Stati Uniti: deficit commerciale record nel 2018
Il deficit commerciale degli Stati Uniti ha raggiunto l’anno scorso il livello più alto dal 2008. Secondo i dati pubblicati mercoledì 6 marzo dal Dipartimento del Commercio, il disavanzo della bilancia commerciale (differenza tra esportazioni e importazioni) è salito nel 2018 a 621 miliardi di dollari, ossia 68,8 miliardi di dollari in più rispetto all’anno precedente (552,3 miliardi di dollari).
Anche se nel corso del 2018 gli USA hanno esportato beni e servizi per un totale di 2.500 miliardi di dollari (cioè un aumento di 148,9 miliardi di dollari rispetto al 2017), a spingere la bilancia commerciale nel profondo rosso sono state le importazioni, che l’anno scorso sono aumentate di 217,7 miliardi di dollari rispetto all’anno precedente e hanno raggiunto un totale di 3.121 miliardi di dollari.
A pesare sullo squilibrio della bilancia commerciale è in particolare il deficit nell’interscambio di beni e servizi con la Cina. Il disavanzo nei rapporti commerciali con il colosso asiatico è salito l’anno scorso a 419,2 miliardi di dollari (43,6 miliardi di dollari in più rispetto al 2017). Mentre le esportazioni statunitensi verso la Cina sono diminuite di 9,6 miliardi di dollari a 120,3 miliardi di dollari, le importazioni negli USA di prodotti cinesi sono aumentate di 34 miliardi di dollari, per raggiungere un valore totale di 539,5 miliardi di dollari. Nel 2018 è cresciuto anche il deficit commerciale con l’UE: è salito a 169,3 miliardi di dollari (17,9 miliardi di dollari in più rispetto all’anno precedente).
Nord Corea: peggior raccolto in oltre un decennio
In una dichiarazione diffusa mercoledì 6 marzo, il coordinatore residente nella Repubblica Popolare Democratica di Corea (come la Corea del Nord si chiama ufficialmente) per le Nazioni Unite, Tapan Mishra, ha lanciato l’allarme sulla sicurezza alimentare nel Paese. Stando al «2019 Needs and Priorities Plan» dell’ONU, servono quest’anno 120 milioni di dollari per «fornire urgentemente aiuti salvavita a 3,8 milioni di persone bisognose di assistenza umanitaria».
Secondo le stime dell’ONU, sono circa undici milioni i nordcoreani (su una popolazione totale di circa 25 milioni di abitanti) che non hanno accesso ad alimenti sufficientemente nutrienti, ad acqua potabile e pulita, o ai servizi igienico-sanitari di base. Mentre il piano delle Nazioni Unite dà la priorità alle categorie più vulnerabili della popolazione nordcoreana, cioè donne, bambini, anziani e disabili, a incidere negativamente sulla situazione umanitaria è il calo importante registrato nella produzione agricola. L’anno scorso «la produzione alimentare complessiva è stata inferiore di oltre il 9% rispetto al 2017», si legge nella dichiarazione, ossia «la produzione più bassa in più di un decennio».
Nel 2018, gli aiuti dell’ONU hanno raggiunto solo un terzo del target fissato. «Si stima che 1,4 milioni di persone non abbiano ricevuto assistenza alimentare», segnala la dichiarazione, la quale aggiunge che «poco meno di 800.000 persone non hanno potuto accedere ai servizi sanitari essenziali». Secondo l’ONU, «190.000 bambini della scuola materna e 85.000 bambini gravemente malnutriti non hanno ricevuto il supporto nutrizionale di cui avevano bisogno».
Cina: Pechino porta avanti la «sinizzazione» della religione
Nel suo discorso d’apertura della riunione annuale dell’Assemblea Nazionale del Popolo, cioè il parlamento cinese, il premier Li Keqiang ha toccato martedì 5 marzo oltre ai grandi temi dell’economia e del budget per la difesa, anche quello della religione, o meglio quello della «sinizzazione» della religione. «Dobbiamo attuare pienamente la politica fondamentale del Partito [comunista] sulle questioni religiose e sostenere la Sinizzazione della religione in Cina», ha detto Li, citato dal South China Morning Post.
Come ricorda il quotidiano, la politica per «sinizzare la religione» è il tentativo da parte del partito ufficialmente ateo di portare le religioni sotto il suo assoluto controllo e in linea con la cultura cinese. La campagna lanciata dal presidente Xi Jinping nel 2015 è accompagnata da un’intensificazione della repressione della libertà religiosa in tutto il Paese, in particolare nei confronti di protestanti, cattolici e musulmani. Il Partito Comunista teme che i fedeli possano diventare strumenti di influenza straniera o di separatismo etnico, scrive il quotidiano di Hong Kong.
In particolare la stretta nei confronti della minoranza islamica nella regione autonoma dello Xinjiang, nell’estremo ovest del Paese, è salita alla ribalta. Secondo alcune stime, più di un milione di uiguri, kazaki e membri di altre minoranze musulmane sono detenuti in campi di internamento o rieducazione, nel pieno di ciò che i critici definiscono «una pulizia culturale», scrive il South China Morning Post. Per quanto riguarda il cristianesimo, le autorità prevedono una «teologia sinizzata», che comprende «ritradurre la Bibbia e riscrivere le annotazioni», continua il quotidiano.
Stati Uniti: numero record di immigrati clandestini
Lo scorso mese un numero record di migranti ha attraversato il confine sud-occidentale degli USA, mettendo in grave difficoltà la polizia frontaliera e i centri di accoglienza. Il sistema «è ben oltre la capacità e rimane al punto di collasso», così ha detto martedì 5 marzo durante una conferenza stampa il responsabile della U.S. Customs and Border Protection, Kevin McAleenan, citato dal Los Angeles Times.
Nel febbraio del 2019 gli agenti della polizia di frontiera hanno «beccato» complessivamente 66.450 immigrati clandestini, segnando «il peggior febbraio dal 2008», scrive il Washington Times, che cita gli ultimi dati resi pubblici martedì 5 marzo. Se si aggiungono anche le 9.653 persone ritenute «inammissibili», allora il numero arriva a 76.103, rivelano le statistiche della U.S. Customs and Border Protection.
Di questi 66.450 immigrati clandestini, 6.825 erano minori stranieri non accompagnati (UAC, cioè «unaccompanied alien children») e altri 36.174 erano «family members». Quest’ultima cifra rappresenta un nuovo record rispetto a quello registrato nel dicembre scorso, quando sono stati registrati 27.507 membri familiari. Si tratta di una nuova tendenza: mentre prima dell’anno fiscale 2019 (FY 2019, iniziato nell’ottobre scorso) il loro numero mensile non aveva mai superato quota 17.000, adesso questa cifra è stata superata in ciascuno dei primi cinque mesi del nuovo anno fiscale, segnala il Washington Times.
Un altro fenomeno che preoccupa le autorità statunitensi sono le cosiddette «minicarovane», composte da qualche centinaio di migranti. Secondo la polizia frontaliera, si tratta di una «tattica diversiva» utilizzata dai cartelli della droga e dai trafficanti di essere umani, che mandano gruppi di migranti verso qualche posto remoto lungo il confine per distogliere l’attenzione degli agenti.
Africa: diabete, una «bomba ad orologeria»
Con un articolo intitolato «Il diabete, una bomba a orologeria per l’Africa», il quotidiano francese Le Monde ha richiamato nei giorni scorsi l’attenzione sulla sfida che la malattia metabolica costituisce per le autorità sanitarie del continente. Come ricorda il quotidiano, il diabete ha ucciso più di 300.000 africani nel 2017 e secondo alcune stime nel 2045 ben 41 milioni di africani saranno diabetici.
Mentre la maggior parte dei pazienti scopre di avere la malattia solo quando si presentano delle complicazioni, come ad esempio ferite che non guariscono, a spingere l’avanzata del diabete nel continente è il cambiamento delle abitudini alimentari. I cibi tradizionali vengono sempre di più sostituiti con prodotti industriali, che sono troppo grassi, troppo salati e troppo dolci, scrive Le Monde.
Altri fenomeni che contribuiscono alla rapida diffusione del diabete in Africa sono la crescente sedentarietà e urbanizzazione. Nel 2009, ricorda il quotidiano, il 40% degli africani vivevano in zone urbane, una percentuale destinata a salire al 60% entro il 2050. Attualmente, quasi un quarto dei circa 24 milioni di abitanti della Costa d’Avorio vive nella città più popolosa ed ex capitale Abidjan. Molti abitanti di Abidjan preferiscono del resto a muoversi in macchina, minibus o taxi. «Spostarsi a piedi è spesso percepito come riservato ai poveri», osserva Stéphane Besançon, direttore dell’ONG Santé diabète.