Danimarca: espulsi due collaboratori di Huawei
La Danimarca ha ordinato lunedì 4 febbraio l’espulsione di due dipendenti del colosso cinese delle telecomunicazioni Huawei. La decisione è stata presa dopo «un controllo di routine dei permessi di soggiorno e di lavoro», scrive il South China Morning Post, che cita fonti della polizia a Copenaghen. Secondo le autorità danesi, l’ordine di espulsione non sarebbe «in alcun modo» legato a eventuali sospetti di spionaggio. I due dipendenti di Huawei erano semplicemente privi dei necessari documenti, ha dichiarato la polizia.
Come fa notare il quotidiano di Hong Kong, la mossa danese è avvenuta proprio lo stesso giorno in cui un altro Paese nordico, la Norvegia, ha messo in guardia da Huawei, a causa dei «legami stretti» dell’azienda di Shenzhen con il regime cinese. A lanciare l’avvertimento è stato il capo del servizio di intelligence e di sicurezza interna PST, Marie Benedicte Bjørnland, in occasione della presentazione del rapporto sui rischi per la sicurezza nazionale nel 2019.
Mentre l’ambasciata cinese a Oslo ha respinto come «ridicola» la messa in guardia da parte della Bjørnland, così rivela sempre il South China Morning Post, anche le autorità di un terzo Paese nordico, la Svezia, hanno espresso preoccupazione per l’attività cinese. A gennaio, la Defence Research Agency (FOI), che dipende dal ministero della Difesa di Stoccolma, ha infatti avvertito che il Paese affronta una «crescente sfida securitaria» da parte della Cina. Secondo le autorità svedesi, in particolare la China Remote Sensing Satellite North Polar Ground Station costruita nel 2016 a Kiruna, oltre il circolo polare artico, potrebbe essere usata per scopi di intelligence militare.
Anche in Argentina, riporta La Nación, crescono i timori per l’utilizzo militare della stazione spaziale costruita dalla Cina nella provincia di Neuquén, Patagonia. Il quotidiano argentino descrive la stazione come «una “scatola nera” senza controllo».
Messico: AMLO avvia piano per cercare oltre 40.000 persone «desaparecidas»
Il governo del nuovo presidente del Messico, Andrés Manuel López Obrador (detto anche AMLO), ha avviato lunedì 4 febbraio un piano per cercare gli oltre 40.000 «desaparecidos», che conta ufficialmente il Paese latinoamericano. «Si tratta di un bilancio doloroso e terribile della politica economica neoliberale», così ha dichiarato López Obrador durante la consueta conferenza stampa mattutina, che inizia ogni giorno alle ore 07.00, come ricorda il quotidiano ABC. «Il nostro territorio si è trasformato in un’enorme fossa clandestina», così ha ammesso il sottosegretario per i diritti umani presso la «Secretaría de Gobernación» (o ministero degli Affari interni), Alejandro Encinas.
Come osserva il quotidiano spagnolo, nessuno infatti conosce il numero esatto delle persone «desaparecidas» in Messico. Per paura di rappresaglie da parte dell’onnipresente criminalità organizzata, i parenti delle vittime spesso non hanno sporto denuncia. Secondo le stime delle ONG, la cifra reale sarebbe molto più elevata e potrebbe superare quota 300.000. Si calcola che dal 2006, cioè l’anno in cui l’allora presidente Felipe Calderón lanciò la sua guerra contro i «narcos», ci sono stati circa 223.000 omicidi dolosi in Messico. Secondo Encinas, citato da El Mundo, attualmente sono state scoperte nel Paese più di 1.100 fosse clandestine, mentre i corpi non identificati nei servizi forensi sono circa 26.000.
Brexit: l’impatto colpirà anche i Paesi in via di sviluppo
L’impatto potenziale della Brexit non si limiterà al Regno Unito o all’Unione Europea, ma può costituire anche una minaccia per quei Paesi in via di sviluppo che dipendono dal commercio con la Gran Bretagna, così avverte la CNN in un articolo pubblicato lunedì 4 febbraio, che cita uno studio del German Development Institute (DIE).
Secondo le simulazioni condotte dal pensatoio tedesco con sede a Bonn, che esorta il governo di Westminster ad agire «per mitigare gli effetti negativi sui Paesi economicamente vulnerabili», l’uscita del Regno Unito dall’UE minaccia 1,7 milioni di persone in tutto il mondo con povertà estrema e colpirà soprattutto la Cambogia. Mentre oggi il 7,7% delle esportazioni del Paese asiatico sono destinate al mercato britannico, la Brexit potrebbe comportare un calo dell’1,08% del Prodotto Interno Lordo (PIL) reale cambogiano. Un altro Paese povero che può risentire fortemente della Brexit è il Malawi.
Nel frattempo si allunga la lista delle grandi compagnie o aziende che a causa della Brexit annunciano di spostare una parte della loro attività o produzione in altri Paesi o limitano i loro investimenti nella Gran Bretagna. Uno «choc» lo ha provocato senz’altro l’annuncio da parte del noto costruttore di automobili Nissan di cancellare il suo progetto di costruire il nuovo modello del suo SUV X-Trail a Sunderland, nel nord-est dell’Inghilterra. La produzione verrà spostata a Kyushu, in Giappone, ha annunciato il capo di Nissan Europa, Gianluca de Ficchy. Secondo il manager, «l’incertezza sulle future relazioni del Regno Unito con l’UE non aiuta le imprese come la nostra a pianificare il futuro».
Francia: più del 7% dei cittadini della fascia 18-75 anni ha già tentato il suicidio
«I dati pubblicati martedì 5 febbraio da Santé Publique France in occasione della 23esima Giornata Nazionale per la Prevenzione dei Suicidi non sono buoni», così osserva Le Monde. Nel corso del 2017, il 7,2% dei francesi della fascia d’età compresa tra i 18 e i 75 anni, cioè più di tre milioni di persone, ha infatti dichiarato di aver tentato almeno una volta di togliersi la vita. Inoltre, quasi un francese su 20, cioè il 4,7% ha pensato a suicidarsi nell’arco degli ultimi dodici mesi e lo 0,39 % ci ha anche provato.
«Particolarmente allarmanti» sono i dati relativi alla popolazione di sesso femminile. Quasi una donna francese tra i 18 e i 75 anni, ossia il 9,9 %, ha dichiarato nel 2017 infatti di aver tentato il suicidio nell’arco della propria esistenza, rispetto al 4,4% dei maschi. Quest’ultimi però, scelgono i metodi «più letali», il che spiega perché gli uomini costituiscano tre quarti dei 8.948 decessi per suicidio registrati nel 2015 (ultimi dati disponibili), un dato pressoché stabile rispetto al 2014, quando erano infatti 8.885.
Un aumento «preoccupante» dei pensieri suicidi è stato registrato tra gli adolescenti, scrive a sua volta Le Figaro, che riprende i dati diffusi lunedì 4 febbraio sul Bulletin Epidémiologique Hebdomadaire (BEH). Infatti, all’età di 17 anni, quasi il 3% degli adolescenti ha alle spalle già un tentativo di suicidio che ha richiesto un ricovero ospedaliero, e più di uno su 10 ha nutrito pensieri suicidi nel corso dell’anno.
India: compensi da fame per chi lavora a casa per il settore dell’abbigliamento
Dopo aver portato i suoi bambini a letto, inizia per Mehala Sekar quell’altra giornata lavorativa, quella che condivide con la sua macchina da cucire. La donna e madre di tre figli, che vive a Tirupur, nello stato del Tamil Nadu, nell’India meridionale, lavora infatti a casa per un’impresa della fiorente ma purtroppo poco trasparente industria indiana dell’abbigliamento. Per ogni capo ultimato, Sekar riceve meno di una rupia indiana (vale a dire 0,0141 dollari).
Come milioni di altri lavoratori «invisibili», anche Sekar è vittima del «dilagante» sfruttamento nel settore tessile. Mentre 12 milioni di cittadini indiani lavorano nelle fabbriche tessili, un altro esercito composto da milioni di operai svolge la sua attività direttamente a casa, così ricorda il South China Morning Post, che cita uno studio realizzato dalla University of California e pubblicato venerdì 1° febbraio. Dalla ricerca emerge che la maggioranza delle donne e ragazze che lavorano a casa per il settore tessile indiano appartengono a comunità minoritarie o emarginate.
Per la sua ricerca, l’autore, Siddharth Kara, ha intervistato 1.452 persone che lavorano nei cosiddetti «garment hubs» dell’India meridionale e settentrionale. Mentre i salari «anemici» variano da 0,13 a 0,15 dollari l’ora, il lavoratore più giovane contemplato nell’indagine aveva solo 10 anni. L’85% circa lavorava esclusivamente per il settore delle esportazioni di prodotti tessili verso l’UE e gli USA. Il ministero indiano del Lavoro e dell’Occupazione ha promesso di effettuare entro la fine del 2019 un censimento di tutti i lavoratori non organizzati, inclusi quelli del settore tessile, e garantire loro un accesso ai sistemi di sicurezza sociale.