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I copti (e non solo), gente che Cristo ce l’ha tatuato sulla pelle

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Hervé Grandchamp - pubblicato il 28/02/19
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Come i cristiani copti, alcuni cattolici hanno scelto di farsi tatuare la croce di Cristo sul corpo. Una maniera di tenersi stretta la loro fede e un atto di solidarietà nei confronti dei cristiani perseguitati. Testimonianze.

Avevo bisogno di un simbolo, di un segno fisico, visibile, di Cristo vicino a me.

Così dice Ségolène, sulla trentina, rilegatrice e restauratrice di libri. Come altri numerosi cristiani, anch’ella ha scelto di farsi tatuare la croce di Cristo sul corpo. Lungi dall’essere una novità, questa tradizione è plurisecolare e ha le sue origini a Gerusalemme. Wassim Razzouk è probabilmente il tatuatore più noto della città santa. Fa tatuaggi ai pellegrini in una delle botteghe più antiche del souk di Aftimos, il quartiere cristiano della città di Davide. “Marchiando” i cristiani egli perpetua così una tradizione di famiglia. 700 anni fa erano i crociati: adesso sono i pellegrini a tornare fisicamente segnati dalla croce di Cristo. Il tempo dei cavalieri è molto lontano, ma la tradizione è rimasta. La bottega non si vuota. Razzouk iscrive nella pelle dei simboli cristiani. Quelli che passano sotto le sue mani hanno una trentina d’anni o più. Fanno questo gesto a testimoniare solidarietà per i Cristiani d’Oriente. È il segno della loro appartenenza a Cristo, il segno del loro impegno per la Terra Santa.

Padre Nicolas Van Der Maelen: «Il segno della mia appartenenza a Cristo»

Nessuno dubita che un prete porti Cristo nel cuore, ma è più raro trovarne uno che ce l’abbia tatuato sulla pelle. Padre Nicolas, cappellano d’ospedale per la diocesi di Parigi, fa eccezione. Due anni fa si è fatto tatuare una croce di Gerusalemme sull’avambraccio destro: «È la manifestazione della mia vicinanza spirituale ai cristiani d’Oriente», assicura. E prosegue, il cappellano nell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro:

Nessuno può vedere o indovinare la mia croce: è nascosta dalla manica della mia camicia. Ma per me questo marchio è una professione di fede, è una cosa personale, è la mia relazione con Cristo.

TATTOO GUN

Razzouk Tattoo | Facebook

Padre Nicolas ha scoperto questa pratica a contatto con i cristiani ortodossi: «Ho avuto la grazia di abitare nel complesso della basilica del Sacro Cuore di Parigi, un santuario molto frequentato dai copti», racconta il prete.

Sono loro che mi hanno fatto scoprire questa piccola croce tatuata. All’epoca trovavo la pratica assurda. Col tatuaggio, i cristiani d’Oriente si esponevano durante le persecuzioni.

Ma l’idea di tatuarsi la croce di Gerusalemme ha germogliato in lui nel corso di diversi anni. Fino al 2017, quando – con l’occasione di un pellegrinaggio in Terra Santa – si è deciso ad andare a trovare Razzouk. «Non l’avrei mai potuto fare altrove che a Gerusalemme, la mia Chiesa madre. Questo tatuaggio è Cristo in me, la fonte della mia fede».

Ségolène O.: «Una presenza per affrontare la malattia»

Ségolène, lo dicevamo prima, ha una trentina d’anni ed è rilegatrice e restauratrice di libri. Si è fatta tatuare la croce di Gerusalemme sotto la pelle mentre si tatuava la fede nel corpo – un corpo oggi malato. Il suo tatuaggio si trova sul braccio sinistro, proprio lì dove la sclerosi è cominciata:

L’uomo ha bisogno di simboli – spiega –. Io avevo bisogno di un simbolo, di un segno fisico, visibile, di Cristo vicino a me. Quando il mio braccio non funziona correttamente, questa croce mi dà la speranza e la forza di andare avanti nella vita, malgrado tutto.

Ségolène è andata più volte in Iraq e in Libano: «Sono sensibile alla sorte dei cristiani d’Oriente», dice la giovane: «Laggiù restauro libri, conservo il loro patrimonio». Due anni fa, scelse di imitarli e si è fatta tatuare la croce potenziata:

Quattro braccia come i quattro punti cardinali. Per me, questa croce rappresenta l’universalità della Chiesa.

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©Astrid C

Astrid C.: «Uno strumento di evangelizzazione»

Quando Astrid, giovane imprenditrice, parla del suo tatuaggio, fa subito riferimento al Cantico dei cantici: «Mettimi come un sigillo sul tuo cuore, / come un sigillo sul tuo braccio» (Ct 8, 6). È questo passo biblico che l’ha convinta a farsi tatuare una piccola croce potenziata all’altezza del polso. È visibile, interroga quelli che le stanno attorno e gli sconosciuti. Nel corso del tempo è diventata uno strumento di evangelizzazione: «Questa croce mi permette di affermare la mia fede, di non aver più paura di parlare di Cristo», giura la parigina. Per Astrid,

non è un tatuaggio qualunque ma un marchio, il marchio della mia appartenenza a Gesù. Non ha nulla di un souvenir: è una testimonianza nella carne.

Astrid si è fatta tatuare durante il suo secondo viaggio in Terra Santa, quando prestava servizio nella Custodia come volontaria. È il segno del suo legame con la terra di Cristo, la traccia del suo colpo di fulmine per Gerusalemme:

Ho fatto questo passo come un gesto di fede: non mi sarei mai fatta un altro tatuaggio, né altrove che da Razzouk a Gerusalemme.

Guillaume A.: «Il segno di un impegno visibile e indelebile»

Guillaume, trent’anni, lo sguardo chiaro, si è recato per la prima volta a Gerusalemme nel 2005, mentre era studente. Immediatamente si è appassionato alla Terra Santa. Appena rientrato, si è coinvolto nell’ordine del Santo Sepolcro. E poi è tornato in Israele tutti gli anni per offrire il suo tempo e le sue competenze alle comunità cristiane installate nella terra di Cristo.

All’inizio l’idea di questo tatuaggio era una specie di sfida. E poi ho capito che questa croce è il simbolo di un legame tra l’Oriente e l’Occidente, che doveva essere il segno del mio impegno al servizio della Terra Santa.

Nel 2017 si fa tatuare la croce potenziata sull’avambraccio:

Una maniera di rendere concreto e visibile il mio impegno al servizio della Terra Santa. Visibile e indelebile. Un impegno a vita come il mio impegno nell’ordine del Santo Sepolcro.

Vianney C.: «La mia fede, la mia identità»

Vianney ha passato quattro anni tra il Libano e la Giordania presso i cristiani d’Oriente. Ha visto i cristiani marchiati col segno della croce durante le persecuzioni. Un evento drammatico che ha scatenato in Vianney il desiderio di farsi tatuare una croce. L’attentato del 26 maggio 2017 in Egitto, nel governatorato di Minya, all’indomani dell’ascensione: degli islamisti hanno attaccato due bus di pellegrini copti causando 35 morti e 25 feriti. Gli jihadisti avevano fatto scendere diversi passeggeri copti, poi avevano ordinato loro di rinnegare la loro fede – ingiunzione respinta da quelli. Vianney vede molto coraggio in questa popolazione.



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Come i copti, Vianney è segnato dalla croce di Cristo all’altezza del polso: «Se mi si chiede di rinnegare la mia fede, sarà impossibile: sta segnata su di me. Amo l’idea di non poter fare voltafaccia». E da quando si è recato a Gerusalemme, Vianney ha pure sotto la sua pelle – all’altezza del polso – una rappresentazione della crocifissione. Su consiglio di Razzouk, Vianney si è recato al Santo Sepolcro per far benedire il suo nuovo tatuaggio. «Dopo la benedizione ho atteso la chiusura delle porte e ho passato la notte presso la tomba di Cristo», racconta con emozione. Vianney non si è accontentato di questo solo tatuaggio ispirato alla sua fede: più recentemente, si è fatto tatuare sulla spalla destra la croce potenziata.

È il segno del mio passaggio a Gerusalemme. Volevo portare questa croce come i pellegrini e i cavalieri che tornavano dalla Terra Santa.

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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