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Perché la Chiesa ci invita a pregare i santi?

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Toscana Oggi - pubblicato il 29/10/18
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Perché rivolgersi a loro anziché direttamente a Dio? Una domanda particolarmente attuale in questi giorniPerché la Chiesa ci invita a pregare i santi? Perché rivolgersi a loro anziché direttamente a Dio?

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Risponde don Diego Pancaldo, docente di Teologia spirituale alla Facoltà teologica dell’Italia Centrale.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica, al n. 2683, afferma che «i testimoni che ci hanno preceduto nel Regno, specialmente coloro che la Chiesa riconosce come santi, partecipano alla tradizione vivente della preghiera, mediante l’esempio della loro vita, la trasmissione dei loro scritti e la loro preghiera oggi». Proprio per il fatto che contemplano Dio, proprio perché così vicini a Dio «essi non cessano di prendersi cura di coloro che hanno lasciato sulla terra.. La loro intercessione è il più alto servizio che rendono al Disegno di Dio. Possiamo e dobbiamo pregarli di intercedere per noi e per il mondo intero»; al n. 956 il CCC sottolinea, riprendendo Lumen Gentium 49, che i Santi «non cessano di intercedere per noi presso il Padre, offrendo i meriti acquistati in terra mediante Gesù Cristo, unico Mediatore tra Dio e gli uomini. La nostra debolezza è quindi molto aiutata dalla loro fraterna sollecitudine».



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Al n. 957 si sottolinea il carattere di questa Comunione fraterna: «Poiché come la cristiana comunione tra coloro che sono in cammino ci porta più vicino a Cristo, così la comunione con i santi ci unisce a Cristo, dal quale, come dalla fonte e dal capo, promana tutta la grazia e tutta la vita dello stesso popolo di Dio». Lumen Gentium al n. 50, prosegue così: «Da ciò risulta sommamente giusto che amiamo questi amici e coeredi di Gesù Cristo ed anche nostri fratelli e insigni benefattori e che per essi rendiamo le dovute grazie a Dio, che rivolgiamo loro supplici preghiere e ricorriamo alle loro preghiere ed al loro potente aiuto per impetrare grazie da Dio mediante il figlio suo Gesù Cristo, il quale solo è il nostro Redentore e Salvatore. Infatti ogni nostra autentica attestazione di amore fatta ai santi per sua natura tende e termina a Cristo che è la corona di tutti i santi e per Lui a Dio, che è mirabile nei suoi santi ed in essi è glorificato».



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La Chiesa dunque ci invita a considerare come la cooperazione dei santi sia orientata ad accrescere la vita soprannaturale delle altre membra per avere un contatto più ricco con Cristo, del cui splendore inesauribile sono un riflesso. Essi infatti non sono «esseri separati e disgiunti da Cristo, bensì persone che sono di Cristo: vere persone a cui possiamo rivolgerci e che possiamo amare, ma persone in cui Cristo vive e che, vivificate da Lui, contribuiscono in un modo preminente a costituire insieme a Lui, capo, il Cristo totale» (Molinari). San Tommaso D’Aquino sottolinea che «la devozione verso persone sante, vive o defunte, non ha il suo termine in esse, ma in Dio: poiché nei servi di Dio veneriamo Dio stesso» (S.T.,II-II, 82,2 ad 3).



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La preghiera ai santi, dunque si orienta a Dio. La Chiesa li venera come servi di Dio (dulìa) che ci conducono a Dio, a cui va la nostra adorazione (latrìa). Essi sono nostri amici e familiari, membra vive del Corpo mistico di Cristo, dove «le anime dei fedeli si incontrano superando le barriere della morte, pregano le une per le altre, realizzano nella carità un intimo scambio di doni» (Benedetto XVI, Angelus 1-11-2005).

Hans Urs von Balthasar, contestando una tendenza che ne svalutava l’importanza, affermava in un suo scritto sulla liturgia «se attraverso il loro scomparire Dio venisse davvero amato più profondamente e meglio venerato, questo farebbe loro (ai santi) molto piacere e sarebbero completamente d’accordo. Resta invece da chiedersi se noi senza la loro luce vedremmo Dio più chiaramente. Io penso di no. Dovremmo nuovamente mettere la loro fiaccola sopra il moggio per non incespicare nel buio della notte. Poiché nella luce dei Santi, che del resto è solo la luce di Dio nel mondo, noi vediamo la luce».

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