Martedì 30 ottobre è stato pubblicato il rapporto «Living Planet Report 2018: Aiming higher»«Siamo la prima generazione a sapere che stiamo distruggendo il nostro pianeta e l’ultima che può farci qualcosa.» Con queste parole forti la CEO o amministratrice delegata del WWF Regno Unito, Tanya Steele, ha commentato il nuovo rapporto diffuso martedì 30 ottobre dal World Wide Fund for Nature, chiamato anche semplicemente World Wildlife Fund (WWF).
Nel documento, che porta il titolo Living Planet Report 2018: Aiming higher, la nota organizzazione internazionale con sede in Svizzera lancia una sorta di appello last minute a favore della protezione dell’ambiente e della biodiversità, sempre più minacciati dall’attività (e dall’avidità) dell’uomo e dal riscaldamento globale.
Non possiamo fare a meno della natura
Sfogliando il rapporto si ha infatti l’impressione che forse è tardi, ma per fortuna non ancora troppo per agire e prendere decisioni coraggiose per affrontare la sfida globale di preservare e salvaguardare il nostro Pianeta o la nostra «casa comune», come l’ha chiamato papa Francesco nella sua enciclica Laudato si’, resa pubblica ormai più di tre anni fa, nel maggio 2015.
Il documento denuncia infatti lo sfruttamento distruttivo e senza scrupoli della natura da parte dell’uomo, fino a mettere in pericolo la stessa sopravvivenza della specie umana. «Ora che abbiamo il potere di controllare e persino danneggiare la natura, continuiamo a usarla come se fossimo cacciatori e raccoglitori di 20.000 anni fa, con la tecnologia del XXI secolo», ha dichiarato a sua volta il direttore generale di WWF, l’italiano Marco Lambertini, citato dalla CNN.
L’intera umanità infatti dipende dalla natura e dalle sue risorse, che del resto non sono interminabili. La natura, così ricorda il rapporto, ha una «incalcolabile importanza per tanti aspetti della nostra vita, compresa la nostra salute e il benessere, l’approvvigionamento alimentare, la ricchezza e la sicurezza».
Secondo le stime degli esperti dell’IUCN (International Union for the Conservation of Nature), tra 50.000 e 70.000 piante medicinali e aromatiche vengono ad esempio usate industrialmente, rivela il rapporto del WWF. Inoltre, almeno il 70% dei nuovi farmaci a piccola molecola introdotti negli ultimi 25 anni derivano o sono stati ispirati da una fonte naturale, continua il documento.
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La «Grande Accelerazione»
Secondo il rapporto, il globo è entrato pienamente in ciò che viene chiamata «l’era geologica dell’antropocene» e l’umanità sta vivendo la «Grande accelerazione», «un evento unico» nella storia del pianeta, che ha visto crescere la popolazione mondiale dal 1800 ad oggi di sette volte, superando quota 7,6 miliardi di persone, e l’economia globale di 30 volte.
Anche se questo ha portato dei benefici – l’aspettativa di vita media globale ha superato la soglia dei 70 anni e malattie come il vaiolo sono state sradicate –, il prezzo da pagare è stato ed è molto alto. «Il nostro impatto ha raggiunto ora una scala in cui interferisce profondamente con l’atmosfera terrestre, le calotte glaciali, l’oceano, le foreste, la terra e la biodiversità», così scrivono gli autori. In solo mezzo secolo, si è perso quasi un quinto della foresta amazzonica, chiamata «i polmoni del pianeta».
Mentre nel corso degli ultimi 50 anni l’impronta ecologica dell’umanità – un indicatore che permette di misurare il consumo delle risorse naturali della Terra – è aumentata del 190% circa, in particolare il fenomeno della deforestazione ha contribuito alla perdita di biodiversità.
Il 60% delle popolazioni di vertebrati è scomparsa
Le foreste infatti non solo sono in grado di ridurre l’impatto del riscaldamento globale, immagazzinando gas ad effetto serra come lʼanidride carbonica (CO2) o riducendo le conseguenze di inondazioni e frane, ma sono anche tra gli ecosistemi più ricchi del pianeta. Anche se le foreste – tropicali, temperate e boreali – coprono meno del 30% della superficie terrestre, ospitano comunque più dell’80% di tutte le specie terrestri di animali, piante e insetti.
Le foreste vengono tagliate soprattutto per cedere spazio all’agricoltura commerciale su larga scala – ad esempio le piantagioni di palme da olio o di canna da zucchero – e a quella locale di sussistenza, ma anche per l’urbanizzazione, per le infrastrutture e infine per le attività estrattive. Studi hanno confermato, così sottolinea il rapporto del WWF, che il sovrasfruttamento e l’agricoltura sono i fattori principali dietro al declino della biodiversità.
Infatti, afferma l’ONG, l’estinzione di specie di piante, anfibi, rettili, uccelli e mammiferi dal 1500 in poi, era in tre quarti dei casi attribuibile al sovrasfruttamento e all’attività agricola. Dai dati del Living Planet Index – un indice realizzato dal WWF in collaborazione con la Zoological Society of London che rivela
lo stato della biodiversità a livello globale – emerge ad esempio che dal 1970 al 2014 le popolazioni di vertebrati sono calate in media del 60%.
Il declino più drammatico è avvenuto nelle zone tropicali dell’America meridionale e centrale: l’89% dal 1970. Inoltre, continua il rapporto, le popolazioni di specie che vivono in habitat di acqua dolce sono calate dell’83%.
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Impollinatori, inquinamento del suolo…
Il WWF dedica anche spazio al declino degli impollinatori, che giocano un ruolo fondamentale ma spesso ignorato. Gli impollinatori più conosciuti sono le api, sia quelle addomesticate che quelle selvatiche – le specie di api da non allevamento sono oltre 20.000 –, ma ci sono anche i bombi, le farfalle ed altri insetti, e persino alcuni uccelli e pipistrelli.
Come ricorda il Living Planet Report, gli impollinatori sono infatti fondamentali per più di un terzo, cioè il 35%, della produzione alimentare globale, tra cui molti frutti e tipi di verdure, cruciali anche per il loro apporto di micronutrienti. «Economicamente, l’impollinazione aumenta il valore globale della produzione agricola di miliardi di dollari l’anno solo per i coltivatori e mantiene bassi i prezzi per i consumatori garantendo offerte stabili», si legge nel rapporto.
Mentre la perdita di impollinatori e il collasso di colonie di api ha quindi un impatto negativo sulla produzione alimentare, questo vale anche per la vita presente nel sottosuolo. «Un quarto di tutta la vita sulla Terra può essere trovato sotto i nostri piedi», così ricorda il rapporto del WWF. I vari microrganismi e la fauna – dalla microfauna alla megafauna (come le talpe) – influenzano la struttura fisica e la composizione chimica del suolo, spiega l’ONG.
Appello a favore di patto globale
Mentre il rapporto si sofferma anche sulla salute degli oceani e sul problema della plastica – ben il 90% degli uccelli marini ha ingerito pezzi di plastica, rispetto al 5% nel 1960 –, gli autori propongono una Roadmap o un patto internazionale simile a quello sul clima per contrastare la perdita della biodiversità e fermare l’estinzione delle specie, la quale avviene ormai ad un tasso da 100 a 1.000 volte più alto rispetto a quella detta «di fondo» o background (prima dell’avvento dell’uomo).
«È fondamentale un accordo globale, ambizioso ed efficace per la natura e la biodiversità, come è avvenuto per il cambiamento climatico in occasione della Conferenza di Parigi nel 2015», ha dichiarato Donatella Bianchi, presidente del WWF Italia.
Il WWF ha espresso del resto lunedì 29 ottobre forte preoccupazione per una circolare resa pubblica dalle autorità cinesi, che dopo un divieto introdotto nel 1993 legalizza l’uso di corni di rinoceronte e ossa di tigre, a condizione che provengano da animali allevati in cattività.
«È profondamente preoccupante il fatto che la Cina abbia annullato un divieto, durato 25 anni, sulla commercializzazione di ossa di tigre e corno di rinoceronte», così ha dichiarato Margaret Kinnaird, capo del WWF Wildlife Practice, la quale ha avvertito delle «conseguenze devastanti a livello globale» della legalizzazione.