Lo scritto è rivolto ai suoi fratelli. “Linea dura” su Regola, povertà e Curia
Cosa ha scritto nel testamento, o meglio nei suoi due testamenti San Francesco d’Assisi? Quali “lezioni” ci ha lasciato il santo di Assisi?
Il “primo” testamento
In “La Regola e altri scritti” (edizioni San Paolo), Mariano da Alatri scrive che già a Siena Francesco, credendo ormai vicina la morte, aveva dettato un breve testamento.
«Scrivi che benedico tutti i miei fratelli, che sono nella religione e che vi verranno sino alla fine del mondo…
Poiché, per la debolezza e il dolore della malattia, non posso parlare, manifesto brevemente ai miei fratelli la mia volontà in queste tre parole, cioè: che in segno del ricordo della mia bene- dizione e del mio testamento si amino sempre vicendevolmente, amino e osservino la nostra signora la santa povertà, e siano sempre fedeli e sottomessi ai prelati e a tutti i chierici della santa madre Chiesa».
Il ritorno ad Assisi
Ma i suoi giorni si allungarono un poco, e tornato alla sua cara Porziuncola a Santa Maria degli Angeli, sul finire dell’estate 1226 fece fissare sulla carta il suo «ricordo, ammonizione ed esortazione» per i «fratelli benedetti», nell’intento di aiutarli a osservare «più cattolicamente» la regola promessa al Signore.
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La “Carte d’identità” di Francesco
Il Testamento è la carta d’identità di Francesco, in cui egli presenta se stesso e il suo ideale. In particolare Francesco dice ai suoi fratelli di rispettare la Regola francescana fino alla loro morte; evidenzia inoltre il rispetto dovuto ai sacerdoti, l’obbligo del lavoro, la povertà delle dimore, la proibizione di chiedere privilegi alla curia romana.
Chiese povere e nessun aiuto dalla Curia
«I fratelli – dice Francesco – si guardino assolutamente dall’accettare le chiese, le abitazioni poverelle e tutte le cose che per essi si fabbricano, se non fossero conformi alla santa povertà che nella regola promettemmo, sempre ivi dimorando come stranieri e pellegrini. Comando fermamente per obbedienza a tutti i fratelli che, ovunque siano, non ardiscano chiedere lettera alcuna alla curia romana, sia direttamente che per interposta persona, né per una chiesa, né per altro luogo, né sotto pretesto di predicazione, né per la persecuzione di cui siano oggetto i loro corpi; ma, ovunque non siano stati accolti, fuggano in un’altra terra a fare penitenza con la benedizione di Dio».
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L’obbligo di obbedire ai propri superiori
Prosegue Francesco: «Fermamente voglio obbedire al ministro generale di questa fraternità e ad altro guardiano che gli sarà piaciuto darmi. E talmente voglio esser preso nelle sue mani, che io non possa andare o fare oltre l’obbedienza e volontà sua, perché è il mio padrone. E quantunque io sia semplice e infermo, nondimeno voglio sempre avere un chierico che mi faccia l’officio come è prescritto nella regola. E tutti gli altri fratelli così siano tenuti a obbedire ai loro guardiani e a fare l’officio secondo la regola».
Nessuna altra regola
«E non dicano i fratelli: “Questa è un’altra regola“; poiché questo è ricordo, ammonizione, esortazione e il mio testamento, che io, fratello Francesco piccolo, lascio a voi, fratelli miei bene- detti, per questo: affinché più cattolicamente osserviamo la regola che abbiamo promesso al Signore. E il ministro generale e tutti gli altri ministri e custodi siano tenuti per obbedienza a nulla aggiungere o togliere a queste parole. E abbiano sempre con sé questo scritto accanto alla regola».
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La mano del Signore
Il santo, morente, sottolinea che «il Signore mi ha detto di dire e scrivere, semplicemente e puramente, la regola e queste parole, così voi semplicemente e senza glossa intendetele e con santa operosità osservatele sino alla fine».
«E chiunque queste cose avrà osservate – conclude Francesco – sia colmato in cielo della benedizione dell’altissimo Padre e in terra della benedizione del suo diletto Figlio col santissimo Spirito Paraclito e con tutte le virtù dei cieli e con tutti i santi. E io, fratello Francesco piccolo, vostro servo, quanto posso, vi confermo, dentro e fuori, questa santissima benedizione». Così si chiude il testamento del “poverello d’Assisi”.
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