (forse un Alzheimer?) che rosicchia la memoria e svuota gli occhi dei visi più familiari.

Come l’uomo vivo di K.G. Chesterton che si risposava continuamente con la stessa moglie; girava il mondo, bizzarro Ulisse in  giacca e cravatta, per arrivare finalmente a casa, da lei così si ripromette di fare Lino.


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E’ un uomo che ha dichiarato la propria fede, un devoto di Padre Pio, un estimatore e quasi amico del Papa Emerito; siamo certi che potrà attingere alla fonte inesauribile della vera speranza e con quella accettare la pena della malattia della moglie, magari vedendola pian piano non solo peggiorare ma trasfigurare in preparazione della festa di nozze eterna. E forse metterà mano anche lui ai preparativi. Cosa che tocca a tutti noi, sempre!

E noi più giovani, anziché compiangere e bonariamente disapprovare il suo non rassegnarsi, dovremmo rubare il segreto del loro fuoco: l’altro, l’amato, l’amata è una fonte che non si può seccare, una bellezza che in fondo non si guasta. E’ una torta a dieci strati e noi siamo i bulimici che la vogliono mangiare sempre, di nuovo, daccapo: ma non per farsi del male!



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