Per il frate furono dure prove fisiche e spirituali. La più nota accadde a Roma, a casa del cardinale Leone
Negli scritti di San Francesco d’Assisi viene accentuato ciò che il diavolo opera nei confronti dei frati e quindi si richiamano i modi e i mezzi difensivi da utilizzare contro le sollecitazioni demoniache.
Si parla “istigazioni del diavolo” per indurre alla fornicazione oppure di “istigazioni del nemico per un peccato mortale” (Regola bollata 1,2,7,13).
In diverse occasioni il diavolo ha preso di mira direttamente San Francesco. In “San Francesco e gli angeli” (Edizioni Segno), Marcello Stanzione riporta gli episodi più noti.
Lottatore straordinario
Di fronte agli inganni del demonio, San Francesco invita i frati a sapersi difendere e a lottare con la fede e la preghiera. Nelle Fonti francescane viene evidenziata l’azione del Santo contro Satana, ritraendolo uomo forte e lottatore straordinario sia a difesa della propria persona, sia di quella degli altri.
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L’aggressione a Roma
È rimasto celebre il racconto ambientato nel palazzo del cardinale Leone a Roma, dove San Francesco era ospite e fu attaccato violentemente dal demonio fino a essere quasi mezzo morto. Gli attacchi non erano solo a livello morale o spirituale, ma erano diretti anche contro il corpo, in modo da tormentarlo fisicamente e farlo molto soffrire. Ma Francesco, munito di fede, si faceva tanto più forte e fervente nella preghiera quanto più violento era l’assalto dei nemici.
Umiltà contro arroganza
Le battaglie sembravano aumentare man mano che cresceva la perfezione del Santo, diventavano più acuti e tormentosi ma, San Francesco era consapevole che alla fine la vittoria è di colui che resta fedele a Cristo, non a Satana. Per questo motivo si rimetteva alla volontà di Dio con grande umiltà, sconfiggendo l’arroganza dei demoni, sostenendo che il loro potere possono esercitarlo solo nella misura in cui la mano di Dio lo concede. I demoni non sopportano una simile forza d’animo e si ritiravano sconfitti.
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Il pericolo malinconia
La gioia spirituale è un’arma potente contro Satana e i frati devono usarla. San Francesco, infatti, evitava con la massima cura la malinconia, il peggiore di tutti i mali, tanto che correva il più presto possibile all’orazione, appena ne sentiva qualche accenno nel cuore.
Alle volte Satana non potendo toccare il cuore gioioso del Santo, si serviva dei suoi compagni per suscitare in essi la malinconia e togliere la letizia; ma se i frati rimanevano nella gioia, Satana si ritirava sconfitto.
Gli esorcismi
Le Fonti riportano anche molti episodi in cui Francesco ha debellato il maligno che si era impossessato di creature umane o che le turbava fisicamente; ritenendo che il demonio poteva essere sconfitto vivendo conformemente al vangelo. Dunque il santo di Assisi fu anche un efficace esorcista.
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Al posto di Lucifero
Per la sua umiltà e per il suo ardente amore San Francesco divenne degno di occupare il seggio perduto in Paradiso da Lucifero, angelo di luce, divenuto per la sua superbia un angelo decaduto e ribelle.
San Bonaventura, biografo di Francesco, nella sua Leggenda maggiore, racconta di una visione avuta da un compagno del Santo, confermata poi dall’umiltà del Serafino d’Assisi:
«Francesco, tanto in se stesso quanto negli altri, preferiva l’umiltà a tutti gli onori e perciò quel Dio che ama gli umili lo giudicava degno della gloria più eccelsa, come mostrò la visione avuta da un frate, che era un uomo di singolare virtù e devozione. Questi, mentre era compagno di viaggio dell’uomo di Dio, pregando una volta con lui in una chiesa abbandonata, venne rapito in estasi».
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“Quel seggio è riservato a….”
Francesco vide nel cielo molti seggi e, tra essi, uno più splendido e glorioso di tutti gli altri, costellato di pietre preziose. Ammirando lo splendore di quel trono così eminente, cominciò a chiedersi ansiosamente chi mai fosse destinato a occuparlo. In mezzo a questi pensieri, udì una voce che gli diceva: “Questo seggio apparteneva a uno degli angeli precipitati ed ora è riservato per l’umile Francesco”.
Ritornato finalmente in sé, dopo quella preghiera estatica, seguì, alla solita maniera, l’uomo di Dio che stava uscendo dalla chiesa e aveva assistito all’estasi.
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“Sono il più gran peccatore”
Procedendo nel cammino, mentre si parlavano scambievolmente di Dio, prosegue Bonaventura, «quel frate, che aveva la visione ben impressa nella mente, colse abilmente l’occasione per chiedere a Francesco che opinione aveva di se stesso. E l’umile servo di Cristo gli disse: “Mi sembra di essere il più gran peccatore”.
Il frate gli replicò che, in tutta coscienza, non poteva né pensare né dire una cosa simile; ma il “poverello” spiegò: “Se Cristo avesse trattato il più scellerato degli uomini con la stessa misericordia e bontà con cui ha trattato me, sono sicuro che quello sarebbe molto più riconoscente di me a Dio”».
L’umile e il superbo
Ascoltando queste umili parole, conclude Bonaventura, «il frate ebbe la conferma che la visione era veritiera, ben sapendo che, secondo la testimonianza del santo Vangelo, il vero umile verrà innalzato a quella gloria eccelsa, da cui il superbo viene respinto» (FF 1111).
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