Brexit: il parlamento rinvia la data dell’uscita, ma dice «no» a secondo referendum
A soli 15 giorni dal 29 marzo, giorno in cui la Brexit dovrebbe entrare in vigore, la Camera dei Comuni ha votato giovedì 14 marzo con una maggioranza schiacciante a favore di un rinvio della fatidica data. Con uno scarto di 211 voti, cioè 413 contro 202, i membri della Camera bassa del parlamento britannico hanno approvato infatti una mozione del governo della premier conservatrice Theresa May, chiedendo all’Unione Europea di spostare la data dell’uscita dal 29 marzo al 30 giugno, cioè una proroga breve di tre mesi.
Anche se tocca ancora all’Unione Europea accogliere positivamente la richiesta da parte di Londra (serve un voto unanime o «sì» da parte dei 27 Paesi membri rimanenti) e estendere la procedura dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona, per la May si tratta di una vittoria. La mozione approvata pone infatti una condizione: il parlamento deve approvare entro il 20 marzo l’accordo raggiunto con Bruxelles, già respinto in due occasioni dai deputati con maggioranze nette.
Prima, nel pomeriggio, i Comuni avevano respinto con uno scarto ancora più schiacciante l’organizzazione di un secondo referendum sulla Brexit («People’s Vote» o «Final Say»). La mozione in questione ha ricevuto solo 85 voti favorevoli, mentre quelli contrari erano 334, uno scarto di ben 249 voti. A spiegare la sconfitta della proposta avanzata dalla deputata (ex Tory) Sarah Wollaston, del «Gruppo Indipendente» (TIG), è il fatto che i deputati Labour si sono astenuti. Secondo la maggiore formazione dell’opposizione, non era il momento giusto.
USA: Senato approva risoluzione per bloccare coinvolgimento nella guerra in Yemen
Il Senato degli Stati Uniti ha approvato mercoledì 13 marzo con 54 voti (tra cui anche sette senatori repubblicani) contro 46 una risoluzione, che mira a porre fine al sostegno militare dato da Washington alla coalizione araba, guidata dall’Arabia Saudita, coinvolta nel conflitto in Yemen. Scoppiata quattro anni fa, la guerra civile dello Yemen ha provocato secondo l’ONU «la peggiore crisi umanitaria del mondo».
Secondo Reuters, l’esito della votazione è un «rimprovero» alla politica del presidente Donald Trump verso Riad. «Stiamo aiutando una potenza straniera a bombardare i suoi avversari in quella che è senza dubbio, inconfutabilmente, una guerra», così ha dichiarato il senatore repubblicano Mike Lee, che ha promosso la risoluzione.
Il testo, che passa adesso alla Camera dei Rappresentanti (House), costituisce secondo Reuters anche un messaggio per il principe ereditario dell’Arabia Saudita, Mohammed bin Salman, ritenuto il mandante dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi, ucciso il 2 ottobre 2018 nel consolato saudita a Istanbul, Turchia.
«Oggi il Senato si è ripreso la sua responsabilità costituzionale ad autorizzare la guerra – un’autorità che appartiene solo al Congresso, non al presidente –, muovendosi per porre fine alla catastrofica guerra in Yemen», così ha scritto a sua volta il senatore indipendente Bernie Sanders (ma candidato alle primarie dei Democratici per le presidenziali 2020) in un tweet. Nel caso di approvazione da parte della Camera dei Rappresentanti, Trump potrebbe per la prima volta porre il veto presidenziale, come osserva il New York Times.
Sud America: l’Ecuador esce dall’Unasur
In un discorso alla Nazione, il presidente dell’Ecuador, Lenín Moreno, ha annunciato mercoledì 13 marzo l’uscita del suo Paese dall’Unione delle Nazioni Sudamericane, l’organizzazione fondata ufficialmente nel maggio 2008 su iniziativa del fu presidente venezuelano Hugo Chávez e nota soprattutto con l’acronimo spagnolo Unasur.
«Abbiamo iniziato i procedimenti interni per uscire ufficialmente dal Trattato Unasur», ha detto Moreno, citato dal quotidiano El Comercio. Secondo il presidente, «l’Unasur si è trasformata in una piattaforma politica che ha distrutto il sogno di integrazione che ci è stato venduto» ed è ormai in una fase «finale senza ritorno». «Non esistono le condizioni perché Unasur possa tornare a lavorare per l’integrazione sudamericana», ha aggiunto Moreno.
Il presidente chiede anche la restituzione dell’edificio usato come sede dell’organismo, ubicato a San Antonio de Pichincha (dove c’è anche il Monumento «Mitad del Mundo»), a nord della capitale Quito, nel quale il Paese andino ha investito sotto la presidenza di Rafael Correa più di 40 milioni di dollari. «Come tutti sanno, la mia intenzione è quella di consegnare quell’edificio all’Università Indigena dell’Ecuador», ha detto Moreno.
L’annuncio del presidente ecuadoregno va letto anche sullo sfondo del possibile lancio di un nuovo organismo di integrazione regionale, il Prosur o «Foro per il progresso e lo sviluppo dell’America del Sud». La nuova piattaforma regionale promossa dal presidente del Cile, Sebastián Piñera, e dal suo omologo colombiano Iván Duque, dovrebbe vedere la luce in occasione del vertice dei capi di Stato sudamericani, che si terrà il 22 marzo prossimo a Santiago del Cile. Secondo il quotidiano ABC, nelle intenzioni dei suoi iniziatori il Prosur dovrebbe sostituire la «fallita» Unasur.
Unione Europea: nel 2017 sono nati 5,075 milioni di bambini
Nel 2017 sono nati nei 28 Paesi membri dell’Unione Europea in totale 5,075 milioni di bambini, cioè un leggero calo (73.000) rispetto al 2016, quando erano 5,148 milioni. Lo rivelano i dati diffusi martedì 12 marzo dall’ufficio statistico dell’UE, Eurostat. Di questi 5,075 milioni di bambini, quasi la metà, cioè il 45%, erano primogeniti, il 36% secondogeniti e il 19% terzogeniti o figli successivi.
I dati rilasciati dall’organismo comportano anche un calo del tasso di fecondità totale (TFT), che nel corso del 2017 è sceso a 1,59 figli per donna in età fertile (15-49 anni), rispetto a 1,60 l’anno precedente. Questo tasso, che nel 2010 era di 1,62 figli per donna, è quindi inferiore al cosiddetto «livello di sostituzione» (detto anche «tasso di ricambio») pari a 2,1 figli per donna. L’unico Paese membro dell’UE che si avvicina a questo traguardo, è la Francia (1,90 parti per donna), seguita dalla Svezia (1,78), Irlanda (1,77), Danimarca (1,75) e Regno Unito (1,74). A chiudere la classifica sono soprattutto Paesi dell’Europa meridionale, come Malta (1,26 parti per donna), Spagna (1,31) e Italia & Cipro (entrambi 1,32).
I dati mostrano inoltre che l’età media più bassa delle primipare si registra in Bulgaria (26,1 anni), Romania (26,5), Lettonia (26,9), Slovacchia (27,1), Polonia (27,3), Lituania (27,5) ed Estonia (27,7). Le donne più «mature» o «grandi» alla nascita del primo figlio sono invece le italiane (31,1 anni), seguite dalle spagnole (30,9), le lussemburghesi (30,8), le greche (30,4) e le irlandesi (30,3).
Irlanda: la crisi «nascosta» dei bambini nati con sintomi di astinenza
Il numero di bambini nati con sintomi di astinenza da alcol o droga è «preoccupantemente alto» in Irlanda. Secondo l’Irish Examiner, che parla di una crisi «nascosta», il fenomeno non si limita alla capitale Dublino, ma è un problema proprio nazionale. Secondo i dati raccolti dal quotidiano, quasi ogni tre giorni nasce infatti nell’Eire un bambino «dipendente», perché la mamma ha bevuto «pesantemente» durante la gravidanza o era tossicodipendente.
Informazioni dettagliate rilasciate in base al «Freedom of Information Act» dimostrano che nel periodo che va dal 2014 al 2017 i medici hanno diagnosticato in 485 neonati la presenza di sintomi di astinenza: 146 nel 2014, 113 nel 2015, 119 nel 2016, e infine 107 nel 2017. Di questi 485 casi, 25 bambini erano affetti da danni alcol-correlati, 370 (passivamente) dipendenti da droghe legali o illegali, e 118 bambini affetti da danni droga-correlati.
Il consumo di droghe o sostanze stupefacenti durante la gravidanza può avere anche effetti marcati sullo sviluppo del nascituro. Secondo uno studio pubblicato online nel dicembre scorso su Pediatrics e segnalato dal sito ScienceNews, i bambini nati con la sindrome di astinenza da oppioidi hanno la testa «insolitamente piccola».
Per la ricerca, sono state paragonate le dimensioni della testa di quasi 860 bambini nati dal 2014 al 2016, di cui la metà con sindrome di astinenza neonatale (NAS in sigla inglese) e l’altra metà nata da madri che non avevano preso oppiacei durante la gravidanza. Nei neonati con NAS la circonferenza cranica era in media quasi un centimetro più piccola, rispetto ai bambini non esposti a oppioidi. Il 30% dei bambini NAS aveva teste «particolarmente piccole», rispetto al solo 12% dei bambini senza la sindrome.