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Dina Bélanger, una pianista di talento che consacrò a Dio la propria vita

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Jacques Gauthier - pubblicato il 05/09/18
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La beata Dina Bélanger, pianista, concertista, alunna del Conservatorio di New York, ha conosciuto una forte vita mistica, interamente rivolta a Cristo.

Alla fine del dicembre del 1923 Dina Bélanger (1897-1929) scrisse nella propria Autobiografia:

Trovai il motto che da tanto tempo cercavo, quello che rispondeva alle mie aspirazioni e che riassumeva i miei sentimenti: Amare e lasciar fare Gesù e Maria. Ecco l’espressione che mi soddisfava. Amare: intendo l’amore fino alla follia, fino al martirio… Lasciar fare Gesù: cioè lasciar agire liberamente il Dio dell’amore. Lasciar fare Maria: affidarle ciecamente la cura di realizzare il suo Gesù avvolto nel manto del mio essere esteriore.

Colei che ha vergato queste righe aveva ventisei anni. Era completamente presa da Gesù: egli è la gioia del suo cuore, la vita della sua vita. Ella si era offerta alla sua luce fin dai primordi della sua esistenza: «Gesù mi ha messa sulla terra perché non mi occupassi se non di lui». Incandescente Dina, la sua vita non sarebbe stata che apertura assoluta a Dio nell’abbandono fiducioso di tutto ciò che egli è. Un lei si verifica la bruciante parola di San Paolo: «Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me» (Gal 2, 20).



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L’opera dello Spirito Santo

Dina nacque in Québec il 30 aprile 1897. Figlia unica di Séraphia Matte e di Olivier Bélanger, ebbe un’infanzia felice. Fu scolarizzata nell’istituto di San Rocco, poi divenne collegiale del Bellevue. Quando ancora era molto giovane, lo Spirito santo orientò la sua libertà verso il desiderio di essere santa, cioè di bruciare d’amore per Dio e per il prossimo.


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La giovane Dina comincia a sentire interiormente la voce di Gesù fin dal 1908. Nella sua Autobiografia precisa:

Voglio spiegarmi una volta per tutte, riguardo alle espressioni che adopererò, come ad esempio “vedevo”, “Gesù mi disse”… e altre simili a queste. Tutte significano: vedevo nella mia immaginazione; Gesù mi parlava mediante la voce interiore che ogni anima intende, al fondo del suo cuore, quando sopraggiungono le consolazioni divine.

A quattordici anni si consacrò a Dio facendo un voto privato di verginità. Amava così tanto Gesù da chiedere la grazia del martirio. Fu quella l’epoca in cui lesse la Storia di un’anima di Teresa di Lisieux, che non era ancora santa ma che insieme con santa Cecilia sarebbe divenuta sua patrona. Nel 1923 avrebbe scritto:

Teresa di Gesù Bambino, con la sua intercessione, mi ha aperto il giardino della fiducia. Allora ho gustato il frutto autentico dell’abbandono. E ogni sua azione – inutile dirlo – porta il marchio dell’amore.

Nel 1914 Dina chiese di poter entrare in religione, ma senza successo. Si offrì allora come vittima di riparazione all’inizio della guerra, per consolare Gesù e salvare delle anime. Visse a casa dei suoi genitori fino al 1916, poi si trasferì a New York per frequentare il conservatorio: per due anni vi avrebbe perfezionato gli studi di pianoforte. Qui prese a vivere una prova interiore di aridità spirituale che sarebbe durata sei anni. Ragazza dal carattere capace e sensibile, a ventiquattr’anni sarebbe divenuta un’elegante pianista concertista.


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Un cantico di azioni di grazie

Rompendo con una possibile carriera artistica, Dina scelse la via nascosta della preghiera, entrando fra le religiose di Gesù e Maria a Sillery. Il 15 febbraio 1922 ricevette il nome di Santa Cecilia di Roma. La Congregazione le si addiceva bene, era tutta imperniata sull’Eucaristia, effusione d’amore in cui Gesù si dona totalmente per colmarci a sazietà. Gesù avrebbe chiamato Dina “La mia piccola me stesso”, ed ella ebbe a comprendere che – come il Figlio è unito al Padre nell’amore, come il cuore di Maria è unito al cuore di Gesù – Cristo si unisce a ciascuno di noi nell’eucaristia, ove egli ci offre al Padre con Sé.



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[Traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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