Grazie a Lucia Massolo, che ha pazientemente trascritto la strepitosa catechesi fatta il 19 gennaio a San Giovanni da Suor Fulvia Sieni sul monachesimo dei laici, possiamo mettere a disposizione di tutti questo compendio di sapienza e bellezza. Ascoltarla, guardandole gli occhi brillare, è stato davvero bello, ma rileggerla lo è forse anche di più, perché c’è davvero tanto, tanto qui dentro, e vale la pena tornarci su, con calma. Fermarsi a metà frase, tornare indietro, ripartire.Ndr: i titoli dei paragrafi sono del redattore Aleteia For Her e non sono dell’autore della catechesi; sono inseriti solo per aiutare nella lettura del testo.
di Suor Fulvia Sieni
Saluto e introduzione
Il benvenuto ve l’ha dato il vescovo, io vi dico che trovarci qui, in questa Chiesa – Basilica- che è la madre di tutte le Chiese ha un fortissimo valore simbolico, perché siamo accolte oggi nel grembo della Chiesa Madre, per essere generate a vita nuova, per essere, speriamo, dopo questa giornata, ripartorite da questo grembo meraviglioso che è la Chiesa, che sempre ci è madre, a una vita rinnovata, risorta.
Sono con noi, e prima di noi, questi dodici signori che avete attorno a voi, che sono i dodici apostoli, grandi (quindi non potete non vederli) ed è solo grazie a loro che la Chiesa è arrivata fino a noi oggi. Sono le dodici colonne, è il collegio apostolico, che ha fatto si che la fede arrivasse fino a noi, a prezzo del loro sangue. Questa Basilica è una catechesi, un’architettura particolarissima, vedete che questi dodici apostoli sono posizionati davanti a delle porte – sembrano chiuse, ma vi dico che sono aperte- sono le porte, le dodici porte della Gerusalemme celeste e loro ci danno il benvenuto, sono lì per apricele queste porte e per farci entrare.
E quindi è bellissimo per me, ma penso per tutte voi, sentirci comunione con tutta la Chiesa, con il collegio apostolico, prima di tutto, con la cattedra di Pietro, di cui siamo ospiti. Cattedra non è quella della scuola, la cattedra è la sedia (da cui il nome cattedrale), cioè la cattedrale è la Chiesa che contiene la sedia del Vescovo, da cui si dipartono gli insegnamenti, il magistero. E’ decisamente inappropriato che io stia qui a dirvi qualcosa, però il Signore ha fatto questa cosa qua e noi la prendiamo dalle Sue mani, così com’è venuta.
La vocazione monastica per noi che viviamo nel mondo. Cosa significa e come si vive?
Mi dicono che siete qui perché avete la vocazione monastica (così mi ha detto Costanza!) cioè che voi sentite la vocazione al monachesimo. Questo potrebbe essere un problema, perché dovremmo costruire… ma un monachesimo speciale che avete riconosciuto in monastero particolare che chiamate wi-fi. Giusto? Allora siamo qui per fare discernimento, se la vostra vocazione è vera, è una vera vocazione al monachesimo. Io non mi interrogo più sulla mia, ormai mi “tocca” stare in monastero (dove vado? Ormai non ho più chance nella vita…mi tocca fare la monaca!), ma voi forse potete ancora rifletterci!
Io vi dirò poche cose, perché ne so pochissime, qualcuna l’ho copiata dai padri della Chiesa e prima di tutto vorrei ridirvi (non dirò cose nuove, ma -spero- cose vere), perché voi ci pensiate bene, cos’é un monastero e chi è una monaca. So che avete già riflettuto sul fatto che monaco, monaca, monastero viene da una parola greca che è μόνος (monos) che dice un’unità.
Traduce solo e si fa riferimento al cuore, indiviso. Il monaco, la monaca è colei che ha il cuore indiviso, ha il cuore unificato. Vi annuncio che questa persona non esiste, nessuno di noi ha uno status unificato in sé, ma il monachesimo, quindi l’unificazione del cuore, è un processo che dura tutta la vita, per cui la monaca più propriamente è una peccatrice perdonata, è una che combatte ogni giorno per avere un cuore unificato, quindi la monaca non esiste, esiste una donna che cammina più o meno faticosamente per unificare il cuore, e vedremo di che si tratta. Ma, e qui dobbiamo uscire da un equivoco, potremo pensare che la monaca è una, sola, che vive cuore a cuore con Dio intimamente (c’è questo modo così, che “se la canta e se la suona” si dice a Roma).
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I padri della Chiesa quando parlavano di monos, uno su tutti Agostino, alla parola monaca non davano questa accezione di uno solo con Dio (e felice), ma la attribuivano, risalivano agli Atti degli Apostoli dove si dice che la moltitudine di coloro che erano diventati credenti erano un cuore solo e un’anima sola. Allora monos non è uno solo, una sola fra sé e sé, e Dio appiccicato da qualche parte, ma quando si parla di monachesimo si parla di comunione, si parla di Chiesa, si parla di qualcosa che non ha a che fare con una solitudine vissuta per sé stessa, ma con una comunione di credenti, una moltitudine. Siccome non pensiate che io mi inventi le cose, Agostino dice così:
“In realtà monos significa “uno”, sebbene non uno in qualsiasi caso. “Uno” infatti può si può dire anche di chi è immerso tra la folla, un singolo, un individuo; ma “uno” si può dire anche di chi si trova insieme a molti, ma di lui non si può dire propriamente che è monos, cioè solo, monos infatti significa uno solo. Eccovi ora della gente che vive nell’unità, al segno di costituire un solo uomo, gente che veramente ha un cuore solo e un’anima sola. Molti sono i corpi, molte sono le anime, molti corpi, ma non molti cuori. Di costoro giustamente si afferma che sono monos”.
Non soli, ma in comunione. Non unificati ma in cammino per diventarlo
Quindi abbiamo un problema, noi credevamo che la nostra spiritualità, le nostre devozioni, la nostra fede ce la potevamo vedere tra me e Dio e invece l’insegnamento della Chiesa ci dice che la fede se non è condivisa, non è. Cioè non esiste la TUA fede, il TUO Dio, ma esiste un Dio che si è rivelato nella storia, alla quale tu hai accesso attraverso una comunione molto più grande di te. Noi siamo qui appunto in questo grembo, in questa Chiesa e non stiamo costituendo noi la Chiesa, la Chiesa ci precede e noi possiamo essere qui perché Qualcuno ha dato la vita, ha dato il Suo sangue perché noi fossimo qui oggi.
Allora c’è una comunione, c’è però una solitudine, allora ci sono delle contraddizioni nella vita di una monaca, cioè devo stare in comunione o devo stare sola? Devo stare in silenzio o devo annunciare? Devo condividere oppure trattenere?
Papa Francesco: la vostra vita di monache non è un equilibrio precario ma una tensione vitale
Quando nel 2015 Papa Francesco ha indetto l’anno della vita consacrata, con la diocesi di Roma abbiamo avuto in dono una giornata da trascorrere con il Santo Padre per fare a lui delle domande. Noi, come comunità, siamo state invitate a fare una domanda a nome di tutte le monache d’Italia e gli abbiamo chiesto:
Santità, ma come si fa nella vita monastica a tenere insieme il silenzio e la Parola, a tenere insieme l’annuncio e il nascondimento, la solitudine e la comunione?
Papa Francesco ci ha risposto così:
Lei (a una monaca che gli faceva la domanda) parla di un delicato equilibrio tra nascondimento e visibilità -noi ingenuamente chiedevamo qual è il punto di equilibrio tra questo monos e questa moltitudine- io dirò di più (cioè non è un equilibrio), è una tensione, la vocazione monastica è questa tensione, tensione nel senso vitale, tensione di fedeltà, l’equilibrio si può intendere con un bilanciamento (un po’ di qua, un po’ di là), invece la tensione è la chiamata di Dio verso la vita nascosta e la chiamata di Dio a farsi visibili, ma come deve essere questa visibilità e come deve essere questa vita nascosta? Questa è una tensione che voi dovete vivere nella vostra anima, questa è la vostra vocazione: voi siete donne in tensione.
Cioè non ci ha detto voi siete donne tese (quello sono capaci tutti a dircelo!), non ha detto voi avete un disturbo d’ansia! No, voi siete donne in tensione, cioè c’è un continuo ritrovare, un continuo fare un passo verso un disequilibrio e recuperare.
Nè intimismo, nè controllo, nè affanno: Dio solo basta, dice S. Teresa
E’ lontanissima dalla vita spirituale questo intimismo in cui tante volte ci chiudiamo, è altrettanto lontana dalla vita spirituale questa mania del controllo, questo essere sempre affaticate perché ci sfugge la cosa (che è tipico del femminile).
Piuttosto il Papa ci annuncia una felice tensione… ma il Papa è un uomo! Si può dire “Lui non ci capisce!”, perché gli uomini a volte non ci capiscono (ma il Papa no, il Papa capisce tutto!). Allora volevo citarvi una donna, una super donna! Invochiamo Santa Teresa d’Avila, monaca, santa, eccezionale, molto normale, se voi leggete la sua vita ve la fate sorella, amica! Noi di santa Teresa sappiamo che il suo mantra era “Dio solo basta”.
Questa cosa credete di saperla tutte, Dio solo basta, quindi sola, prega, in silenzio, clausura rigida, niente uomini, per carità! Questa tensione del Papa sembra non esserci in Santa Teresa, cioè lei aveva capito tutto, basta Dio, e stiamo a posto. Teresa alle sue sorelle, che poi sono le sue figlie, scrive così in una lettera, invoca e dice:
“O mio Dio, concedete anche a me di essere amata da molti. Sorelle, se trovate qualcuno che sia animato da questo amore prego la priora di fare il possibile per procurarvi di parlare, di trattare con lui; allora amatelo quanto volete. Tuttavia il Signore, anche se queste anime sono poche, non mancherà di farvene conoscere. -E allora voi mi direte: non è necessario, vi basta avere per amico Iddio (l’ha detto lei, Dio solo basta!)- Ma io vi rispondo che mezzo eccellente per godere Dio, è appunto l’amicizia con i suoi amici. So per esperienza che se ne ricava sempre un grande vantaggio”.
Ecco la tensione di cui parla Papa Francesco, queste donne tese, come un arco che, dice la Scrittura, se è allentato, fallisce il bersaglio. Questa tensione, che è tutta da vivere nella vita spirituale, ma nella realtà, è nelle nostre corde. La monaca non è una donna rilassata sul morbido, questa donna in natura non esiste e non esiste neanche nella sovra natura! Perché la grazia presuppone la natura, allora esiste una donna diremo pro-tesa, cioè tesa a favore di qualcosa, che vive la sua vita normale in questa continua tensione. E’ evidente che è una fatica e che il Papa dice, nell’ultima frase:
In questo la prudenza, il discernimento vi farà capire quanto tempo va a una cosa e quanto tempo a un’altra.
L’importante è non perdere di vista che ci sono queste cose da vivere nella vita: la preghiera e preparare il pranzo per i tuoi figli, il marito e, forse, un rosario da recitare. Ma le monache non sono le parrocchione, io non so se avete presente quelle donne che, chissà perché, frustrate da qualcosa si piazzano in parrocchia e diventano il vice parroco. Ma non è questa la vocazione che dobbiamo vivere!
Il vice parroco lo farà il vice parroco, lo farà lui! Come noi la chiamiamo la sindrome del bidello, che siccome pulisce il corridoio, se tu uscivi dalla classe dovevi rendere conto a lui, questa è una specie di mania del controllo… a ognuno il suo posto! La tua vita in questa tensione, questa è la vita monastica! Quando i Padri parlano del combattimento si tratta di questo. Cuore indiviso, ma libero dalla dispersione. In realtà la dispersione è il vero contrario della felicità. Il contrario della felicità non è la tristezza, si può essere tristi, legittimamente, per molti motivi, eppure avere la pace e la gioia del cuore. Il contrario della felicità è la dispersione, quando fai mille cose e non ne fai bene una, stai sempre a rincorrere tempo, gratificazioni e non ti gratifichi mai, non ti basta mai.
Monache sì, ma di un monastero wi-fi
Seconda cosa, volete fare le monache -bellissimo- in un monastero wi-fi. E’ bello, bello anche questo. Io ho dovuto studiare, perché io sono in monastero da un po’ di tempo e sono entrata in monastero quando a casa c’era il modem che faceva quel rumore (e allora papà sentiva che ti stavi connettendo e era proprio una fatica!). Del wi-fi non si accorge nessuno, wi-fi mi dicono che significa wireless fidelity. “Fidelity”, fedeltà senza fili.
Di per sé è un concetto bellissimo, fedeltà: la fedeltà piace a tutti, tutti preferiamo un’amica fedele, un marito fedele, un cagnolino fedele, soprattutto Dio fedele (che è la nostra unica salvezza). Quindi la fedeltà la conosciamo da subito, già da piccole, direi anche per negazione, chi di noi non ha delle ferite, non ha gustato l’amaro di un’amichetta chiacchierona, di un fidanzatino un po’ così; per le più addolorate tra di noi di un tradimento serio, di un marito in un matrimonio. Quindi la fedeltà ci piace, la desideriamo per la nostra vita. Meno siamo capaci di viverla noi, ma dagli altri la desideriamo sempre, quindi non ci sono dubbi. Fedeltà in monastero si traduce con stabilità. Stabilità viene dal verbo stare, che nella scrittura si traduce anche con rimanere, dimorare, riposare. Finalmente ha a che fare con la pace.
La stabilità, la fedeltà, la dimora, il rimanere ha a che fare in Dio con il riposo e la pace e poi wireless, senza fili. Ha a che fare, o almeno a me veniva in mente, questo grande senso di libertà e di infinito, che sono due parole religiosissime, come altre che sono mutuate nel web: comunità, è una parola cristiano-cattolica, condivisione è una parola cristiano-cattolica, così infinito, libertà. Libertà è una parola interessantissima nell’annuncio del Vangelo.
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Chiostro e clausura, fondamenti della vita monastica
Ma chiediamoci se è possibile una libertà, vivere una libertà senza fili, cioè senza limiti, senza legami, se è possibile una stabilità senza confini. Io adesso vi devo parlare di due cose fondamentali nella vita monastica, che sono la clausura e il chiostro. Fa impressione perché molte di voi penseranno che la clausura non ha niente a che fare con la propria vita, è una cosa che riguarda, appunto, le monache, vestite di nero, un po’ stile medioevale. E invece l’annuncio che vi devo fare è che vi riguarda moltissimo la clausura! Proprio dirà se avete o no la vocazione.
Clausura
Clausura viene da “claudere”, che significa chiudere, chiudere dentro e chiudere fuori. Anche chiostro viene dalla stessa radice, chiostro traduce più “claustrum”, che viene da claudere, che è un recinto, qualcosa di concluso. Allora la clausura è un annuncio nella nostra vita e dice semplicemente il fatto che noi siamo fatti (e il corpo delle donne ancora di più, se possibile) per contenere, accogliere, quindi ricevere, ospitare, custodire e tutto quello che vi viene in mente su questo filone.
Cioè, e questo se ognuna di noi guarda il suo cuore, il bisogno del suo cuore -diceva prima Costanza: “Tutti noi desideriamo appartenere a qualcuno” – per appartenere senti sempre il bisogno di abbracciare una persona, una realtà e di custodirla. Custodire ha a che fare con la protezione, vi faccio degli esempi: facciamo l’ipotesi, io sono amica di Costanza, qualche giorno fa ci siamo sentite e io le ho detto.
“Guarda Costanza, mi è successa una cosa, ho litigato con una consorella, mi ha proprio ferita, però io ho peccato…” le ho raccontato un fatto della mia vita. Poi arriviamo oggi qui, siete 2200, e scopro che lo sapete tutte perché lei l’ha scritto sul suo blog. Allora secondo voi Costanza è amica mio o no? “No!”. Cioè se siamo amiche, traduco, se c‘è dell’affetto tra noi, è obbligatorio, per definizione, che tu custodisca le mie confidenze.
C’è una clausura, in un’amicizia, cioè c’è un confine.
Lo capite meglio se parliamo del matrimonio, questo è proprio un esempio splatter: la fede nunziale che due sposi si scambiano che cos’è, se non un segno di clausura? Cioè quella coppia è conclusa e tutte le stupidità che ci raccontano su molto altro, sulla coppia aperta, sono idiozie che mentono alla natura del cuore che ci dice che è monos, cioè che io devo appartenere a uno solo, e la clausura mi aiuta, perché quando io ho la fede al dito, e sono sulla metropolitana e il mio anello sbatte sul palo io mi ricordo che ho qualcuno che sta da un’altra parte e quindi forse è meglio che la smetta di fare la stupida a fare gli occhi dolci con.. mi capite no? E’ un segno di clausura. E chi la vede, dovrebbe dire a quella lasciamola stare!
Un mio amico, un avvocato di Verona, mi disse: “Lo sai Fulvia quando ho capito che il mio matrimonio sarebbe finito? Quando, il giorno dopo mi sono tolto la fede dal dito, l’ho messa nel portafoglio e ho detto: no, è che mi da fastidio, non sono abituato”. Capite che la stanza nuziale, il letto, la camera da letto di due sposi, in questa stanza meravigliosa vige un regime austerissimo di clausura, perché se ci entra qualcun altro, che non ci deve entrare, è finito! Hai voglia a recuperare, cucire… quando la clausura viene violata ci si fa molto, molto male. La porta di casa vostra è un segno di clausura. Noi siamo quattro sorelle, mia madre passava molto tempo a dirci che non era opportuno litigare a voce alta che ci sentivano i vicini. Cioè in casa accadono delle cose che fuori non devono essere viste o ascoltate; in casa entra chi vogliamo noi. Mi rendo conto che nell’epoca del grande fratello, di questi che vanno nelle isole, parlare di clausura fa ridere, uno dice: “ma dove vivi?!”.
Ma dove vivi tu? Dove dentro di te c’è scritto che tutto deve essere esposto, tutto deve essere visto e tutto deve essere commentato? I nostri giovani oggi, che stanno cambiando modo di pensare, di credere alla realtà, se una cosa non è vista, pubblicata e commentata non è accaduta! ù
Cioè nel nascondimento non sanno vivere più niente, neanche mangiare il piatto che la nonna gli prepara, perché lo devono fotografare e condividere, sennò non hanno mangiato. Allora la clausura è questo argine, è questo confine, che permette a ciò che scorre al suo interno di produrre energia, di essere vivo, ed è un mezzo che voi che volete fare le monache dovete capire come vivere, per appunto contenere, convogliare le vostre energie per amare di più vostro marito, per amare di più i vostri figli, per vivere con passione il vostro lavoro, per bello o brutto che sia. Raccogliere e convogliare le energie, un argine, per cui ha molto a che fare con la vostra vita la clausura.
Il chiostro
E finalmente il chiostro: nell’architettura di questo meraviglioso monastero wi-fi, che Costanza ha descritto, lei ci ha messo delle colonne. Qui le colonne sono dodici, gli apostoli… vi manca il chiostro! Qui c’è un bellissimo chiostro (ma è più bello il chiostro che è nel nostro monastero!), ma in un monastero che si rispetti, pensato come tale, c’è un chiostro. A che serve il chiostro? Perché quelle poveracce delle monache stanno in clausura, falle camminare un pochino, no? Non è così, perché i monasteri hanno un grande campo, coltiviamo la terra… il chiostro che cos’è? E’ un annuncio che dice che la vita è questo perimetro chiuso, in cui tu sei chiamata a camminare. Non ci saranno novità super eclatanti nella tua vita, ma ci sarà una storia, che vivrai passo passo in un ordinario, possibilmente felice, ma che a volte lo sappiamo è routinario, torna in se stesso e la tentazione più feroce che tutti noi viviamo è quella di fuggire, perché non se ne può più! Basta! Le stesse cose, mi dici sempre le stesse cose, mia madre mi dice sempre la stessa cosa… ma anche quando accadono fatti seri nella vita, malattie, fatiche esistenziali, lutti gravi, la tentazione è fuggire, andare da qualche altra parte. Mi ricordo che mia madre, in tempi non sospetti, sempre perché noi eravamo quattro figlie “molto calme”, lei diceva: “Ah se lo sapevo! Mi facevo monaca di clausura!”. E uno dice mamma, l’hai invocata, te la sei proprio cercata questa cosa, perché forse io ho saputo dell’esistenza delle monache di clausura da mia madre che quando si lamentava diceva così! Ma l’idea è di fuggire dalla tua realtà perché è troppo complicata. Il chiostro annuncia invece che la vita è possibile, perché al centro della vita c’è un giardino dove c’è sempre nel chiostro l’acqua, che è segno della vita, e intorno all’acqua c’è appunto la vitalità della natura, i fiori, le piante… e c’è la luce che entra dall’alto in questo perimetro che è la tua vita, che tu percorri ogni giorno, c’è un centro da cui ricevi la luce, ricevi la vita e che puoi sempre guardare per continuare a camminare e non fuggire. Perché in ultima analisi il chiostro di un monastero wi-fi è la realtà, ma il chiostro di ogni vita è la realtà.
C’è un versetto potentissimo nella Scrittura che insieme a quello di Giovanni (“Dio è amore”, che è il top proprio!) e poi c’è Paolo, che dice nella lettera ai Colossesi, capitolo 2 (meraviglioso!) a un certo punto:
“La realtà invece è Cristo.” Punto. Cioè se tu esci dalla tua realtà, che è la tua benedetta vita, tu non incontri Gesù Cristo! Perché la realtà non solo parla di Cristo, ma è Cristo! Allora se vuoi essere monaca devi stare nella realtà, nella tua vita. Perché guardate che noi non crediamo in un Dio che rifà il letto in casa, che sposta i mobili… noi crediamo nell’incarnazione, in Qualcuno, non in qualcosa, e la vita cristiana è tutta questo desiderio di un incontro che ogni giorno si può compiere e il giorno dopo ricominci. Perché la realtà è Cristo, non c’è nient’altro. La tua vita così come è. Tuo marito, i tuoi figli difficili, ma le cose belle, perché se guardi bene ce ne hai di cose belle, anche nei dolori più grandi… è lì che incontri Cristo!
Cristo che forma ha? La forma di un crocifisso risorto, la realtà è un crocifisso risorto. Perché rimani sorpresa, ti arriva qualche croce nella tua vita e allora Dio… ma è nel tuo battesimo: hai chiesto, qualcuno ha chiesto per te di farti cristiforme, di cristificare la tua vita. Che parola è? Che tu devi vivere come Gesù Cristo, il Figlio di Dio. Quindi la realtà è Cristo e le donne hanno un problema: pensano di dover vivere per quello che sentono (io sento amore, compassione, tenerezza). Viene un giorno, o molti giorni, in cui non senti proprio un bel niente. Allora noi tutte dobbiamo passare attraverso questa realtà, a vivere non per ciò che sentiamo, ma per ciò che crediamo. E se noi crediamo che la realtà è Gesù Cristo, noi saremo felici per sempre, perché nulla ci può separare dall’amore di Cristo, nulla.
Coniugalità: uomo e donna portano insieme lo stesso giogo, con lo stesso passo. Altrimenti l’aratro va storto
Pensavo prima quando sono usciti questi uomini, i vostri mariti, i vostri compagni, ecco, io sono d’accordissimo, noi stiamo lavorando molto su questa fede al femminile, è quasi una riscoperta, ma stare nella realtà significa rinnovare questo patto di alleanza con la realtà, la donna senza l’uomo non si dà. Non è che adesso noi, voi facciamo la rivoluzione nella Chiesa. La donna senza l’uomo non esiste, ve lo ha detto santa Teresa, “Dio solo basta” quindi entro in monastero perché siccome ho un problema con gli uomini allora… ma stattene a casa!
Perché vuol dire che dobbiamo risolvere qualcosa. Benedette amicizie, benedetti patti di alleanza, che sono la nuzialità, la coniugalità nella nostra vita. E quando ricevetti l’annuncio, orma 25 anni fa, da don Fabio, lui parlava di questa coniugalità con la parola del giogo, coniugale, coloro che portano lo stesso giogo. E il giogo non è una cosa caruccia, è quella cosa che portano i buoi per tirare l’aratro. Ora c’è un problema, e lo sa bene chi lavorava nei campi un tempo, che se i buoi camminavano a un passo diverso, l’aratro va storto. Allora col tuo coniuge devi camminare insieme. Più veloce lui? Sbrigati! Più lento? Stai calma! Ma Gesù parla di sé stesso come colui che ci vuole aggiogare, vuole che noi portiamo il suo giogo, significa che dobbiamo camminare al passo con Gesù. Il Vangelo, niente di più bello, niente di più semplice.
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Una giornata con dentro una storia intera: entriamo tutti nel Monastero WI-FI
Non basta il fervorino: è necessario studiare, approfondire. Soprattutto i testi del Magistero
L’ultima cosa che vi voglio dire, quando alle medie studiavamo i monaci, Benedetto etc, ci dicevano i monaci pregano, lavorano e studiano, cioè non potete essere ingenue stare in piedi su quattro devozioni, quattro cosucce! Dovete studiare, formarvi nella fede, dovete leggere, dovete seguire quello che dicono i nostri benedetti Papi. Il Papa ha scritto un’esortazione apostolica geniale, la “gaudete et exsultate”, sulla santità. Dovete leggerla! Volete sapere com’è la preghiera, come si prega… dovete leggere il Catechismo della Chiesa Cattolica! Negli ultimi due capitoli, sono meravigliosi, sono un trattato profondissimo sulla preghiera, dovete leggerlo, non ci vuole niente! Dovete leggere l’ Evangelii gaudium, per capire dove è la Chiesa oggi, questo Papa cosa dice.
Dovete studiare, volete fare le monache? Studiare, formarvi, andare in Chiesa, ascoltare il parroco per quanto noioso vi possa sembrare, dovete starci dentro. Formarvi, non leggere ogni tanto, questo è importantissimo, perché è usciate dall’ingenuità, da questo Dio di cui ancora non avete capito che faccia ha, e capiate che appunto c’è una storia che ci precede, c’è una sapienza a cui attingere, che è imprescindibile per la vita di fede. Sennò tra un po’ vi passa il fervorino, non funziona! E siete infelici. Tornate nel vostro loop, la dispersione, fate stupidaggini… vi dovete formare, ascoltare ciò che dalla cattedra di Pietro, ciò che i Vostri Vescovi, non so da dove venite… questo dovete fare!