Lucia ha 27 anni ed è il primo caso al mondo di persona affetta da fibrosi cistica e neuroblastoma addominale, ha avuto anche un tumore alla tiroide e al colon. Tutto questo non scalfisce la sua gioia di esserci ed essere circondata da affetti stupendi
Ieri ho passato l’intera giornata buttando l’occhio ogni mezzo secondo al cellulare: la figlia di alcuni nostri amici, di appena 15 anni, è stata sottoposta a una grossa operazione per rimuovere un tumore ai polmoni. In questi mesi in cui ho seguito a distanza il suo confronto serrato con una malattia che ha fatto irruzione nella sua vita spensierata, mi sono stupita della sua forza positiva.
Una ragazza avrebbe tutto il diritto di scomodare ogni insulto pesante contro un destino che si fa improvvisamente cupo. I giovani hanno anche tutto il diritto di stupirci e azzerare, di tanto in tanto, gli stereotipi che li vorrebbero viziati, debosciati, supercoccolati. Riflettevo su questo e mi sono imbattuta in una lettera scritta da una 27enne su Freeda.
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Lucia, gli occhi e il cuore
Conoscendo me stessa, so che potrei scrivere un papiro solo sul suo nome, Lucia. Però effettivamente il nostro nome ha da dire tanto, la prima cosa che Dio chiese ad Adamo fu quella di dare un nome agli animali e alle piante; e noi genitori trascorriamo intense ore di emozione per scegliere come chiamare un figlio.
Lei dunque è Lucia. Porta memoria di quella santa che viene rappresentata con un vassoio in mano, su cui giace un paio d’occhi: è la santa che s’implora per i problemi alla vista. E non c’è malattia più invalidante per l’anima dell’incapacità di vedere il reale; trattiamo le circostanze come sfondo se vanno bene, come obiezione se ci tagliano la strada, ma in entrambi i casi non come messaggio vivo per il nostro destino. Siamo tutti ciechi da questo punto di vista, oppure parecchio miopi.
Porta memoria anche di quell’altra Lucia, la Mondella. Cacciata fuori di casa, esiliata dal suo progetto matrimoniale e catapultata in un mondo fatto di egoisti, violenti, malfidenti; catapultata fino a un lazzaretto infestato da odore di morte. Lei porta ovunque la fiammella della conversione, l’Innominato ci si arrende di gioia a quello spiraglio. Tutti come lui, dovremmo essere; capaci di buttare all’aria secoli di autocompiacimento e ripartire da una novità incontrata che illumina la via.
Un corpo al buio
La lettera della 27 enne Lucia fa sia sbarrare gli occhi, sia squarcia il buio. Lei racconta la sua vita con una ironia addirittura leggera, fin dal suo secondo giorno di vita quando dovettero letteralmente aprirle la pancia per salvarle l’intestino.
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E pare davvero che il suo corpo sia rimasto aperto da allora a ospitare una quantità di malattie gravissime che, però, non l’hanno mai uccisa fisicamente né intimamente: all’età di 1 anno e mezzo è il primo caso al mondo di persona con fibrosi cistica e neuroblastoma addominale.
Oltre ai controlli stretti e le terapie giornaliere, andavo a scuola e facevo tutto come gli altri bambini. All’età di 3 anni mi misero gli sci ai piedi e fu subito amore, a 10 anni primo viaggio “da sola” in colonia, a 13 in college in Inghilterra, poi con la mamma a Disneyland e in America. (da Freeda)
Con l’adolescenza, un altro colpo: il diabete. Più tardi, mentre vive una storia d’amore importante, arriva un tumore benigno alla tiroide; più tardi ancora, mentre vive un momento di svago con gli amici, arriva un problema all’intestino, ed è un tumore al colon che la riporta in sala operatoria. Il 2018 le ha portato in dote la scoperta di un difetto genetico del DNA.
Sembra un macabro tiro alla fune, più lei investe energie emotive nel costruirsi una vita felice nella malattia, più il suo corpo subisce attacchi ferali capaci di prostrare a terra il più testardo degli ottimisti. Deve sopportare terapie pesantissime e calibrate ad hoc sulla sua persona, tenendo conto di interazioni, effetti collaterali. In un caso si arriva anche all’isolamento:
Post operazione dovetti stare 20giorni a dieta senza iodio e poi chiusa 3 giorni in una camera piombata senza possibilità di contatto con nessuno – diventando io, mediante una pastiglia, radioattiva – tutto ciò che entrava nella stanza, non poteva più uscire, andava buttato. (Ibid)
A questa prostrazione fisica Lucia risponde con una vita piena di passioni e affetti: lo sci, la recitazione, la ricerca di un lavoro, gli amici veri, la famiglia accanto. Tanto che lascia basiti il modo in cui conclude la sua lettera:
Alla fine io non so cosa mi riserverà il futuro ma non credo sia più o meno incerto di una qualsiasi persona su questa terra. So che sono stata molto fortunata fino ad oggi ed ho la possibilità di affermare di avere una vita figa perché ogni persona che la compone è davvero un dono e per me è fondamentale. (Ibid)
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Un dono terribile e bello
Ammetto che mi aspettavo qualche parola sulla fede, magari anche di rabbia. Lucia su questo tace, non c’è margine per fare supposizione alcuna. Pensandoci, ho ripescato dal cassetto la memoria di una delle prime cose che mi colpì quando incontrai il pensiero di Don Giussani: l’uomo religioso è innanzitutto quello che per giudicare le cose non esclude nessun dato della realtà. Ancor prima della devozione, viene l’aprirsi a ospitare tutto ciò che è dato nella vita; solo così ne può emergere un giudizio autentico della ragione e del cuore.
Il passo successivo di Giussani parlava di “positività” e tutta la fragilità della storia di Lucia va proprio in questa direzione, incredibile: lei non esclude nulla della sua storia – si ricorda quanti punti di sutura ha subito il suo ventre, si ricorda le serate allegre con l’amica in Portogallo – e perciò il nome complessivo che dà alla sua vicenda non è tragedia. E’ fedele al suo nome; saremmo in molti a vedere il buio pesto in una vita messa così duramente alla prova, Lucia non esclude dal novero delle esperienze anche le piccole fiamme di felicità che ha provato … e vive nel chiaroscuro drammatico ma non disperante. Così lei è in grado di pronunciare in modo autorevole la parola che fa di ogni uomo una creatura con gli occhi alzati al cielo: dono.
E’ questa religiosità di base, essere spalancati a tenere conto di tutto, che un po’ scarseggia a noi che ci reputiamo bravi cristiani. Contenere la contraddizione di un corpo al limite della sopportazione e un’anima piena di bisogno di gioia è un gesto spirituale enorme. Perciò, come l’Innominato, tralascio qualche faccenda e me ne sto ancora qualche minuto qui con questa Lucia.