Se solo imparassimo dai santi a perdere tempo!I tempi morti non esistono più. Ma non è detto che siamo vivi mentre ci riempiamo di cose da fare.
Non è un incremento di vitalità, e di umanità, avere i negozi aperti 24 ore al giorno, domeniche incluse. Anche durante gli spostamenti siamo indaffarati, tra autoradio e cuffie bluetooth. Quand’è l’ultima volta che sei stato sul divano senza far niente? … intendo senza cellulare in mano, eh!
Respingiamo il vuoto. Ci fa paura il silenzio. Horror vacui.
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Non scriviamo neppure più a mano, richiede tempo. La «f» da fare in corsivo è lunga, pure la «h». Quanto impiegavano gli amanuensi a miniare una lettera e a corredarla di un disegno che poteva contenere l’universo intero. Perdevano un mucchio di tempo, si annoiavano persino; perciò erano più felici e santi di noi.
Una società frenetica non è segno di una civiltà zelante che progredisce, ma che si spegne. Gli ultimi fuochi d’artificio sono sempre più grossi, rumorosi e caotici. Poi viene la fine. La distruzione è un processo veloce, intenso, accelerato e breve.
Qualcosa per decelerare questa corsa impazzita del mondo possiamo farlo, per il bene dei nostri figli. Ho ascoltato con grande ammirazione una simpatica riflessione sul valore positivo della noia dell’americano padre Mike su Youtube: arrabattandomi a tradurre le sue parole, mi sono appuntata le regola delle tre C, un percorso di educazione alla noia … che è tutt’uno con un’educazione alla meraviglia e alla gioia.
Cercherò di metterlo in pratica coi miei bambini, ma spero soprattutto di essere capace di dare credito con me stessa a questa ipotesi di vita. Ne va dell’umano.
Creatività
C’è una bella differenza tra lavorare ed essere creativi, e la creatività è dentro ogni vita non solo in quella dei pittori, dei pubblicitari, degli scrittori. Se l’opera di Dio è la Creazione e noi siamo fatti a sua immagine, la creatività dovrebbe essere la nostra principale impronta . Che cos’è? È quella spontanea volontà di partecipazione alla realtà che si manifesta in modo unico e irripetibile in ogni essere umano e lascia un frutto di bene. Oggigiorno è nascosta sotto tonnellate di “cose da fare”. Perché la creatività nasce dalla noia, e muore in mezzo all’iperattività.
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Afferma padre Mike:
La noia può essere un dono. E non sto parlando delle «mani oziose», cioè di quella inoperosità che conduce sul sentiero del diavolo.
La noia è un dono perché è collegata al tempo libero, che è una delle cose per cui siamo stati creati. Il racconto del Giardino dell’Eden rivela che la Creazione dell’uomo è stata fatta affinché egli amasse, lavorasse, si riposasse. La noia, quindi, è «abitare il riposo».
Non appena siamo sulla soglia di un momento in cui intravediamo la possibilità di annoiarci, ecco che scattano automatismi per rifuggire dal far nulla: accendiamo la TV, controlliamo il cellulare, ci mettiamo a mangiare. Compulsivi dello zapping, dello sgranocchiamento, dei clic. Il tempo vuoto e dilatato ci fa paura perché abitare in silenzio e senza scopo, a tu per tu con noi stessi, ci fa paura.
È l’esperienza del deserto che Gesù stesso ha fatto e anche molti santi: può essere un luogo di tentazione, ma è anche attesa e ascolto. La mente, libera di vagare, non si perde; tendenzialmente riesce a stanare trovate sorprendenti. La creatività, appunto.
Una donna americana racconta di essere rimasta sorpresa dai benefici effetti collaterali della maternità: era abituata a lavorare senza sosta, sempre sul pezzo; la gravidanza le ha portato in dote, oltre alla figlia, anche quei meravigliosi e lunghissimi tempi morti al parco a spingere la carrozzina. Proprio dopo quei momenti di pura noia, ha notato che le affioravano in testa idee nuove, soluzioni a problemi su cui si era scervellata a lungo. Ha raccontato questa esperienza in libro dal titolo significativo Annoiati e brillanti.
Contatto
È curioso che si definiscano «contatti» le conoscenze che abbiamo sui social networks, visto che il virtuale annulla proprio la presenza fisica dell’altro. Ma noi abbiamo davvero bisogno di contatto, fosse anche nella forma eccessiva di spinte e ceffoni. Di sicuro l’abbondanza di relazioni virtuali è un sonnifero che addormenta la nostra umanità, perché ci impedisce la vertigine del deserto … la cui etimologia rimanda al sentirsi abbandonati. Ancora una volta, può venirci in soccorso la noia, dice padre Mike:
Quando ci annoiamo sentiamo la solitudine, questa mancanza può far sgorgare il desiderio di muoverci intenzionalmente verso l’altro.
La parola chiave è: intenzionalmente. Non si tratta di aprire Facebook quasi in automatico e commentare i post di qualcun altro, per passare il tempo e sentirsi in gruppo. La solitudine comporta proprio la vertigine del vuoto, quell’attimo di chiarezza in cui senti che tendere la mano a un amico è l’alternativa alle tenebre interiori. Il vero contatto nasce da un grido di aiuto, sincerissimo. Io, da solo, non riesco a sostenere il peso e il senso delle mie giornate; e tu? Prendiamo una birra assieme? Vieni a fare due passi con me?
Capriole
L’ultimo frutto buono della noia è anche il più divertente: il gioco. No, non la Playstation eccetera … Il gioco è una modalità libera di interazione senza secondi fini, un divertimento spassoso, un’interazione per diletto. Diletto è una parola meravigliosa, parla del piacere che nasce da un libero atto di amore.
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Quante volte capita di comprare a un bambino dei giochi sofisticati, luccicosi, rumorosi e lui li snobba, poi lo troviamo a perdere ore su un qualsiasi e banale oggetto domestico. Mia figlia, di due anni, può stare un intero pomeriggio a giocare con due dita d’acqua in un catino.
Non è che si accontenta di poco, è che la meraviglia in lei è ancora così potente da permetterle di vedere ogni piccolo oggetto da migliaia di punti di vista diversi. Non si stanca di due dita d’acqua perché ad ogni secondo che passa diventano sempre due dita d’acqua nuove.
Monet si annoiò a dipingere così tante volte le ninfee? Assolutamente sì. Cioè non si stancò di guardare la stessa cosa con occhi sempre diversi. Monet «ha giocato» con le ninfee e si è divertito tantissimo: non aveva secondi fini se non quello di un’osservazione ripetuta eppure sempre meravigliata.
Si può di dire che ha perso tempo. E dobbiamo impararlo anche noi: chi ha tempo, perda un po’ di tempo.
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